Almanacco

Accadde oggi: il 16 Marzo 1978 il sequestro di Aldo Moro

L’agguato sanguinario. La tormentata prigionia. La condanna a morte di Aldo Moro. Tutto in 55 giorni, i più lunghi della storia della Repubblica italiana, che segnarono il passaggio tra due epoche e il tramonto di un progetto politico che, forse, avrebbe potuto scrivere un futuro diverso per il Paese.

16 marzo del 1978 il sequestro di Aldo Moro, 55 giorni di prigionia

Nel panorama dei cosiddetti anni di piombo, il 1977 aveva segnato una decisa svolta verso lo scontro violento sul piano politico e sociale, combattuto tra i gruppi eversivi di sinistra e di destra e tra questi e le forze dell’ordine. Il ’78 non era iniziato con migliori auspici: la sera del 7 gennaio si era consumata la strage di Acca Larentia, in cui avevano perso la vita tre giovani del Movimento Sociale.

Sul piano politico c’era una situazione instabile, che a meno di due anni dalle elezioni aveva già portato alla caduta del governo monocolore della Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest’impasse e per dare una risposta convincente al Paese il presidente della Dc Aldo Moro sostenne l’ipotesi di un governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.


aldo moro


Si trattava di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi oltrepassarono i confini nazionali. Il Pci del segretario Enrico Berlinguer si diceva pronto al compromesso storico, rivendicando lo strappo con Mosca. Le resistenze però erano forti sia all’interno della Dc, sia tra gli alleati internazionali dei due principali partiti italiani.

Da un lato gli Usa timorosi che, nell’ottica della guerra fredda, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani militari della Nato. Dall’altro l’Urss giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello sovietico, in favore di quello americano.


Aldo-Moro


In questo scenario destò molti sospetti il coinvolgimento di Moro nello scandalo Lockheed, dal nome dell’azienda americana che ammise di aver pagato tangenti a politici e militari stranieri, per vendere a Stati esteri i propri aerei. Ne uscì con una piena assoluzione il 3 marzo, tredici giorni prima che accadesse l’irreparabile.

L’agguato di via Fani

La mattina di giovedì 16 marzo Aldo Moro era atteso alla Camera, dove Andreotti avrebbe dovuto presentare il nuovo governo con il sostegno, per la prima volta, dei comunisti.

Alle 9 scese dalla sua abitazione romana e salì a bordo della Fiat 130 blu di ordinanza, seguita dall’Alfetta bianca della scorta.


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All’incrocio tra via Fani e via Stresa, ad attenderlo un commando di 19 brigatisti, armati di mitragliette automatiche e pronti a far scattare un agguato in pieno stile Raf.

La scorta

Bloccando il corteo con due auto all’inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco sulla scorta e sulle due guardie del corpo dell’auto blu.


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La fotografia che si parò davanti alle prime persone accorse sul posto era agghiacciante: sulla strada un tappeto di bossoli e sangue, nei due abitacoli crivellati di colpi i corpi senza vita di Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Jozzino.

La rivendicazione

Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l’attentato e il sequestro di Aldo Moro, attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata “stella a cinque punte” e un comunicato in cui si annunciava che il presidente della Dc sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo».

La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il proprio dissenso alla violenza brigatista.


stella punte


Le istituzioni reagirono approvando una serie di “leggi speciali” volte a dare più poteri alle forze dell’ordine e agli investigatori nell’attività di contrasto al terrorismo.

Sul piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i sequestratori, come il Psi, e la maggioranza che era invece per la linea dura.

Nonostante il dispiegamento di forze, con migliaia di blocchi stradali e perquisizioni, le indagini sembravano non portare da nessuna parte.

I comunicati

Nei 55 giorni che seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle Brigate Rosse, ipotesi giornalistiche e polemiche politiche, con il blocco moderato che accusava l’area comunista di essere contigua agli ambienti brigatisti.

Il conflitto sociale non si fermò e alcuni episodi, come l’omicidio di due giovani di sinistra del centro socialeLeoncavallo“, lo esacerbarono ulteriormente.

Nel frattempo le speranze di vedere liberato Aldo Moro si facevano sempre più deboli, nonostante gli accorati appelli di personalità di rilievo mondiale, come papa Paolo VI e il presidente degli Stati Uniti d’America, Jimmy Carter.

Il ritrovamento del corpo

Il 6 maggio, le Brigate Rosse comunicarono l’esecuzione della condanna a morte. Tre giorni dopo il corpo di Aldo Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata, simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù.

Della strage di via Fani e dell’omicidio Aldo Moro furono accusati e processati 14 brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di semilibertà.


corpo


Inchieste giornalistiche successive fecero emergere il possibile coinvolgimento nella vicenda di altri soggetti, tra cui la loggia P2, la rete clandestina della Nato e i servizi segreti di diversi paesi.

A supportarle gli innumerevoli ritardi e punti oscuri nelle indagini svolte all’epoca dei fatti e alcuni aspetti nella dinamica del sequestro e della prigionia, secondo alcuni, non riconducibili al modus operandi tipico delle Brigate Rosse.

Le conseguenze

La famiglia di Aldo Moro rifiuta ogni celebrazione ufficiale:

«Nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso: nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia».

Dopo il ritrovamento del cadavere Francesco Cossiga lascia il Ministro dell’Interno. Il caso Moro segna la fine del compromesso storico e dei governi di solidarietà nazionale con l’appoggio del Partito Comunista.

 

 

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