Cronaca

Angelo Vassallo, il carabiniere indagato riaprì il caso sull’omicidio di Serena Mollicone

Il colonnello Fabio Cagnazzo, indagato per l'omicidio di Angelo Vassallo avvenuto nel 2010 a Pollica, è tra coloro che riaprì il caso di Serena Mollicone

Il colonnello Fabio Cagnazzo, indagato per l‘omicidio di Angelo Vassallo avvenuto nel 2010 a Pollica, è tra coloro che riaprì il caso di Serena Mollicone, la 18enne uccisa ad Arce nel 2001 in circostanze ancora tutte da chiarire.  Cinquantadue anni, originario della provincia di Napoli, Cagnazzo è tra quelli che ha dato impulso alle indagini dell’Arma sull’ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, dei suoi familiari e di altri due militari, tutti poi assolti due settimane fa in primo grado dalla corte d’Assise di Cassino. Nell’ipotesi accusatoria rigettata dai giudici Mottola e gli altri avrebbero non solo ucciso la 18enne ma poi meticolosamente depistato le indagini sul delitto. La stessa accusa Cagnazzo fronteggia ora con alcuni colleghi e altri soggetti per la morte di Vassallo.


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Angelo Vassallo, il carabiniere indagato riaprì il caso sull’omicidio di Serena Mollicone

Le accuse riportate nel decreto di perquisizione della procura di Salerno, eseguito giovedì, sono di omicidio aggravato in concorso e associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. L’omicidio del sindaco pescatore, si legge nel decreto firmato dal pm Marco Colamonici e dal procuratore Giuseppe Borrelli sarebbe stato “seguito da una attività di depistaggio già in precedenza pianifica e garantita, realizzata dal colonnello Cagnazzo e dal brigadiere Luigi Molaro”. Il decreto precisa poi che “sussistono fondate ragioni” a sostegno di questa ricostruzione pur essendo, il depistaggio avvenuto con “ruoli ancora da definire e per finalità ancora da accertare”. Cagnazzo che era in vacanza ad Acciaroli, frazione di Pollica, avrebbe provveduto ad acquisire in prima persona con Molaro, pur “in assenza di ogni incarico e in contrasto col ruolo di meri turisti”, i filmati delle telecamere di video sorveglianza per indirizzare le indagini su soggetto in nessun modo coinvolto nel delitto. “Va evidenziato – scrivono ancora i magistrati – che nell’immediatezza né Cagnazzo né Molaro hanno mai fatto cenno a questa pre-visione dei filmati, sostenendo anzi di averli visti solo successivamente”. Un comportamento «fortemente indiziari”, non attenuato dalle successive e parziali ammissioni “avvenute solo dopo che questo ufficio aveva disposto il sequestro delle apparecchiature”.


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Il colonnello Fabio Cagnazzo

Angelo Vassallo, il carabiniere indagato riaprì il caso sull’omicidio di Serena Mollicone: la telefonata

Due minuti dopo l’omicidio con 9 colpi di pistola del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, sul telefono del tenente colonnello Fabio Cagnazzo arriva una telefonata da parte del carabiniere Luigi Molaro, all’epoca suo braccio destro, rimasta senza risposta; subito dopo i due si incontrano a cena e poi comincia la loro presunta attività di “sviamento delle indagini”.

Chi sono gli indagati per l’omicidio di Angelo Vassallo

Al momento sono 9 le persone indagate. Tre carabinieri: il tenente colonnello Fabio Cagnazzo, l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi e Luigi Molaro. Quattro invece gli imprenditori coinvolti: Giuseppe Cipriano, titolare di una sala cinematografica a Scafati, e i fratelli Domenico, Giovanni e Federico Palladino, titolari di un hotel ad Acciaroli. Due persone sono ritenute dagli inquirenti legate a un clan camorristico della provincia di Salerno: Romolo e Salvatore Ridosso.


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Cosa sappiamo sull’omicidio di Angelo Vassallo

La sera del 5 settembre 2010, intorno alle 22:15 ad Acciaroli (frazione di Pollica), mentre rincasava alla guida della sua automobile, Vassallo è stato ucciso da uno o più attentatori allo stato ignoti; contro di lui sono stati esplosi nove proiettili calibro 9, sette dei quali a segno. Benché allo stato la matrice dell’attentato sia ignota, il pubblico ministero Luigi Rocco, incaricato delle indagini, ha avanzato l’ipotesi che esso sia stato commissionato dalla camorra al fine di punire un rappresentante delle istituzioni che si era opposto a pratiche illegali un collegamento potrebbe risiedere nelle azioni svolte da Vassallo a tutela dell’ambiente, che erano viste dalla camorra come un ostacolo al controllo del porto che le avrebbe garantito libertà nei commerci illegali di droga.

Il 25 marzo 2015 Bruno Humberto Damiani è unico indagato per l’omicidio di Angelo Vassallo. Nel luglio del 2018, otto anni dopo, il pm Leonardo Colamonici ha notificato un avviso di garanzia per rendere interrogatorio da indagato per l’omicidio a Lazzaro Cioffi, il carabiniere colluso con il clan Caivano per averne protetto le attività di narcotraffico. Cioffi dal 1991 fino a pochi mesi prima di essere arrestato ha lavorato nel nucleo investigativo di Castello di Cisterna. Quindi ne faceva parte anche il 5 settembre del 2010.


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L’ex primo cittadino Angelo Vassallo

Cosa sappiamo sul delitto di Serena Mollicone

La storia della 18enne Serena Mollicone ancora oggi fa rabbrividire. La ragazza scomparve il 1 giugno del 2001 e venne ritrovata morta due giorni dopo in località Fontecupa, nel territorio di Fontana Liri. Ma cos’è successo in qui giorni? E chi era Serena Mollicone? Qual è stata il movente del delitto?  Serena Mollicone frequentava l’ultimo anno del liceo socio-psico-pedagogico “Vincenzo Gioberti” di Sora e suonava il clarinetto nella banda del paese. La madre era morta per un brutto male quando lei aveva appena 6 anni, il padre Guglielmo era un insegnante elementare che gestiva una cartolibreria nel paese mentre sua sorella Consuelo di 28 anni si era trasferita a Como dove svolgeva la professione di insegnante di scuola elementare. Da alcuni mesi Serena frequentava il ventiseienne Michele Fioretto, abitante di un paese vicino.

La scomparsa

Quella mattina del 1 giugno 2001, la ragazza si recò all’ospedale di Isola del Liri, a 10 km dal paese, per sottoporsi ad un esame radiografico, una ortopanoramica. Dopo la visita medica, terminata alle 9:30, acquista 4 pezzi di pizza e quattro cornetti in una panetteria nei pressi della stazione, lasciando presumere che dovesse incontrare delle persone; gli investigatori ipotizzano che successivamente abbia preso l’autobus per Arce e l’ultimo avvistamento avviene in piazza Umberto I, la piazza principale del paese. Serena, il cui rientro a casa era previsto per le ore 14, quel giorno deve incontrare il suo ragazzo e nel pomeriggio avrebbe dovuto completare la tesina per l’esame di maturità.

Il ritrovamento del corpo

Il cadavere viene ritrovato verso le ore 12:15 di domenica 3 giugno 2001 da una squadra della Protezione Civile, nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, frazione di Monte San Giovanni Campano a 8 km da Arce, in una zona già ispezionata il giorno precedente da alcuni carabinieri che non notarono nulla di particolare. Il corpo è adagiato in posizione supina in mezzo ad alcuni arbusti, coperto con rami e fogliame, nascosto dietro un grosso contenitore metallico abbandonato. La testa, che presenta una ferita vicino all’occhio sinistro, è avvolta in un sacchetto di plastica, mentre le mani e i piedi sono legati con scotch e fil di ferro. Naso e bocca appaiono avvolti da diversi giri di nastro adesivo. La ragazza è morta per asfissia.


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L’ora del delitto

Secondo la ricostruzione dell’accusa, Serena è entrata in caserma poco dopo le 11: è qui che è stata aggredita da Marco Mottola, nella continuazione di una lite iniziata poco prima in auto e su cui hanno riferito due testimoni. Una volta tramortita, la ragazza sarebbe stata lasciata in agonia per oltre quattro ore, fino alla scelta di Franco Mottola di soffocarla coprendole naso e bocca col nastro adesivo e poi legandole mani e piedi col fil di ferro e incappucciandola in una busta di plastica per portarla nel bosco di Anitrella tra la mezzanotte e l’una assieme alla moglie Anna Maria.

La 18enne sarebbe dunque morta in caserma e non nel bosco. La 18enne sarebbe stata tenuta nascosta su un balcone fino a sera e poi caricata nel portabagagli della Lancia K dei Mottola, che il maresciallo sostiene di aver rottamato (sebbene avesse meno di due anni) ma della quale non c’è traccia documentale in nessuno sfascia carrozze. La difesa non ritiene credibile la testimonianza di Tuzi sull’ingresso di Serena in caserma, contesta la mancanza di Dna dei presunti assassini sul nastro isolante (così come sui libri di Serena) e ritiene di fatto inverosimile l’intera dinamica del presunto delitto.



Il movente e la droga

Il padre di Serena, Guglielmo, morto alla vigilia del rinvio a giudizio degli imputati dopo aver combattuto con tutte le sue forze per la riapertura delle indagini, ha sempre sostenuto che il motivo della lite tra Serena e Marco Mottola risiedesse nelle intenzioni della figlia di denunciare la sua attività di spaccio.

Lei stessa ne aveva parlato al padre, riferendo di uno scontro verbale avuto col maresciallo Mottola in piazza, il quale l’avrebbe inviata a non impicciarsi. Serena e Marco avevano per un periodo frequentato la stessa comitiva poi si erano persi di vista.

Le indagini dei carabinieri hanno annotato come il figlio del maresciallo fosse consumatore e venditore abituale di hashish, che custodiva anche in caserma. In almeno una circostanza il padre gli evitò guai peggiori, quando fu fermato a un controllo stradale. Marco ha sempre negato ogni rancore verso Serena, e i suoi difensori ritengono non dimostrato questo movente che secondo la procura è però irrilevante ai fini di determinare l’origine della loro lite una volta accertato che sia avvenuta.

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