MANOCALZATI. Viaggio tra i comuni della verde Irpinia, tra cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana Manocalzati.
Il Paese: Manocalzati
Superficie: 8,75 kmq
Abitanti: 3198 (Manocalzatesi)
Patrono: San Marco (25 aprile)
Cenni storici
In località Selve Torelle fu scoperto un insediamento capannicolo che restituì materiali di interesse archeologico a testimonianza del Neolitico finale (II millennio a. C.) all’età del ferro (IX-XIII secolo a. C.).
Come Malecalceati è menzionato per la prima volta in un atto di donazione del 1038, quando il centro rientrava ancora nel comitato di Avellino. Dal catalogo dei Baroni ricaviamo la notizia che nel 1147 il piccolo borgo era in possesso del signore normanno Pietro de Serra, alla cui famiglia appartenne fino al 1338. L’anno successivo il feudo fu concesso da Roberto d’Angiò al salernitano Giovanni Grillo, professore di diritto civile, da cui lo ereditarono nel 1347 il figlio Ludovico, signore di Baronia di Serra e nel 1374 il nobile Riccardo. L’ultima famiglia a cui appartenne il borgo fu la famiglia di Giovan Battista alla quale appartenne fino alla fine della feudalità (1806). L’odierna frazione di San Barbato, che rappresenta il secondo nucleo abitato del paese, in passato costituì un piccolo feudo autonomo.
(spunti storici dal libro di Giampiero Galasso – I Comuni dell’Irpinia 1989)
Da visitare
Chiesa di San Marcco
Costruito nel 1572 è stato quasi completamente restaurato nella prima metà del secolo scorso. Notevole il portale e la torre campanaria seicentesca. All’interno si conservano tele settecentesche raffiguranti santi e personaggi del Nuovo Testamento.
Chiesa di S. Anna
Trovasi in località San Barbato. La chiesa risale alla seconda metà del XVIII secolo. Vi si accede attraverso un portale di pietra ottocentesco. All’interno, ad una sola navata, tele raffiguranti San barbato ed altri santi.
Castello Medioevale
L’impianto originale risale all’età normanna. Ristrutturato più volte e trasformato in residenza campestre durante il XVII secolo. Pianta rettangolare a quattro torri angolari con leggero basamento. Vi si accede per una lunga scala che conduce al portale in pietra settecentesca da cui attraverso un breve corridoio voltato a botte si giunge nel cortile centrale.
Il Racconto: La Taverna di Nessuno
Una volta tre amici, di buon mattino, decisero di andare insieme a caccia. Uno aveva un fucile senza cane, l’altro un cane senza voce, il terzo non aveva né fucile, né cane né voce. Partirono, dunque, che era ancora buio e, dopo un lungo cammino, arrivarono in un’ampia radura e si fermarono per riprendere fiato. Ma, mentre stavano col naso per aria, passò veloce tra le loro gambe una lepre. Si fermò, poi, lontano su un tronco. Quello con il fucile senza cane sparò comunque e la colpì uccidendola. Felici per il pasto assicurato, tutt’e tre andarono alla taverna di Nessuno.
- Nessuno, ohè Nessuno! – chiamò il cacciatore muto.
- Che volete?- rispose chi non c’era.
- Cuocici questa lepre!
Nessuno li fece entrare e mise subito a cuocere la lepre in una padella senza fondo. I tre amici mangiarono e si saziarono, ma il muto all’improvviso si sentì male e cominciò ad urlare e a bestemmiare per il dolore. Gli altri due, preoccupati, andarono di corsa a cercare un medico ma, cerca di qua cerca di là, cerca lassù cerca quaggiù, cerca in cielo cerca in terra, cerca in lungo cerca in largo…non riuscirono a trovare neppure uno. Seguendo, infine, le indicazioni di un cieco arrivarono in un cimitero, dove l’unico medico della zona passava tutto il tempo ad assicurarsi che i suoi pazienti fossero veramente morti. Lo chiamarono e gli chiesero una cura per l’amico che aveva un forte mal di pancia alla testa. Il dottore che era bravissimo, capì subito di che si trattava e diede questa cura:
- Zampe di serpi, occhi di zanzara, sangue di formica e uova di lumaca, un mestolo e un cucchiaio ogni tre ore: se campa campa, se muore muore!
A cura di Elizabeth Iannone
Racconti da tutta l’Irpinia