AVELLINO. Il calcio italiano continua a imperversare nel caos. Dopo il verdetto Consiglio di Stato, che ha sospeso l’istanza del Tar del Lazio e mantenuto il format della Serie B a 19 squadre, la diaspora per il ripescaggio in Serie B è destinata a proseguire nei tribunali.
Ma come mai si è arrivati a questo? I fallimenti di Avellino, Cesena e Bari hanno liberato 3 posti in Serie B, manifestando, ancora una volta, una situazione che in Italia sembra essere insanabile. Questa è solo la punta di un iceberg molto, molto grande.
NUMERI IMPIETOSI
Praticamente ogni anno, tifoserie e piazze anche molto calde, si ritrovano a fare i conti con fallimenti o penalizzazioni che uccidono il calcio di provincia, quello lontano dai grandi imprenditori e dagli investimenti miliardari.
Negli ultimi 15 anni, tra Serie A, Serie B e Serie C/Lega Pro, sono state infatti 153 le squadre che non sono riuscite a iscriversi a un campionato. Quest’anno, oltre alle tre sopracitate in Serie B, hanno dovuto ammainare la bandiera anche Reggiana, Fidelis Andria e Mestre.
Un’impietosa media di più di 10 club per stagione che non riescono a trovare i fondi per far parte del campionato. E quando, invece, si riesce in extremis a iscriversi, i problemi non tardano ad arrivare. Secondo il “Report Calcio 2018” stilato dalla Figc, dal 2011 al 2017 sono stati sottratti 256 punti in penalizzazioni, considerando le tre principali categorie italiane. Ancora una volta, una media incredibile: circa 36 punti a campionato, quasi quanti ne servirebbero per una salvezza in Serie A.
CALCIO DI PROVINCIA NON PIÙ SOSTENIBILE
Eppure, in Italia, i soldi si investono eccome. Basti pensare alla Juventus, che ha avuto la forza economica di portare in Italia Cristiano Ronaldo, il calciatore più forte del pianeta, pagandolo 31 milioni di euro annui. Un impatto a bilancio, dunque, di circa 62 milioni di euro, una cifra inarrivabile come fatturato per alcune squadre di Serie B.
Dietro di lui, come evidenzia il report bwin sui giocatori più pagati della Serie A, ci sono campioni del calibro di Higuain, Bonucci, Dybala, Dzeko, Insigne: i ‘10 Paperoni’ della massima serie, guadagnano, complessivamente, circa 88 milioni di euro netti. Semplicemente, la ricchezza non viene redistribuita e non si è riusciti a creare, negli anni, un modello di calcio che permettesse ai piccoli imprenditori di riuscire a portare avanti piccole realtà, comunque piene di tifo e di seguito.
Non a caso, l’unica squadra piccola che si è ritagliata uno spazio importante in Serie A è il Sassuolo, che ha alle spalle un proprietario, Giorgio Squinzi, molto ricco.
È possibile andare avanti in questo modo? I numeri, purtroppo, dicono di no. Ci auguriamo che il nuovo presidente della FIGC, Gabriele Gravina, faccia il massimo per risolvere questa situazione alquanto sconfortante.