Inchiesta

Camorra in Campania: la storia del clan Ascione di Ercolano

Quali sono i clan della camorra attivi in Campania? Ecco la storia del clan Alfieri.

Negli anni ’80, una sparatoria dà inizio alla lotta fra due clan camorristici. La prima faida di Ercolano vede contrapposti il clan degli Esposito contro il clan degli Ascione. Con l’omicidio del boss Salvatore Esposito si decreta la vittoria da parte del clan Ascione.

Prima faida

La notte del 4 febbraio 1990 gli scavi archeologici di Ercolano vennero circondati e i custodi immobilizzati. Attraverso un buco nella parete, i rapinatori sono penetrati nelle sale del museo scegliendo i 230 pezzi migliori con un catalogo alla mano. Senza dubbio una rapina mirata, su commissione, forse da ambienti collegati con mercanti d’arte stranieri. Ma i conti non sono tornati e la camorra ercolanese si è trovata subito di fronte a sviluppi imprevisti. Uno dei due clan non ha gradito che il colpo fosse stato compiuto da malavita esterna. Si è poi aggiunto il ruolo dell’avvocato Cesare Bruno, che, tra Portici ed Ercolano, è un penalista molto conosciuto negli ambienti della malavita. Proprio per questo il commissariato gli avrebbe affidato una missione delicata: far girare la voce secondo la quale era bene per tutti che il tesoro trafugato non uscisse da Ercolano. In sostanza un pressante appello per la sua restituzione e il suo recupero. E quando sembrava che la razzia fosse stata commissionata da mercanti svizzeri in contatto con collezionisti londinesi e americani, non si esitò anche a far balenare la possibilità di un premio a chi avesse fornito informazioni utili per il possibile recupero del tesoro. Il primo a subire le conseguenze della rottura degli equilibri fra i due clan vesuviani, è proprio l’avvocato Cesare Bruno: un personaggio più volte coinvolto in inchieste sulla criminalità organizzata. Quando era consigliere comunale di Napoli del Msi-Dn, fu Giorgio Almirante, allora capogruppo alla Sala dei baroni, a chiederne la sospensione dal partito. Appartenente a una delle famiglie più note di Portici, Cesare Bruno era diventato il difensore di molti boss. Il 6 febbraio 1990, appena due giorni dopo il clamoroso colpo, viene ferito in un agguato. I killer gli sparano dall’interno di una Fiat Uno risultata rubata. Le indagini condussero al fermo e poi all’arresto, il 17 febbraio 1990, di Ciro Neri, infermiere di 40 anni presso l’ospedale Ascalesi di Napoli. Era stato sorpreso nella villa di un mercante d’arte a Roma. Lo aveva tradito una ferita alla mano che si era procurato rompendo una delle vetrine del museo. Infine gli arresti degli esponenti dei due clan in lotta: Giovanni Birra di 27 anni, il cognato Stefano Zeno, Antonio Raiola di 27, Michele Beato di 19, Vincenzo e Ferdinando Abbate di 31 e 29 anni, Giuseppe Sannino di 23. Birra e Zeno sono stati sottoposti all’esame subito dopo l’omicidio di Ciro Naldi. Il risultato ha confermato che avevano fatto uso di armi da fuoco. Alcune tracce conducono a Stefano Zeno, 24 anni, uno dei sette pregiudicati allora arrestati. Quando sparano al penalista, in realtà non vogliono ucciderlo. È soltanto un duro avvertimento per lui e per il clan degli Ascione. La reazione non manca ed è violenta. Ha luogo poche settimane dopo. Il primo marzo 1990 ad Ercolano viene ucciso Antonio Esposito, 34 anni, soprannominato Antonio ‘e Giorgino. I killer lo crivellano di colpi, viene gravemente ferito il suo luogotenente, Tommaso Iengo di 42 anni. Tra i due clan è ormai guerra dichiarata. Colpiti duramente, gli Esposito organizzano la controffensiva. Puntano su Ciro Naldi, 19 anni, esponente di punta della banda Ascione. Forse è stato proprio lui il mandante del mortale agguato teso ad Antonio Esposito. Il 14 marzo 1990 cade sotto i colpi di un gruppo di fuoco. Era stato processato poche ore prima per detenzione di una modica quantità di droga. Due giovani killer in motocicletta lo abbattono con una raffica quasi davanti agli scavi di Ercolano.

Seconda faida

Al termine della prima guerra di camorra, e a seguito degli arresti operati nel corso dell’operazione denominata “Nemesi”, avvenuta il 28 febbraio 1996, l’allora clan dominante degli Ascione venne sostanzialmente indebolito. Tale situazione di fatto contribuiva alla creazione di una nuova fazione opposta, creata dalla scissione delle file del clan Ascione, quella di Tommaso Iengo, soprannominato “Masuccio”, e di Giovanni Birra, soprannominato “Giannino a Mazza”. I due decisero di “mettersi in proprio”, ed in particolare nel traffico di stupefacenti, costituendo il clan Iengo-Birra, clan che poteva contare sulla partecipazione di numerosi alleati, tra i quali, la schiera dei Durantini, incaricati dello smistamento di sostanze stupefacenti nella zona alta di via Pugliano, e di numerosi altri spacciatori organizzati in una rete capillare nella zona di via Cuparella e di via Pace. La spartizione del traffico di stupefacenti ad Ercolano diede avvio ad una sanguinosa faida tra i due clan rivali, ovvero gli Ascione e i Birra. Il collaboratore di giustizia Gerardo Sannino, ex affiliato al clan Iacomino-Birra, anni dopo, rivelò i suoi «segreti» riguardanti la faida all’Antimafia di Napoli, ed è stato ascoltato in qualità di teste al processo che vede alla sbarra alcuni dei soldati fedeli a Natale Dantese, boss del Canalone, accusati a vario titolo di camorra e lesioni. Nel corso della sua deposizione, Sannino ha ricordato che in quel periodo doveva comprare la droga dagli Iacomino-Birra anche se era affiliato al clan rivale, perché la cosca di Giovanni «‘a mazza» era la camorra vincente e la droga la dovevano acquistare tutti alla «Cuparella», compreso gli Ascione-Papale. Chi non voleva sottomettersi diventava un bersaglio dei killer degli Iacomino-Birra. Ma la vera goccia che fece traboccare il vaso rendendo ancor più aspra quella faida fu uno “sconfinamento” riguardante le estorsioni. Uno dei due clan andò a riscuotere il pizzo in un negozio che pagava la tangente al clan avversario. La città era praticamente suddivisa a metà dal corso principale, ovvero corso Resina, che segna il confine tra le due zone controllate dalle famiglie camorriste rivali: da una parte quella dei Birra, e dell’altra quella degli Ascione. Questo riferimento rappresentava il sistema per stabilire quale negozio dovesse pagare la tangente a uno dei due clan. Stando alle testimonianze rese da 15 collaboratori di giustizia, sarebbe stata Immacolata Adamo, la “vedova nera” del clan, a gestire i soldi del pizzo, a pagare gli stipendi ai carcerati, a siglare, per un mese appena, la pax mafiosa con i Birra, i nemici degli Ascione. “Le offrirono 25 mila euro al mese per uscire dagli affari illeciti, racconta il pentito Giovanni Savino, ma l’accordo durò poco“. Circostanza confermata e chiarita dal “pentito di lusso” Antonio Birra. Il super pentito chiarisce il ruolo di Immacolata Adamo e in particolare del “doppio gioco” che la moglie del boss avrebbe messo in atto per “stanare” i Birra. «Una volta uscito dal carcere mio fratello inviò 30 milioni di lire ad Adamo Assunta”, racconta il super-pentito, in segno di “rispetto”. “Questo gesto di mio fratello era finalizzato di dire alla Adamo di starsene buona e calma e di smettere di delinquere, perché in quella situazione era lui che comandava“. Un’offerta che la “vedova nera” della camorra avrebbe, almeno in un primo momento, rifiutato, secondo Birra, perché riteneva la somma offerta troppo esigua. Al punto che, a farsi carico della “trattativa” furono Stefano Zeno, l’altro reggente del clan, e Salvatore Viola: “i personaggi più temuti del clan“, come racconta Antonio Birra. Ma donna Imma non mollò. Prima si rifiutò, poi, dopo qualche giorno, si presentò a casa di Giovanni Birra per firmare, secondo la deposizione del super pentito, un accordo farsa. “Qualche giorno dopo si presentò nella stalla un affiliato di Caivano, racconta Birra, ci avvertì che la Adamo aveva offerto 100 milioni di lire per uccidere Stefano Zeno e Salvatore Viola. A quel punto fu chiaro il doppio gioco della Adamo che tramava per aggredirci. Evidentemente il denaro offerto doveva essere poco rispetto alle cifre entrate in casa Ascione per gli affari illeciti“. Fu questa, secondo Birra, una delle ragioni scatenanti alla base dell’incredibile guerra che insanguinò le strade di Ercolano.

 

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