Cronaca

Carne dei supermercati imbottita di antibiotici: l’allarme in Italia

Nonostante un recente trend di riduzione, le vendite di antibiotici destinati agli allevamenti
restano estremamente alte in Italia. Secondo i dati riportati dall’ultimo report dell’Ema (Agenzia europea del farmaco), il nostro Paese è infatti secondo solo a Cipro: anche se l’uso sta diminuendo, rimane comunque 2,5 volte più alto della media europea e fra 20 e 50 volte più alto di paesi come la Svezia e l’Islanda. A lanciare l‘allarme è Ciwf Italia Onlus. In Italia oltre il 90% degli antibiotici destinati agli allevamenti sono usati per l’uso di massa nei mangimi o nell’acqua, mentre in Svezia e in Islanda più del 90% è usato per trattamenti individuali.

Antibiotici nella carne, l’allarme in Italia

Questo mostra, secondo Ciwf, che nel nostro Paese è ancora scarso lo sforzo per limitare l’uso di questi farmaci fondamentali negli allevamenti. In Italia, quasi il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli animali negli allevamenti. Secondo uno studio condotto dall’Ecdc (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) e pubblicato su The Lancet, l’Italia ha il più alto numero di morti causate da infezioni resistenti agli antibiotici in Ue. Oltre 10.700 persone muoiono ogni anno nel nostro Paese, 33.000 in tutta l’Ue.


 


Antibiotici nella medicina umana

L’uso di antibiotici nella medicina umana è la principale causa della resistenza nelle infezioni umane, ma, secondo Ciwf, anche l’abuso di antibiotici negli allevamenti contribuisce in maniera significativa. Somministrare antibiotici agli animali in grandi quantità porta all’emergenza di batteri antibiotico resistenti che possono trasmettersi alle persone tramite il cibo o l’ambiente e possono, in ultimo, causare infezioni antibiotico resistenti.



Per questa ragione l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha chiesto che tutti i Paesi non somministrino più antibiotici agli animali sani, cosa che accade nei trattamenti di massa e preventivi. Coerentemente con questa richiesta, a partire dal gennaio 2022 un nuovo Regolamento Ue vieta l’uso routinario degli antibiotici, inclusi anche i trattamenti preventivi ai gruppi di animali. Il grandissimo uso di antibiotici negli allevamenti italiani è indice del fatto che i trattamenti preventivi siano molto probabilmente molto comuni.

Quali sono i dati sul consumo di antibiotici?

Attualmente, in Italia, non sono disponibili dati sul consumo di antibiotici per specie, ma da aprile 2019 è diventata obbligatoria la ricetta elettronica, che rende disponibili i dati di consumo per specie. Ciwf chiede alle Regioni e al ministero della Salute di pubblicare questi dati non appena saranno disponibili, in un’ottica di trasparenza e per creare la giusta pressione sulle filiere e le regioni che consumano di più.



Uso di antibiotici nell’allevamento

Secondo Cóilín Nunan dell’Alliance to Save Our Antibiotics “l’Italia ha bisogno di intraprendere azioni importanti per prepararsi al divieto europeo sui trattamenti di gruppo del 2022. L’eliminazione graduale dell’uso routinario degli antibiotici deve avvenire molto più velocemente di quanto non stia effettivamente succedendo e l’allevamento deve migliorare i propri standard per ridurre i livelli di malattie, altrimenti il divieto del 2022 arriverà come un grande shock per gli allevatori italiani, perché non potranno più affidarsi alla somministrazione routinaria degli antibiotici ai loro animali”.

Consumo di antibiotici: quali sono le condizioni negli allevamenti italiani?

Per Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf Italia Onlus, “anche se i dati sui consumi effettivi di antibiotici non sono ancora pubblici, è evidente dal rapporto Ema che la nostra zootecnia è tuttora pesantemente dipendente dai farmaci. Le condizioni negli allevamenti italiani, infatti, sono ancora estremamente intensive e gli antibiotici sono il mezzo a cui si ricorre per mantenere in vita gli animali. Ancora una volta diciamo a chiare lettere che non vi può essere sostenibilità in zootecnia senza una radicale inversione di rotta verso sistemi di allevamento più rispettosi del benessere animale e, quindi, della salute delle persone. Attediamo quindi da Regioni e ministero della Salute i dati sul consumo: i cittadini hanno il diritto di sapere”

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