Cronaca

Cassazione: tenere gli animali in catene è ritenuto un reato

La Cassazione parla chiaro: tenere gli animali in catene è da classificarsi come reato. Studio Cataldi ci spiega come e perché.

Gli animali non vanno tenuti in catene, altrimenti è reato

Tenere gli animali legati ad una catena è reato perché si tratta di una condizione non compatibile con la loro natura e perché produttiva di sofferenze nei loro confronti.

Questo è quanto sancito dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 10164/2018 (leggi Cassazione: tenere animali in catene è reato) la quale ha confermato la condanna nei confronti di un gestore del circo ritenuto responsabile di aver tenuto alcuni elefanti legati con catene che limitavano i loro movimenti più elementari.

La vicenda

La vicenda, infatti, riguardava appunto il gestore di un circo che deteneva gli elefanti in una situazione di costrizione fisica, legati a catene così corte da impedire agli stessi ogni tipo di movimento.

L’art. 727 c.p.

L’art. 727, 2° comma, del c.p. punisce “la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la natura e produttiva di grandi sofferenze, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le alte, alle acquisizioni delle scienze naturali”.

La sentenza

La sentenza si riferisce a situazioni che si protraggono nel tempo con costanza e in assenza di particolari condizioni che possano giustificare l’uso delle stesse.
Ad esempio, non può essere condannato il padrone di un cane che lega quest’ultimo alla catena per il tempo necessario alla pulizia del box, o nel caso di specie, un gestore del circo che lega gli animali per procedere alla pulizia del circo o in situazioni di emergenza.
Nel dettaglio, l’uso delle catene è consentito solamente “in via eccezionale” quando ciò è necessario per “provvedere ad esigenze di cura sanitaria e di benessere dell’animale, oltre che di sicurezza degli operatori e, comunque, per il solo periodo nel quale a tali incombenze si debba procedere“.
Si tratta di una pronuncia importantissima che, ancora una volta, va a punire qualsiasi forma di violenza o di maltrattamento nei confronti degli animali, impossibilitati a difendersi e utilizzati per scopi ludici ed economici da parte dell’uomo.
Quanto alla riconducibilità della condotta dell’imputato, infatti, l’uso delle catene risulta contrario alla normale tollerabilità da parte dell’animale in quanto impossibilitato alla deambulazione, all’assunzione della posizione di rilassamento come sdraiarsi di fianco, sia pure nello spazio limitato del recinto in cui è rinchiuso.
Una vera e propria sofferenza, contraria alla natura dell’animale stesso e incompatibile con il compimento delle sue azioni vitali.
Albert Schweitzer, Premio Nobel per la Pace del 1952 scriveva: «A poco a poco si formò in me l’assoluta convinzione che noi non abbiamo nessun diritto d’infliggere sofferenze e morte a un’altra creatura vivente a meno che non ve ne sia una inevitabile necessità e che tutti noi dobbiamo renderci conto di che cosa orribile sia provocare sofferenza e morte per mancanza di riflessione. Non vado mai al giardino zoologico perché non posso sopportare la miserevole vista degli animali in cattività. Aborro l’esibizione di animali ammaestrati. Quante sofferenze e crudeli punizioni le povere creature devono sopportare per dare pochi momenti di piacere a uomini privi di ogni riflessione e sensibilità per loro”.
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