Scienza e Tecnologia

Cellule allevate in laboratorio hanno imparato a giocare ad un videogame: la scoperta

Gli studiosi di tre università australiane insieme alla startup Cortical Labs hanno coltivato cellule di topi e umani che hanno imparato a giocare a Pong, il videogioco lanciato nel 1972

Arriva dall’Australia la straordinaria scoperta: le cellule di topi allevate in laboratorio hanno imparato a giocare ad un videogame. L’esperimento è stato esteso anche ad un gruppo di cellule umane che ha imparato meglio a giocare a Pong, il videogioco del 1972.

Cellule allevate in laboratorio hanno imparato a giocare ad un videogame

“È qualcosa che assomiglia all’intelligenza”, ha detto Brett Kagan, direttore scientifico del Cortical Labs, quando ha visto 800.000 neuroni giocare a Pong, un videogame in bianco e nero degli anni ‘70. Le cellule, dopo qualche tentativo, hanno imparato a giocare da sole ottimizzando i risultati. L’esperimento è figlio della start up Cortical Labs, che ha collaborato con gli esperti di tre università australiane. Tutti insieme hanno creato DishBrain, non proprio un cervello, ma un mix di cellule di topi e di umani che, dopo aver ricevuto dei feedback indotti, hanno imparato a giocare (male) a Pong.

Un esperimento che dimostra l’intelligenza intrinseca delle cellule cerebrali e potrebbe essere sfruttato per studiare l’epilessia, la demenza, gli effetti di droghe, farmaci, alcool, sul cervello. Pong è un videogioco di arcade lanciato nel 1972. Iconico, semplicissimo, per questo è stato scelto per iniziare gli esperimenti. “Abbiamo applicato alle cellule uno stimolo imprevedibile e i neuroni hanno riorganizzato la propria attività per massimizzare il risultato e ridurre al minimo la risposta casuale”.

Sono bastati cinque minuti, e le cellule hanno cominciato a giocare usando un linguaggio condiviso. Ad ogni battuta si è registrato un lieve miglioramento, e “le cellule umane hanno imparato a giocare meglio di quelle dei topi”, ha spiegato Kagan. È da un anno che gli scienziati stanno svolgendo i test per verificare l’esperimento. Ora il loro studio peer-reviewed è stato pubblicato sulla rivista Neuron.

Il metodo di apprendimento

Le cellule sono state collegate a degli array di microelettrodi che potevano stimolare i neuroni e contemporaneamente studiarne l’attività. Gli scienziati hanno rilevato che quando le cellule colpivano la palla si verificavano dei picchi di attività: la dimostrazione che i neuroni possono modificare e adattare la loro attività in tempo reale per raggiungere uno scopo. “L’aspetto bello e pionieristico di questo lavoro risiede nel fornire ai neuroni le sensazioni, il feedback, e soprattutto la capacità di agire sul loro mondo”, aggiunge Karl Friston, neuroscienziato teorico dell’University College di Londra.

Le colture cellulari hanno imparato a rendere il loro mondo più prevedibile agendo su di esso. Un passo fondamentale, proprio perché sarebbe impossibile insegnare l’autorganizzazione, dal momento in cui non esiste un sistema di ricompensa e punizione. “Questo è l’inizio di una nuova frontiera nella comprensione dell’intelligenza”, afferma Kagan. “Tocca aspetti fondamentali, per esempio che cosa significa essere umani, ma anche che cosa significa essere vivi e intelligenti, per elaborare informazioni ed essere senzienti in un mondo dinamico in continua evoluzione”.

Applicazioni future

L’intelligenza sintetica biologica è, per ora, fantascienza. Anche se dopo l’esperimento sulle cellule neuronali, lo è un po’ meno. Nell’immediato potrebbe aiutare i chimici, per esempio, a capire meglio gli effetti dei farmaci sul cervello a livello cellulare. Oppure come droghe e alcool influenzino i neuroni, “stiamo già cercando di creare una dose-risposta con l’etanolo, in pratica far ubriacare le cellule e vedere se giocano peggio, come quando le persone bevono”, spiega Kagan.

Potrebbe essere anche un passo avanti anche per il rinascimento psichedelico, che cerca di capire come gli allucinogeni, dosati, possano diventare una cura per determinate patologie. Si potrebbero anche adattare i farmaci ai pazienti, testando gli effetti sui neuroni raccolti dalla pelle del paziente.”Questo approccio, continuano gli scienziati, potrebbe rivoluzionare diversi campi di ricerca, che spaziano dalla modellazione delle malattie allo sviluppo di nuovi farmaci fino all’approfondimento della conoscenza relativa al funzionamento del cervello e dell’intelligenza”.

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