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Chiusa l’inchiesta sulla mozzarella con soda caustica: in 12 rischiano il processo

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Si è conclusa un’importante fase dell’inchiesta sull’adulterazione di latte e prodotti caseari nelle Marche, con la notifica di 13 avvisi di garanzia. L’indagine, avviata a seguito di segnalazioni di alcuni dipendenti contrari a prassi lavorative ritenute irregolari, ha portato lo scorso aprile al sequestro di circa 90 tonnellate di latte e 110 tonnellate di prodotti lattiero-caseari.

Sequestrate anche 2,5 tonnellate di sostanze sofisticanti, tra cui soda caustica, per un valore complessivo vicino agli 800 mila euro.

Soda caustica nella mozzarella, 13 persone a processo

Le verifiche sono state effettuate negli stabilimenti di Fattorie Marchigiane, controllata dal gruppo Cooperlat, a Montemaggiore al Metauro (Colli al Metauro) e Jesi. Tra i destinatari degli avvisi di garanzia figurano figure dirigenziali, responsabili di produzione, tecnici di laboratorio, consulenti aziendali e trasportatori.

I reati contestati, a vario titolo, riguardano frode in commercio, vendita di sostanze alimentari non genuine, adulterazione e contraffazione di alimenti, commercio di prodotti nocivi e falsità materiale, come previsto dagli articoli 515, 516, 440 e 477 del codice penale.

Le accuse mosse dalla Procura

L’indagine ha portato alla luce pratiche sistematiche di adulterazione. Secondo l’accusa, i prodotti venivano alterati chimicamente mediante l’uso di sostanze vietate, come soda caustica e acqua ossigenata, per prolungarne la conservazione e migliorarne l’aspetto. Alcuni formaggi, compresi quelli a marchio DOP, sarebbero stati commercializzati con ingredienti non dichiarati. Sarebbero stati riutilizzati resi di cagliate scadute o in cattivo stato e conferito latte contenente antibiotici e aflatossine, sostanze nocive per la salute.

Ulteriori irregolarità includevano la falsificazione dei campioni di latte destinati alle analisi e la manipolazione dei referti per rientrare nei parametri legali. La comunicazione di tali direttive, sostiene la Procura, avveniva tramite messaggi WhatsApp inviati dai vertici aziendali ai dipendenti.

In un lotto sequestrato lo scorso maggio è stata inoltre riscontrata la presenza del batterio Escherichia Coli, mentre i prodotti in generale risultavano avere una carica batterica superiore ai limiti consentiti.

L’udienza preliminare deciderà sull’eventuale rinvio a giudizio degli indagati. Intanto, i difensori – tra cui gli avvocati Matteo Mattioli, Paolo Biancofiore e Filippo Ruggeri – si preparano a contestare le accuse mosse ai propri assistiti.

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