Cronaca

Coronavirus, “ceppo milanese” isolato all’Irccs ospedale San Raffaele

Il “ceppo milanese” del nuovo coronavirus è stato isolato all’Irccs ospedale San Raffaele del capoluogo lombardo. Il Laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Istituto del Gruppo San Donato, diretto dal professor Massimo Clementi, ha isolato l’agente patogeno da due pazienti con infezione respiratoria acuta ricoverati in ospedale da sabato 29 febbraio. Altre cinque colture provenienti da altri pazienti sono al momento in corso e, se avranno esito positivo, costituiranno ulteriori campioni di virus isolato.

Coronavirus, “ceppo milanese” isolato

“L’Istituto Spallanzani di Roma ha isolato il virus ‘cinese’, l’ospedale Sacco di Milano ha isolato proprio quello di pazienti dell’area di Codogno, il nostro è dell’area milanese, sempre quindi del focolaio lombardo – spiega all’AdnKronos Salute Clementi, ordinario di Microbiologia e Virologia all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano – Per la ricerca è molto importante averne sempre di più. Il nostro obiettivo deve essere disporre di un numero sufficiente di coronavirus diversi per poter testare farmaci o sviluppare nuove terapie”.

Il team di scienziati dell’Irccs di via Olgettina ha isolato il virus prelevato dai pazienti e lo ha trasferito in coltura. L’idea, evidenzia Clementi, “è di metterlo insieme” ai ‘cugini’ “responsabili di Sars (Sindrome respiratoria acuta grave) e Mers (Sindrome respiratoria del Medio Oriente) per saperne sempre di più”.

Il Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele ha una lunga esperienza nello studio dei coronavirus e nel 2003 ha isolato l’unico stipite italiano di Sars-Coronavirus. Ora del nuovo patogeno i ricercatori evidenziano una peculiarità: “Abbiamo visto – riferisce Clementi – che il virus Sars-CoV-2 cresce in maniera molto veloce ed efficiente in coltura”. Gli scienziati milanesi hanno potuto toccarlo con mano: “Si è sviluppato rapidamente in pochissimi giorni, da venerdì pomeriggio a ieri. Diversamente dal virus della Sars, che è più lento e richiede un maggior adattamento. Ora noi possiamo fare questi confronti con virus conosciuti”. Per il nuovo coronavirus, conclude il docente, “si tratta dell’ulteriore evidenza che si trasmette molto efficientemente anche in vitro, oltre che in vivo”.

 

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