Cronaca

Coronavirus, il commovente post di Gabriele Corsi: “Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri…”

Commuove sul web il post di Gabriele Corsi (ex Trio Medusa). Commuove perché è umano, vero, forte in un periodo di difficile emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus. Tanti, purtroppo, stanno morendo da soli, negli ospedali. E allora Corsi ne parla come se fossero il padre, la madre, gli zii di tutti noi.

Coronavirus, il post di Gabriele Corsi (ex Trio Medusa) commuove il web

“Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri.

Era mio padre. Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa.

Era mia madre. Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare.

Il dolore più grande. Lei. Da sola. Era mia madre. Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile.

Era mio zio. Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri. Era mio zio. Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra.

Era mia zia. La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte. Era mia zia. Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica.

Erano mio padre. Erano mia madre. Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici. Quelli che, adesso, non possiamo piangere. Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono. Ma io sì. Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”. E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente”.


 

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Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri. Era mio padre. Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa. Era mia madre. Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare. Il dolore più grande. Lei. Da sola. Era mia madre. Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile. Era mio zio. Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri. Era mio zio. Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra. Era mia zia. La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte. Era mia zia. Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica. Erano mio padre. Erano mia madre. Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici. Quelli che, adesso, non possiamo piangere. Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono. Ma io sì. Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”. E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente.

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