Cronaca

Coronavirus, perché in Italia ci sono più contagi? Ecco le motivazioni

Siamo ancora lontani dalla fine dell’emergenza coronavirus. La domanda che molti si fanno è: perché in Italia ci sono tanti contagi (oltre 4.600) e nessun’altra nazione Ue ha raggiunto cifre a tre zeri? Proviamo a rispondere con l’aiuto degli esperti.

Coronaviurs, perché in Italia ci sono più casi?

Perché in Italia ci sono più casi di Covid19 rispetto altri paesi europei? A questa domanda hanno provato a rispondere alcuni esperti.

Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco: «Sulla base dei dati epidemiologici possiamo dire che il virus ha cominciato a circolare in Italia alla fine di gennaio e si è ampiamente diffuso, restando sotto traccia, soprattutto nella cosiddetta zona rossa.».

I «super diffusori»

Paolo Bonanni, ordinario di Igiene all’Università degli Studi di Firenze e componente della Società italiana di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica: «Al momento non sappiamo perché in l’Italia si sia verificato il picco di contagi e non siamo riusciti a ricostruire le tappe dell’arrivo dell’infezione, perché nei primi tempi non si è attivato il tracciamento dei casi con sintomi respiratori.

I controlli venivano riservati a chi proveniva dalla Cina (come nel caso dei primi due pazienti ricoverati allo Spallanzani) o aveva avuto contatti con cinesi. Da metà gennaio abbiamo visto, anche nel Lodigiano, casi di polmoniti complicate, forse provocate dal nuovo virus. Non escludo la presenza di uno o più super diffusori: soggetti in cui il microrganismo si replica in quantità tale da poter infettare molte persone in tempi brevi».

Il numero di contagi

Il numero elevato di contagi in Italia potrebbe essere anche legato al fatto che si fanno più tamponi e che si notificano anche i soggetti positivi ma non ricoverati?
Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi: «Con una metafora potremmo dire che ci siamo resi conto dell’iceberg solo quando è emersa la punta, ovvero il primo caso grave. ù

Solo allora, nel tentativo di tracciare il paziente zero e circoscrivere il focolaio, sono stati eseguiti numerosi test sui soggetti a rischio, individuando casi che in altre nazioni non sono stati presi in esame: molti Paesi infatti hanno scelto di sottoporre a tampone solo i soggetti sintomatici, in quanto più pericolosi in termini di trasmissione ad altri.

Peraltro va detto che l’epidemia ha coinciso con un’epidemia influenzale caratterizzata soprattutto dai virus H1N1 e N3N2, che danno effetti respiratori pesanti. Credo che anche in Cina ci sia stata inizialmente una difficoltà legata a questo aspetto: alcuni pazienti possono essere stati ritenuti erroneamente a vittima di patologie stagionali

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