Scienza e Tecnologia

Diagnosi ultraprecoce del cancro, l’oncologa Natalia Malara

Natalia Malara, di Messina, è un’oncologa italiana, è lei ad aver aperto la strada verso la diagnosi ultraprecoce del cancro. 

Diagnosi ultraprecoce del cancro, dietro c’è l’oncologa Natalia Malara

Ha iniziato a studiare prestissimo (elementari a 4 anni, università a 16 e mezzo). Si divide tra la casa e l’università di Catanzaro. E su Nature ha pubblicato uno studio rivoluzionario.
Malara, oggi 48 anni, nata a Messina, ha iniziato le elementari a quattro anni,l’università a 16 e mezzo.
Quando ho vinto l’unico posto disponibile per la specializzazione alla Cattolica di Roma, in facoltà, mi chiamavano “la papessa”.
La credevano tutti figlia di un barone della medicina, non certo di un matematico-ingegnere e di una farmacista. Lei ne ride:
Qui in Italia, se uno eccelle, va così. Fu una cosa simpatica che mi portai dietro per un po’ e fu un incentivo a dimostrare il mio valore sul campo.
Aveva, ai tempi, già due figlie, che stavano con lei a Roma mentre il marito, ingegnere, la raggiungeva per il fine settimana:
Mi ha sempre lasciata libera, sono poi andata in Calabria dove già lavorava lui, dando ascolto a mio padre che mi ha sempre detto “prima la famiglia” e di questo lo devo ringraziare, tornassi indietro, lo rifarei.
La dimensione familiare è sempre stata un arricchimento. Io, la mattina, preparo il pranzo per le ragazze e faccio anche il pane, sono i profumi della casa che fanno la famiglia e ti cambiano la giornata.

Decisivo per la sua attività di ricerca è il fatto che l’università di Catanzaro, retta da Giovanbattista De Sarro, ospita in ospedale, raro caso in Europa, un laboratorio di nanotecnologia, il BioNem, coordinato dal professor Patrizio Candeloro.

Malara, da medico, si è intrufolata tra i fisici e i chimici. È lì, che, trafficando con vetrini, protoni, aldeidi e altro, mette insieme il protocollo di medicina transazionale avanzata da applicare a un dispositivo elettrochimico che promette una diagnosi ultraprecoce dei tumori con una «biopsia liquida», un esame del sangue poi messo in coltura per circa 14 giorni.

L’intuizione le è venuta studiando il caso di un 17enne con una lesione mesencefalica:
Per capire se era maligna o benigna, serviva una biopsia invasiva, pungendo una zona del cranio ricca di centri nervosi che controllano il respiro e le attività vegetativa e motoria, era troppo rischioso.
A lei però, venne l’idea di analizzarne il sangue in modo diverso. Spiega:
In un campione da 5 ml ci sono moltissime cellule tumorali, ma la proporzione rispetto alle altre cellule è paragonabile al rapporto esistente fra la torre più alta di Shanghai e la distanza Terra-Sole. Però, pensai che, riuscendo a mettere in coltura solo quelle tumorali, avrei dato loro evidenza. Devo ringraziare per la fiducia che mi ha concesso il professor Giuseppe Viglietto, che dirige il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica.
Il dispositivo è stato costruito interamente all’ospedale di Germaneto. Lei lo definisce il frutto «di un’ingegneria e ingegnosità tipicamente italiane».

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