Economia

Inflazione accelera di nuovo a giugno, così solo nel 1986

Così l'Istat a commento dei dati definitivi di giugno: le tensioni inflazionistiche continuano a propagarsi dai beni energetici, prezzi alimentari spingono quelli del carrello della spesa

A giugno 2022 l’inflazione accelera di nuovo salendo a un livello (+8,0%) che non si registrava da gennaio 1986 (quando fu pari a +8,2%). Le tensioni inflazionistiche continuano a propagarsi dai beni energetici agli altri comparti merceologici, nell’ambito sia dei beni sia dei servizi.

Economia, a giugno 2022 l’inflazione torna ad accelerare

Lo sottolinea l’Istat a commento dei dati definitivi di giugno. Pertanto, i prezzi al consumo al netto degli energetici e degli alimentari freschi (componente di fondo; +3,8%) e al netto dei soli beni energetici (+4,2%) registrano aumenti che non si vedevano rispettivamente da agosto 1996 e da giugno 1996. Al contempo, l’accelerazione dei prezzi degli alimentari, lavorati e non, spingono ancora più in alto la crescita di quelli del cosiddetto ‘carrello della spesa’ (+8,2%, mai così alta da gennaio 1986, quando fu +8,6%).

Euro-dollaro, raggiunta la parità

Un euro vale un dollaro: la parità tra le due valute non si vedeva da vent’anni, quando la moneta unica europea era stata adottata da meno di 365 giorni. A causare il livellamento la difficile situazione dell’economia europea. Ma una moneta debole non è sempre una brutta notizia per gli affari

Come ricorda Repubblica, all’inizio del 2021 in un McDonald’s bastavano 6,7 euro per acquistare un Big Mac (7,99 dollari negli Stati Uniti). Oggi con la parità monetaria, il celebre panino ci costerebbe 7,99 euro. Stesso esempio, ma con prezzi maggiorati per un altro iconico prodotto made in Usa, l’Iphone: uno smartphone Apple da 800 dollari un anno fa ci sarebbe costato “appena” 670 euro, oggi 130 euro in più.

La logica del mercato monetario in questi casi è ferrea: quando una moneta si indebolisce, importare prodotti dall’estero costa di più perché il cambio diventa sfavorevole rispetto a prima. Allargando il campo, l’euro debole influisce negativamente sulle importazioni energetiche, perché fa aumentare ulteriormente il costo dell’energia e il prezzo delle materie prime, che paghiamo in dollari: nel 2008, quando il petrolio superava i 130 dollari al barile, l’euro forte abbassava il prezzo finale in Europa di circa un terzo. Oggi questo effetto non c’è più.

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