Cronaca

Epatite nei bimbi, Palù: “Casi non legati a Covid, non escluso nuovo virus”

“Molto improbabile” il legame col Covid, l’adenovirus per ora “maggiore imputato”, ma “non si può escludere del tutto” che possa essere implicato un nuovo virus. Il virologo Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa, fa il punto su quello che si sa finora riguardo alle epatiti acute a eziologia sconosciuta in bimbi precedentemente sani segnalate da diversi Paesi nel mondo, dopo il Regno Unito che per primo ha dato l’allarme.
Cosa si è scoperto? Il primo punto che ribadisce Palù in un’intervista al ‘Corriere della Sera, è che si può escludere un collegamento con il vaccino anti Covid, “un’ipotesi definitivamente abbandonata dopo l’attenta indagine condotta dalla agenzia britannica per la sicurezza sanitaria”.

Epatite nei bimbi: “Casi non legati a Covid, non escluso nuovo virus”

“Dal 20 aprile – continua l’esperto – sono stati segnalati 166 casi di epatite acuta, 111 nel Regno Unito, i primi descritti a livello internazionale. Per la maggior parte si tratta di bambini sotto i 5 anni, dunque non vaccinati. Lo stesso fenomeno è stato segnalato negli Stati Uniti (12 casi), in Israele (12) e in Giappone (1). In Europa i casi confermati sono stati 55. In Italia gli episodi di epatite acuta sospetti sono 17, nessuno confermato ufficialmente”. Improbabile che si tratti di strascichi del Covid, spiega Palù: “La sintomatologia non è riconducibile direttamente al Covid anche se il 16% dei casi erano positivi a Sars-CoV-2, una percentuale molto vicina a quella che si riscontra nella popolazione pediatrica considerando che molti bimbi hanno avuto l’infezione in assenza assoluta di sintomi”.

Quanto all’effetto lockdown, una delle tesi su cui hanno acceso i riflettori diversi esperti, e alla possibilità che l’immunità dei bambini, tenuti per mesi sotto una campana di vetro e disabituati al contatto con virus e batteri, possa essersi abbassata rendendoli più suscettibili alle infezioni, “è soltanto un’ipotesi al momento – precisa Palù – Si basa sulla presunzione che l’assenza di esposizione ai comuni agenti infettivi dovuta all’isolamento e alle mascherine abbia contribuito ad abbassare le difese dell’organismo. Circostanze che avrebbero contribuito a rendere più severa una banale infezione virale o a un’eccessiva risposta immunologica. Altri però potrebbero essere i cofattori come agenti tossici provenienti da alimenti o dall’ambiente. Spiegazioni senza conferma”.

Osservato speciale su tutti è l’adenovirus: “Su 53 episodi esaminati dall’agenzia britannica, 40 erano positivi all’adenovirus e questo sembra ora il maggiore imputato dato che è un microrganismo noto come causa di infezioni respiratorie e gastroenteriche in bambini e negli adolescenti – evidenzia Palù – Altri virus sono stati esclusi. Sui 40 casi, una decina sono dovuti a un tipo specifico di adenovirus, F41. Sono in corso approfondimenti di genetica e su campioni di fegato per capire se si tratti di un ceppo diverso da quelli conosciuti”.

E se l’ipotesi di un nuovo virus “non si può escludere del tutto”, Palù aggiunge anche che “bisognerebbe però dimostrarlo, e i dati sono ancora troppo pochi e recenti. Ricordo che nell’89 i futuri premi Nobel per la medicina, Houghton, Alter e Rice, identificarono il virus C come causa di un’epatite allora definita non A-non B”.


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