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Chi è Epicuro? Percorriamo insieme la storia del faro che illumina il pensiero laico

Epicuro, nato a Samo il 10 febbraio del 341 a.C. e morto ad Atene nel 270 a.C., è stato un filosofo greco antico. Celebre per la sua filosofia correlata al concetto di piacere e dolore, perseguita dai Catari durante il periodo della “grande eresia” e perpetuato in seguito dalle correnti laiche dell’era moderna.

Epicuro, tutto quello che c’è da sapere sul faro che illumina pensiero laico

Discepolo dello scettico democriteo Nausifane e fondatore di una delle maggiori scuole filosofiche dell’età ellenistica e romana, l’epicureismo, che si diffuse dal IV secolo a.C. fino al II secolo d.C., quando, avversato dai Padri della Chiesa subì un rapido declino, per essere poi rivalutato secoli dopo dalle correnti naturalistiche dell’Umanesimo, del Rinascimento e dal razionalismo laico illuminista.

Biografia

Epicuro

Nato nel 341 a.C., probabilmente il ventesimo giorno del mese di Gamelione (10 febbraio), del terzo anno della 109ª Olimpiade, sotto l’arcontato di Sosigene (342-341) sull’isola di Samo, figlio di Neocle, un maestro di scuola, e di Cherestrata, una maga, fu chiamato Epicuro (che significa pressappoco “soccorritore”) in onore di Apollo (questo era uno degli epiteti del dio). Frequentò la scuola di Panfilo seguace del pensiero platonico, e successivamente quella del democriteo Nausifane a Teo, località sulle coste dell’Asia Minore.

Dopo i 30 anni

Epicuro

All’età di 32 anni, dopo avere elaborato una sua dottrina, fondò la sua scuola, prima a Mitilene e a Lampsaco, e infine nel 306 a.C. ad Atene, dove aveva già vissuto per il servizio militare, il cosiddetto periodo di “efebato”, richiesto anche agli abitanti di Samo. L’isola era infatti stata parte integrante della vecchia lega delio-attica, e inoltre il padre era originario proprio di Atene, essendo uno dei coloni mandati nel 352 a.C., il che faceva di Epicuro un cittadino ateniese a tutti gli effetti. Pochi anni dopo gli ateniesi di Samo saranno tutti cacciati ad opera dei vecchi abitanti, che avevano perso la loro isola dopo una guerra contro Atene. Epicuro, i fratelli e il fedele schiavo dovettero viaggiare per avere un luogo dove risiedere in pace, al riparo dalle persecuzioni che i platonici avrebbero fomentato.

Acquistò quindi una casa ad Atene, per ottanta mine, dove istituì la scuola. La casa era dotata di un giardino (in greco κῆπος; da cui il nome di “filosofia del giardino” dato all’epicureismo, “filosofi del giardino” i seguaci) dove i discepoli, tra i quali anche donne, come la famosa etera Leonzio, e persino schiavi, seguivano le lezioni del maestro e ne studiavano gli scritti, vivendo, come lui stesso, in maniera semplice e frugale, trattati come compagni e in maniera democratica, qualunque fosse la condizione sociale. Fu uno dei primi filosofi a teorizzare un egualitarismo sostanziale fra gli esseri umani. Anche i suoi tre fratelli si dedicarono con lui alla filosofia. Sebbene fosse assertore della non partecipazione alla vita sociale e politica, sostenne il governo macedone.

Polemiche con l’aristotelismo

Epicuro
Epicuro ritratto da Raffaello ne La scuola di Atene (particolare).

La filosofia della scuola del “giardino” era in polemica con le dottrine socratico-platoniche e con l’aristotelismo, ma anche con le scuole minori come i cinici, i megarici, i cirenaici e con lo stoicismo, l’altra grande scuola ellenistica, che stava iniziando a diffondersi proprio in quel periodo. Secondo Diogene Laerzio, lo stoico Diotimo mise in circolazione false lettere per diffamarlo, così come lo diffamarono anche Plutarco e molti altri esponenti delle scuole rivali.

Morte

Epicuro

Epicuro morì ad Atene di calcoli renali e per le relative complicanze, all’età di settantadue anni circa, nel secondo anno della 127ª Olimpiade, sotto l’arcontato di Pitarato (271-270), quindi probabilmente tra febbraio e dicembre del 270 a.C.:

«Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bevve d’un fiato. Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero, spirò. Noi abbiamo scritto per lui questo epigramma: «”Siate felici e memori del mio pensiero”, furono le ultime parole di Epicuro agli amici. Entrato nel calore della tinozza, con uno stesso sorso bevve vino puro e il freddo della morte. Tale fu la sua vita e tale la sua fine».

I “Filosofi del Giardino”

Aprì poco dopo i trent’anni una propria scuola a Mitilene; da qui passò a Lampsaco e infine (dal 306) ad Atene, scegliendo un giardino a sede della scuola (lui e i discepoli saranno detti perciò “filosofi del giardino”).

Volendo scoprire il fine cui l’uomo tende come animale, Epicuro trova che questo è il piacere, non come godimento sensuale, ma come moto regolato, εὐστάϑεια, equilibrio dell’essere con sé medesimo, che eviti le lacerazioni e risparmi perciò il dolore.

Il saggio coglierà questo equilibrio contentandosi di poco e vivendo appartato (λάϑε βιώσας: “vivi nascosto”); dalle offese degli uomini e dai colpi della fortuna solo l’amicizia può proteggere.

Non basta però tenere a freno i desiderî smodati, occorre liberarsi dai timori. La filosofia ha così il compito di offrire all’uomo il “quadrifarmaco”, cioè la medicina capace di guarire dai quattro timori che rendono infelice la vita dell’uomo: il timore degli dei, della morte, del dolore (che è intenso e allora passeggero, o cronico e allora sopportabile serenamente), dell’impossibilità di raggiungere il piacere.

Questa guarigione, questa liberazione però non può venire che da un sano criterio (“canone”) di verità (e “canonica” è detta la dottrina del “canone della verità”), il quale sta nell’evidenza posseduta dalle sensazioni, fondamento di tutta la conoscenza (i concetti essendo riassunto mnemonico del percepito e anticipazione – “prolessi” – del percepibile).

Leucippo e Democrito

Al fine di articolare questo processo, egli riprende la fisica atomistica di Leucippo e Democrito, apportandovi però delle correzioni sostanziali: il moto di caduta degli atomi non è meccanico ma “naturale”, cioè ordinato secondo un principio chiuso, nel ritmo di un circolo limitato (è finito il numero di forme degli atomi); su questo moto naturale si innestano però i turbamenti dovuti agli urti e le deviazioni (Epicuro parla di παρέγκλισις “declinazione”: il clinamen nell’espressione di Lucrezio) che rendono conto dell’iniziativa di movimento che è nell’animale.

È chiaro che l’abbandono al flusso “naturale” è l’unica garanzia di piacere; e felici in sommo grado, beati, sono gli dei che se ne stanno negli intermundia a godersi la loro beatitudine, senza curarsi degli uomini, ché questo violerebbe certo la loro serenità.

Ma se l’uomo perciò non deve temere gli dei, ancora meno egli paventerà la morte: l’anima è un corpo fatto di atomi, che con la morte del rivestimento carnale si dissolve. Onde la famosa proposizione di Epicuro, per cui la morte è nulla per noi, perché quando ci siamo noi la morte non c’è e quando c’è la morte non ci siamo più noi.

Il piacere

Epicuro

L’unica cosa che resti è il piacere sereno nella tranquilla pace dell’anima, che si deve godere senza proporsi vanamente di renderlo durevole, ché l’immortalità, l’estensione infinita della durata, è solo un’illusione.

Il piacere che Epicuro pone come fine non è perciò il piacere “cinetico” (in movimento) dei Cirenaici, ma il piacere “catastematico” (in riposo), consistente nell’eliminazione del dolore, nella stabile e armonica calma dell’equilibrio atomico. Soli piaceri stabili sono perciò l’atarassia (mancanza di turbamento) e l’aponia (assenza di dolore), conseguibili mediante una limitazione dei desideri, cioè delle cause dei dolori: il saggio, quindi, appagherà i desideri “naturali e necessari” (per esempio il desiderio del cibo), non invece i desideri “naturali ma non necessari” (come per esempio di un cibo gustoso) e tanto meno i desideri “non necessari né naturali”, che sorgono solo da vana opinione e da bisogni artificiali.

Non al futuro quindi deve mirare il saggio per cercarvi un’impossibile felicità, ma al passato e al piacere goduto, la cui memoria come ricordo di una realtà può confortare realmente del presente dolore, motivi, questi, di sereno umanesimo. Alla morte del maestro, la direzione del Giardino, divenuto il centro d’una associazione religiosa vera e propria (si rendeva culto allo stesso Epicuro), passò ai quattro καϑηγεμόνες (“principi”): Ermarco di Mitilene, Metrodoro, Polieno e Colote di Lampsaco.

Tra i suoi adepti più noti sono Apollodoro (2º secolo), Zenone di Sidone (discepolo di Apollodoro), Filodemo di Gadara, la cui biblioteca è stata ritrovata a Ercolano, Polistrato e Diogene di Enoanda.

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