Cronaca

Giallo a Genova: trovato morto sui binari il boss di Sciacca, fedelissimo di Totò Riina

Lo storico capomafia era stato scarcerato poiché molto malato. Aperta un'indagine sull'accaduto

Giallo a Genova, trovato morto il boss di Sciacca Totò Di Gangi, fedelissimo di Totò Riina. Di Giangi era stato appena scarcerato dal carcere di Asti, dove stava scontando una condanna a 17 anni per mafia. Il ritrovamento è avvenuto la notte scorsa. Dai primi accertamenti Di Gangi sarebbe stato investito da un treno. Gli investigatori stanno cercando di ricostruire gli ultimi movimenti.

Trovato morto Totò Di Gangi: aperta un’indagine 

La procura di Genova ha aperto un fascicolo a carico di ignoti sulla morte di Totò Di Gangi. Il sostituto procuratore della Dda Federico Manotti ha disposto l’autopsia. Sul caso stanno indagando la Squadra mobile di Genova e gli agenti della Polizia ferroviaria. Al momento la questura genovese esclude che possa essersi trattato di un omicidio e propende per una disgrazia.

Di Gangi, che era in custodia cautelare ad Asti, era stato scarcerato perché molto malato. L’uomo era sceso dal treno alla stazione di Genova Principe, poi si era incamminato in una galleria ferroviaria dove è stato investito. Il cadavere è stato ritrovato intorno alle 20.30. A travolgerlo sarebbe stato un treno merci. Di Gangi aveva in tasca un biglietto ferroviario con destinazione una città del Sud.

Chi era Totò Di Gangi, capomafia fedelissimo di Riina

Il nome di Di Gangi, storico capomafia ottantenne, è riapparso a ottobre nell’indagine sul resort Torre Macauda, alberghi lusso di Sciacca protagonista di diverse inchieste di mafia e ritenuto di fatto di proprietà del padrino corleonese Totò Riina. Secondo i pm della Dda di Palermo, coordinati dall’aggiunto Paolo Guido, Di Gangi sarebbe stato uno dei veri proprietari della struttura e per questo la Procura recentemente aveva effettuato una perquisizione nella sua cella.

L’indagine

Secondo gli inquirenti la società che gestisce Torre Macauda, la Libertà Immobiliare, sarebbe di fatto riconducibile al boss Di Gangi e al figlio Alessandro che, attraverso una serie di operazioni illecite, sarebbero tornati in possesso della struttura alberghiera sommersa dai debiti. Un giro vorticoso di denaro, scatole cinesi, imprenditori compiacenti e sullo sfondo la complicità di un dirigente di banca che avrebbe rilasciato una quietanza per un pagamento di 8 milioni avendone ricevuti solo 4. L’indagine, molto complessa, aveva portato all’esecuzione di perquisizioni in due filiali della UniCredit di Palermo e alla notifica di otto avvisi di garanzia tra gli altri a Di Gangi, al figlio Alessandro e a un funzionario dell’istituto di credito.

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