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Il 6 febbraio è la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili

Il 6 febbraio costituisce la Giornata mondiale contro le mutilazioni dei genitali femminili. Le FGM (“female genital mutilation”) comprendono tutte le procedure volte ad alterare o danneggiare i genitali femminili per ragioni non mediche e sono state riconosciute, a livello internazionale, come una violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze.

6 febbraio, Giornata mondiale contro le mutilazioni dei genitali femminili: che cos’è e qual è l’obbiettivo principale di questa giornata?

La giornata costituisce una campagna di sensibilizzazione volta a smascherare la brutalità di certe pratiche spacciate per cultura tradizionale ed educare al diritto delle donne di non subire tortura e trattamenti inumani, crudeli e degradanti a dispetto di qualcosa che può anche causare la morte o comportare gravi conseguenze, che sia nell’immediato o nel lungo termine.

6 febbraio

Le associazioni: UNFPA e UNICEF

A tal proposito UNFPA e UNICEF cooperano con il comune obiettivo di porre fine alle mutilazioni ed escissioni genitali femminili e sono oltre 6.000 le comunità di villaggio che hanno scelto di abbandonare questo scempio inumano.

Le associazioni invitano la comunità internazionale a unirsi in questo fondamentale impegno, nella convinzione che si possa porre termine a queste pratiche nel giro di una generazione, aiutando così milioni di bambine, ragazze e donne a vivere in salute e dignità.

I numeri preoccupanti delle pratiche tuttora in vigore nel Mondo

Ogni anno 3 milioni di donne e bambine nella sola Africa affrontano l’incubo delle mutilazioni genitali. Nel mondo si calcola siano 140 milioni quelle che hanno subito questo tipo di intervento.

Il programma di sensibilizzazione

Il programma, lanciato nel 2008, stimola le comunità locali ad abbandonare collettivamente le FGM nel giro di una generazione, facendo leva su un approccio culturale che possa includere il dialogo e le iterazioni sociali.

La strategia si rivolge e coinvolge l’intera comunità, in primo luogo i leader religiosi e le giovani stesse. Piuttosto che condannare apertamente il fenomeno, viene incoraggiato l’abbandono collettivo per evitare ritorsioni da coloro che la esercitano reagendo con ostilità anziché farli giungere a una rinuncia volontaria.

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