Cronaca

In Gran Bretagna cresce la variante indiana del Covid | Cos’è e quanti casi ci sono in Italia

In Gran Bretagna crescono i casi di variante indiana del Covid. Ma che cos'è  di preciso? E quanti casi sono stati scoperti in Italia?

In Gran Bretagna crescono i casi di variante indiana del Covid. Ma che cos’è  di preciso? E quanti casi sono stati scoperti in Italia? Vediamo insieme tutti i dettagli.

In Gran Bretagna cresce la variante indiana del Covid: cos’è

In Gran Bretagna nell’ultima settimana viene segnalato un aumento di casi dovuto a una nuova variante presente nel Paese, la variante identificata con la sigla B.1.617 e il nome di «indiana», dato che è stata sequenziata e segnalata per la prima volta in India.

Aumento maggiore in settimana

I casi della variante indiana nel Regno Unito sono 77 (in una settimana), ma sono l’aumento maggiore rispetto alle altre varianti. Lo vediamo nella tabella (mappa «termica» QUI sotto) compilata dal professor Duncan Robertson, docente di analisi delle politiche e delle strategie presso la Loughborough University (in Inghilterra), basata sui dati pubblicati giovedì dal Servizio Sanitario nazionale (Public Health England).


 


 

(fonte professor Duncan Robertson- @Dr_D_Robertson)(fonte professor Duncan Robertson- @Dr_D_Robertson)
Nella mappa, divisa in settimane nell’asse delle ascisse, i colori evidenziano i casi sequenziati di una variante (con il numero relativo) dal più chiaro al più scuro quando aumentano. La varianti sono elencate nell’asse delle ordinate a sinistra. Dalla tabella viene esclusa la B.1.1.7, la variante inglese ormai predominante nel Paese. I casi della variante indiana sono i più numerosi (anche se alcuni potrebbero essere stati rilevati in precedenza e segnalati solo adesso), ovviamente sempre relativamente alla percentuale di test positivi sequenziati, che nel Regno Unito è un po’ sopra (in media) al 10 per cento di tutti i positivi rilevati.

Trovata anche in Italia

La variante B.1.617 è stata segnalata per la prima volta in India, ma da allora è stata trovata anche altrove, inclusa la California. Nel portale internazionale PANGO lineages, si evidenzia che il 42% delle sequenze di B.1.617 depositate arriva dall’India, il 18% dalla Gran Bretagna, il 9% dagli Usa, ma ci sono casi anche in Germania (il 6% delle sequenze depositate), Svizzera (5%), ma c’è anche l’Italia, che ha segnalato 5 sequenze (contro le 282 dell’India).

Due mutazioni di rilevo particolare

Ancora non si conoscono nel dettaglio le proprietà della variante indiana, ma si possono prevedere alcune caratteristiche guardando, nel genoma, le particolari mutazioni che prevede. Tutti i 15 cambiamenti di amminoacidi di B.1.617 differiscono da quelli di tutte le altre varianti, se confrontati con il ceppo D614G dominante a livello globale e designato come B.1, con due notevoli eccezioni.
Le eccezioni si trovano in una regione della proteina spike: la prima è una mutazione denominata L452R uguale alla modifica riscontrata nella variante californiana (B.1.427). Esperimenti di laboratorio dimostrano che questo cambiamento aumenta la trasmissibilità e diminuisce il riconoscimento degli anticorpi (anche di quelli presenti nel plasma dei guariti e di alcuni anticorpi monoclonali neutralizzanti).
La seconda mutazione di interesse si verifica nell’amminoacido 484. Molte delle varianti che preoccupano, come la sudafricana, la brasiliana e una peculiare variante del Kent, hanno una mutazione chiamata 484K, che si ritiene aiuti il virus a eludere almeno parzialmente le risposte immunitarie del corpo e quelle di alcuni vaccini. Anche la variante indiana B.1.617 è mutata nella posizione 484. Tuttavia, la mutazione 484 è diversa. L’acido glutammico è sostituito dall’amminoacido polare non caricato glutammina arrivando alla sigla E484Q. Esperimenti di laboratorio confermano che questo cambiamento conferisce anche un aumento delle proprietà di legame della spike con il recettore umano ACE2 e di evasione immunitaria.

L’importanza del sequenziamento

Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per esplorare il ruolo di queste mutazioni e l’impatto che potrebbero avere, la combinazione delle due mutazioni suddette, a volte chiamata «doppio mutante», contribuirebbe a spiegare la maggiore trasmissione della variante indiana nel suo paese d’origine: l’India sta vivendo un’ondata devastante di coronavirus, anche se non è chiaro quanto la variante B.1.617 stia contribuendo ad alimentare l’impennata dei casi. Un parametro fondamentale in questi casi infatti è proprio quello della capacità di sequenziamento dei vari Stati dove si diffondono le varianti. Molte di esse sono note perché sono state mappate e descritte in Gran Bretagna, che è uno dei Paesi dove si sequenzia di più.

Il ruolo (opposto) di Paesi come GB e Brasile

Il futuro del virus, schiacciato dai vaccini e dall’immunità di milioni di guariti, si decide in questi mesi. Le varianti possono svilupparsi maggiormente in Paesi, come Israele e la Gran Bretagna, dove il virus «normale» o ancestrale (wild) non riesce più a trovare persone da infettare e quindi deve cambiare, o in Paesi (come il Brasile) dove si diffonde senza contenimento e quindi può mutare rapidamente, visto che il virus può mutare ogni volta che si replica. Importante quindi, soprattutto in questa fase della pandemia, è monitorare l’insorgenza e la diffusione di nuove varianti e attrezzare i vaccini ad affrontarle.

La terza dose

Anche se per ora i vaccini sembrano efficaci su quasi tutte le varianti di maggior preoccupazione (variants of concern), con lievi discese nell’efficacia soprattutto per quanto riguarda la sudafricana, l’idea di pensare a una terza dose che combatta le varianti è quella predominante.

Le case farmaceutiche ci stanno già lavorando e, soprattutto per quel che riguarda i vaccini a tecnologia RNA, non sembra difficile o troppo lungo aggiornare il farmaco con qualche cambiamento ad hoc: ad esempio Moderna ha comunicato il 13 aprile ottimi risultati di efficacia nello studio di Fase II che sta effettuando per un vaccino modificato in funziona della variante sudafricana, ma anche altre aziende sono in fase clinica avanzata su questa ipotesi che potrebbe trasformare la lotta al coronavirus in una prassi molto simile alla stagionale lotta contro l’influenza, con un virus che muta poco e un vaccino che ogni anno viene aggiornato.


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