Cronaca

“Ero piccolo, inventai tutto”. Parla Davide, bambino zero del Caso Veleno: 16 bimbi tolti ai genitori

Inchiesta Diavoli della Bassa Modenese, testimonianza shock di Davide: "Ero piccolo, inventai tutto" ha rivelato

Dopo ventitré anni si registra una clamorosa svolta nell’ambito dell’inchiesta sui Diavoli della Bassa Modenese, con il racconto shock di Davide, noto come il bambino zero. In una intervista a Repubblica ha svelato: “Né abusi né riti satanici, 16 bimbi tolti ai genitori per le mie accuse inventate. Ora ho trovato il coraggio di dire la verità”. Insomma, erano tutte invenzioni.

Dell’inchiesta sui “Diavoli della Bassa Modenese” si è occupato Paolo Trincia col podcast Veleno, pubblicato nel 2017 da Repubblica. Sulla vicenda è stata realizzata anche una recente docu-serie per Amazon Prime.

Inchiesta Diavoli della Bassa Modenese, cosa ha detto Davide, il bambino zero

. Davide (che viene chiamato ‘Dario’ nell’inchiesta) era un bambino dato in affido a un’altra famiglia perché, dice: “i miei genitori erano poveri”, ma di frequente il bambino tornava dalla sua famiglia naturale, come prevedeva la prassi: “Un giorno vidi che la mia mamma naturale molto triste e quando tornai nella casa della mia famiglia affidataria ero cupo anche io. La donna che poi divenne la mia madre adottiva si convinse che venivo maltrattato dai miei genitori naturali. E così iniziarono i colloqui con i servizi sociali. Mi tenevano anche 8 ore”.

Il racconto prosegue: “La psicologa e gli assistenti sociali mi martellavano fino a quando non dicevo quello che volevano sentirsi dire. Io avevo anche paura che, se non li avessi accontentati, sarei stato abbandonato dalla mia nuova famiglia, e così inventai. Inventai tutto. Abusi e cimiteri, violenze e riti satanici”.

All’interno di una famiglia disagiata di Massa Finalese, per alcuni periodi i due figli minori vengono affidati a strutture esterne; per brevi periodi i due bambini tornano nella casa dei genitori e, dopo uno di questi periodi, dai racconti dei bambini, prima alla madre affidataria e poi alla psicologa del servizio sociale, si ipotizza che potrebbero esserci state delle molestie su uno dei bambini da parte del fratello maggiore e del padre. Alla psicologa del servizio sociale, Valeria Donati, uno dei bambini inizia a raccontare alcune accuse, che col tempo si arricchiscono di particolari scabrosi; attraverso i colloqui condotti con la tecnica del “disvelamento progressivo“, il bambino coinvolge sempre più persone; il 17 maggio 1997 vengono arrestati con l’accusa di pedofilia il padre e il fratello.


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Inchiesta Diavoli della Bassa Modenese: cos’è successo

Il bambino racconta di abusi e violenze oltre che di filmati pedopornografici, coinvolgendo altre persone e un numero non precisato di bambini e, in seguito a ciò, il 15 luglio 1997 venne chiesto il rinvio a giudizio per sette persone. I filmati non vennero comunque mai ritrovati. La chiesa di San Biagio Vescovo Martire, dove officiava don Giorgo Govoni. Del gruppo di pedofili satanisti, viene accusato di essere il capo don Giorgio Govoni, parroco di San Biagio (frazione di San Felice sul Panaro) e Staggia (San Prospero). A parte i racconti dei bambini non esistono altre prove.

 

Tra il 14 gennaio 1998 e il 10 aprile 1998 si svolse il primo processo, noto come “Pedofili 1” in cui vennero condannati sei imputati, tra cui i genitori del bambino per 56 anni di carcere. Durante questo primo processo, l’inchiesta si estese a seguito delle rivelazioni fatte dai bambini alle assistenti sociali e ottenute sempre con la tecnica del disvelamento progressivo, aggiungendo così particolari inverosimili e raccapriccianti, con un numero sempre maggiore di bambini coinvolti e di crimini che ora riguardano anche omicidi, decapitazioni oltre a orge con il coinvolgimento dei loro genitori.

Vengono sentiti altri bambini della Bassa che vivono in situazioni di difficoltà e vengono coinvolte sempre più persone. Una bambina in affidamento a una famiglia di Mantova accusa anche la propria maestra nella scuola mantovana che non aveva nessun collegamento con gli altri imputati o con le altre presunte piccole vittime. A seguito delle indagini vennero allontanati anche altri sedici bambini dalle proprie famiglie.

Nel frattempo, il 12 novembre 1998 vennero prelevati dalle forze dell’ordine i quattro figli minori dei coniugi Lorena e Delfino Covezzi di Massa Finalese (Mo), prima accusati solo di scarsa vigilanza sui propri figli in quanto non si erano accorti che essi partecipavano a riti satanici, e poi, a seguito di quanto raccontato da alcuni dei loro figli, verranno coinvolti nell’accusa di pedofilia e abusi sessuali.

I bambini racconteranno di strani riti in cui era coinvolto il prete don Govoni, con la complicità dei genitori che mettevano a disposizione i propri figli per cerimonie orgiastiche nei cimiteri durante le quali, secondo il racconto dei due bambini, gli accusati avrebbero lanciato in aria i bambini lasciandoli poi cadere a terra; psicologi, assistenti sociali e magistrati credettero a questi racconti ricostruendo un ambiente nel quale i Covezzi in combutta col sacerdote, compivano riti con bambini che venivano procurati loro, dietro compenso, dalle famiglie povere della zona. I racconti dei bambini non trovano riscontri in quanto non si hanno prove dei riti condotti nei cimiteri né si trovano cadaveri di bambini che sarebbero stati buttati nel fiume.

 Secondo le accuse scaturite dai racconti dei bambini sentiti dagli assistenti sociali e dagli psicologi, nei cimiteri di notte si sarebbero compiuti per anni riti orgiastici dove sarebbero stati abusati e in alcuni casi sgozzati altri bambini; i cadaveri sarebbero poi stati gettati nel fiume Panaro da don Govoni; i bambini sarebbero stati spinti a questi riti satanici dai loro stessi genitori. Nessuna denuncia di scomparsa risulta però agli atti e nessun cadavere è stato mai ritrovato. Una delle figlie di Covezzi racconterà poi di aver subito abusi dagli zii Emidio e Giuseppe e dal nonno Enzo sempre in presenza di don Govoni; vennero quindi arrestati Emidio, Enzo e Giuseppe Covezzi.

Il processo

Nell’aprile 1999 don Govoni è rinviato a giudizio nel processo Pedofili Bis insieme ad altri 16 imputati. Al processo verrà accusato di usare una ghigliottina nei cimiteri per decapitare bambini della quale però non si trova traccia come non si trovano corpi nel fiume Panaro dove li avrebbe gettati oltre a non esistere denunce di scomparsa per alcun bambino nella zona. Il processo si conclude nel 2000 con la condanna a 14 anni per Govoni.

Sebbene non fosse stato ritrovato alcun cadavere, né nessuna altra prova come foto o filmati e inoltre che nessun abuso fosse stato infine certificato, il 5 giugno 2000 il tribunale comminerà pene più dure di quelle richieste dall’accusa per un totale di 157 anni di carcere. Don Govoni non sarà condannato in quanto il tribunale decise di «non doversi procedere per morte del reo», ma nelle motivazioni della sentenza verrà indicato come il capo della setta; nelle motivazioni verrà riportato che sebbene «non risulti accertato se si sia trattato di violenze rituali effettive o simulate», tuttavia questo «è necessario ai fini della integrazione degli elementi costitutivi della fattispecie di reato contestato».

Il processo di appello nel marzo 1999 e la Cassazione nel settembre 2000 confermarono le condanne del primo processo, noto come “Pedofili 1” ma solo per gli abusi in ambito domestico e non per quelli che sarebbero stati commessi nei cimiteri.

Nella deposizione di una dei bambini, verbalizzata dal PM Andrea Claudiani il 10 aprile 1999 si legge che: “Anch’io ho dovuto partecipare con le mie mani all’uccisione di una bambina. Questa bambina è stata uccisa al cimitero con un coltello piantato nella pancia e nel cuore. E’ stato mio padre con GiuliO a ordinarmi di farlo e a tenermi le mani mentre lo facevo. Mentre le infilavo il coltello la bambina ha gridato e le è uscito sangue. Io ero molto impaurita e mi sentivo male perché l’avevo uccisa proprio io. So chi è questa bambina uccisa: si tratta di Marilisa, abitava nello stesso palazzo di mia zia a Finale Emilia“. A seguito del processo, il padre di questo bambina venne condannato nel 2000 a 16 anni, mentre Don Giulio a 19, ma solo per l’accusa di abuso sessuale e sequestro di persona e non di omicidio perché la vittima citata, Marilisa, non risulta sia mai morta così come non sono mai stati recuperati i molti cadaveri delle presunte vittime dei rituali satanici citati nel racconto dei dodici minori. Non venne ritrovato nessun resto umano, così come non vennero trovate foto né tanto meno i filmati che i bambini raccontarono di aver visto girare durante i riti nei cimiteri. Le condanne complessive per tutti gli imputati ammontarono a 157 anni di carcere con l’indicazione come reo dello stesso defunto don Govoni.

Il processo di appello “Pedofili 2” nel luglio 2001, confermato poi dalla Cassazione nel 2002, ha assolto gli imputati. Nel 2005, e poi di nuovo nel 2012 a seguito di un ricorso dell’Ausl, i fratelli Giuseppe ed Emidio Morselli vennero assolti dalle accuse per le violenze sulla nipote così come il padre Enzo che però era intanto deceduto.

Si scoprì successivamente che le tecniche per condurre i colloqui con i minori da cui poi erano seguite le denunce sono state poi ritenute inadatte e fuorvianti in quanto si suggerivano le risposte che da loro ci si aspettava, inoltre non esistono prove filmate di questi colloqui, cosa poi ritenuta fondamentale nel caso di minori. Le ricerche nel fiume dove si riteneva fossero stati gettati i cadaveri dei bambini dal prete non diedero alcun esito. Secondo gli inquirenti nel caso erano coinvolte 17 persone e sette sacerdoti; alle famiglie coinvolte nella presunta setta furono sottratti dalle autorità tredici minori. Durante l’inchiesta e nei successivi processi, molte delle persone coinvolte morirono per varie cause. Una delle madri si suicidò; altre sette persone morirono per varie cause come don Govoni un giorno prima della sentenza. Lorena fuggì in Francia, lasciando in Italia il marito Delfino il quale non riuscì a vedere la conclusione a seguito di un infarto che lo uccise poco prima della sentenza di assoluzione. I Covezzi vennero condannati a dodici anni di carcere nel settembre 2002 ma nel giugno 2010 vennero assolti in appello; sentenza confermata dalla Cassazione nel 2014.


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Nonostante le assoluzioni, i bambini sottratti alle famiglie non verranno mai restituiti. Nel 2018, una delle vittime, in una intervista riferì di essersi inventata gli abusi quando aveva otto anni perché la psicologa Valeria Donati e le altre psicologhe dei servizi sociali di Mirandola le raccontavano a lungo di messe nere e di riti pedo-pornografici che don Govoni avrebbe compiuto al cimitero di Massa Finalese. I bambini sarebbero stati sottoposti a veri e propri interrogatori per incastrare i presunti pedofili, tra cui gli stessi genitori. La ragazza afferma pertanto di essere stata manipolata e convinta a raccontare cose non vere come altri bambini come lei. La pressione psicologica sarebbe stata tale che i bambini si sarebbero calati inconsapevolmente nel ruolo di vittime. Oltre a lei, altri quattro bambini hanno poi ritrattato dei sedici coinvolti.

Il 20 aprile 2019 è stata accolta una prima istanza di revisione del processo per Federico Scotta, condannato a 11 anni (pena già scontata) ed il quale non ha mai più potuto rivedere i suoi figli. La Corte d’Appello di Ancona, nel settembre 2020, ha rigettato l’istanza di revisione.

L’inchiesta sui bambini

Il 14 giugno 2021 sul quotidiano La Repubblica uno dei bambini chiave dell’inchiesta, Davide che ora ha 31 anni, ha detto di essersi inventato tutto. “Né abusi né riti satanici, 16 bimbi tolti ai genitori per le mie accuse inventate” – ha dichiarato al quotidiano. E ha poi aggiunto: “Ricordo diversi colloqui anche di 8 ore. Psicologa e assistenti sociali non smettevano finché non dicevo quello che volevano loro. Mi dicevano che ero coraggioso”.

Il caso giudiziario ha ricevuto diverse critiche per le modalità di interrogazione dei bambini e della valutazione della loro attendibilità (in particolare per l’utilizzo della tecnica del cosiddetto “svelamento progressivo”), per la mancanza di prove, per le modalità con cui i bambini sono stati allontanati delle famiglie (senza più farvi ritorno, neanche nei casi di assoluzione), per l’inverosimiglianza delle ipotesi di riti satanici (poi smentite nei processi) e per la lunghezza dell’iter processuale (conclusosi nel 2014). A processo non vennero portati agli atti né appunti né registrazioni dei racconti dei bambini ma solo le parole riportate dalle assistenti sociali al PM.

Per i legali degli imputati, i servizi sociali suggestionarono i bambini e li ascoltarono senza videoregistrarne le testimonianze, che vennero fatte poi solo in un secondo momento quando ormai erano stati plagiati.

A seguito di un reportage giornalistico vennero ritrovati alcuni filmati degli interrogatori dei bambini nei quali viene mostrato come avvenivano i colloqui degli assistenti sociali coi bambini:

In un altro video un bambino parla di sgozzamenti e di sangue bevuto e, alla domanda su cosa facesse sua mamma nel frattempo, il bambino risponde che “Lei lavava il sangue… Va bene quello che ho detto?”. In un altro racconta “io ne ho uccisi almeno cinque, ma anche di più!”.

 

Amministratori locali, psicologi e assistenti sociali vennero accusati dalle autorità ecclesiastiche di avere instaurato una prassi sbrigativa per l’allontanamento dei minori dalle famiglie difficili.

Nel reportage giornalistico Veleno (2017) pubblicato sul sito del quotidiano La Repubblica vengono criticate duramente le indagini dell’epoca e le modalità di interrogatorio dei bambini, intervistando testimoni ed ex imputati, compresi alcuni dei bambini sentiti come testimoni allora e successivamente convinti di essere stati manipolati dalle psicologhe, gettando pesanti dubbi anche sulle condanne confermate in Cassazione.

La ONLUS che ha fornito alcune delle consulenze che hanno portato ai processi della Bassa Modenese sarebbe la stessa che nel giugno 2019 è stata indagata per la vicenda dei bambini tolti alle famiglie in provincia di Reggio Emilia.

In seguito al clamore suscitato dall’inchiesta Veleno si è costituito il Comitato “voci vere, vittime della Bassa modenese” che intende “tutelare coloro che allora furono vittime di reati sessuali, perlopiù accertati giudizialmente, rispetto alla ricostruzione distorta e unilaterale che oggi si sta facendo sull’accaduto. Il Comitato è composto da alcune famiglie affidatarie e adottive di alcuni ex bambini che continuano ad accusare i familiari e Don Giorgio Govoni di abusi sessuali, e i cui nuovi genitori affidatari hanno sempre avuto un legame molto stretto con la psicologa dei Servizi Sociali Valeria Donati, la prima ad indentificare gli abusi nei minori già sottratti. Voci Vere è anche legato al Centro Studi Hansel e Gretel di Torino e al suo direttore scientifico, Claudio Foti.

La ex moglie di Foti, Cristina Roccia, è stata una delle consulenti del Tribunale di Modena all’epoca dei processi. Nel giugno del 2019 proprio Claudio Foti, assieme ad alcuni membri delle associazioni “Hansel e Gretel” e “Rompere il Silenzio”, sono stati coinvolti nell’inchiesta della Procura di Reggio Emilia “Angeli e Demoni”. Secondo la Procura, diversi bambini appartenenti a famiglie della Val d’Enza sarebbero stati sottratti alle famiglie per essere sottoposti a una psicoterapia invasiva e induttiva di falsi ricordi, affinché accusassero i genitori di abusi sessuali mai avvenuti. Tra gli indagati – oltre ad alcuni assistenti sociali e psicologi – c’è anche la nuova moglie di Claudio Foti, la psicoterapeuta Nadia Bolognini. Per gli inquirenti, il movente sarebbe quello economico.

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