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Lorenzo il Magnifico: biografia, signoria, successione, viaggi, congiure, guerre e successi

Lorenzo di Piero de’ Medici (detto Lorenzo il Magnifico) nato a Firenze l’1 gennaio del 1449 e morto a Careggi l’8 aprile del 1492, fu signore di Firenze dal 1469 alla morte, il terzo della dinastia dei Medici.

Lorenzo Il Magnifico, tutto quello che c’è da sapere sul signore di Firenze

È stato anche uno scrittore, mecenate, poeta e umanista, nonché uno dei più significativi uomini politici del Rinascimento, sia per aver incarnato l’ideale del principe umanista, sia per l’oculatissima gestione del potere.

Lorenzo divenne, insieme al fratello minore Giuliano, signore de facto di Firenze dopo la morte del padre Piero. Nei primi anni di governo (1469-1478), il giovane Lorenzo condusse una politica interna volta a rinforzare da un lato le istituzioni repubblicane in senso filo-mediceo, dall’altro a sopprimere le ribellioni delle città sottoposte a Firenze (celebri i casi di Prato e Volterra). Sul fronte della politica estera, invece, Lorenzo manifestò il chiaro disegno di arginare le ambizioni territoriali di Sisto IV, in nome dell’equilibrio della Lega Italica del 1454.

Per questi motivi, Lorenzo fu oggetto della Congiura dei Pazzi (1478), nella quale il fratello Giuliano de’ Medici rimase assassinato. Il fallimento della congiura provocò l’ira di papa Sisto, del re di Napoli Ferrante d’Aragona e di tutti coloro che erano intimoriti dal rafforzamento del potere mediceo su Firenze. Seguirono, pertanto, due anni di guerra contro Firenze, nella quale il prestigio interno e internazionale del Magnifico si rafforzarono enormemente grazie alla sua abilità diplomatica e il suo carisma, con cui riuscì, da un lato a sgretolare la coalizione anti-fiorentina, dall’altro a mantenere unite le forze interne alla Repubblica.

Divenuto negli anni ottanta l’ago della bilancia della politica italiana, trattato come un sovrano dai monarchi stranieri, Lorenzo legò il suo nome al periodo di massimo splendore del Rinascimento fiorentino, circondandosi di intellettuali – Poliziano, Ficino, Pico della Mirandola – e di artisti quali Botticelli e il giovane Michelangelo. Con la sua prematura scomparsa nel 1492, Firenze si ribellò all’inetto figlio Piero per consegnare il potere nelle mani del frate Girolamo Savonarola. Come conseguenza, la rivalità dei signori italiani, non più frenati dalla diplomazia di Lorenzo, permise a Carlo VIII di Francia di scendere in Italia e dare inizio alle guerre franco-spagnole del XVI secolo.

La Criptosignoria medicea

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Gaetano Grazzini, Statua di Lorenzo il Magnifico, 1846, Loggiato degli Uffizi, Firenze.

Quando Lorenzo nacque, la famiglia Medici era all’apice del suo potere politico nella Repubblica fiorentina, controllando le varie e complesse istituzioni repubblicane deputate al funzionamento dello Stato. Il nonno di Lorenzo, Cosimo, era riuscito, grazie all’enorme fortuna finanziaria del suo banco, a legare a sé numerosi politici fiorentini e a farsi portavoce del malessere popolare, dovuto alla soffocante oligarchia di nobili capeggiata dagli Albizzi.

Nel 1434, dopo appena un anno di esilio a Venezia, Cosimo rientrò a Firenze, esiliò gli Albizi e, seguendo un modello politico già adottato nell’antichità da Ottaviano Augusto, mantenne le istituzioni repubblicane vigenti dandole in appalto a uomini del suo entourage, e formalmente si ritirò a vita privata. Il controllo reale, però, rimaneva in mano a Cosimo: ciò ha spinto gli storici a definire tale forma di governo ”criptosignoria”, ove l’anima dell’orientamento politico repubblicano stava nelle mani di un unico uomo e della sua famiglia.

Educazione

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Figlio di Piero di Cosimo de’ Medici e di Lucrezia Tornabuoni, Lorenzo nacque il 1º gennaio 1449 (secondo il vecchio calendario fiorentino, nel 1448) a Firenze, nel Palazzo Medici Riccardi, e fu battezzato il 6 di quel medesimo mese in occasione dell’Epifania. Lorenzo, insieme al fratello Giuliano, ricevette una profonda educazione umanistica e un’accurata preparazione politica, entrambe seguite attentamente dal nonno Cosimo e dai genitori.

Nella fanciullezza, Lorenzo fu seguito e preparato da Gentile da Urbino, mentre dal 1457 la sua educazione passò nelle mani di umanisti come Cristoforo Landino, Giovanni Argiropulo per gli studi su Omero, Marsilio Ficino per la filosofia neoplatonica e Antonio Squarcialupi per la danza. Il nonno Cosimo si affezionò in modo particolare al nipote Lorenzo, col quale era solito conversare e discutere. Il giovinetto manifestò un precoce interesse verso l’Accademia neoplatonica, e a soli 12 anni era solito partecipare alle dotte disquisizioni del Ficino nella Villa di Careggi.

Crisi di successione

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Lorenzo non era che un adolescente allorché lo zio Giovanni, secondogenito di Cosimo il Vecchio e successore designato alla guida del Banco dei Medici, morì nel 1463 dopo una vita piena di stravizi. La salute cagionevole del proprio primogenito Piero (soprannominato “il Gottoso” a causa della malattia che lo affliggeva, la gotta) aveva infatti spinto Cosimo a decidere che fosse Giovanni a succedergli alla guida del Banco di famiglia. Con la morte di quest’ultimo, l’anziano Cosimo cadde in uno stato melanconico, continuamente assillato dal problema della successione. Fu così che pensò di riporre le proprie speranze nei figli di Piero: Lorenzo e Giuliano sarebbero potuti divenire aiutanti e successori del padre infermo. Prima di morire, Cosimo raccomandò a Piero di non trascurare l’educazione dei due ragazzi, e di trattarli come se fossero uomini nonostante la loro giovane età.

Tra Venezia e Milano (1465)

Agnolo Bronzino, Piero di Cosimo de’ Medici, olio su tela, 1550-70, National Gallery. Il breve governo di Piero, dovuto alle condizioni di salute malandate, fu contrassegnato da un colpo di Stato e dal rafforzamento del potere mediceo su Firenze.

Prima di fargli fare il suo ingresso nella vita politica cittadina, il padre Piero pensò di affidare a Lorenzo alcune missioni diplomatiche a Milano e a Venezia, dove vi erano due filiali del Banco dei Medici. Il giovane Lorenzo avrebbe così potuto acquisire una panoramica generale della situazione politica italiana e saggiare di persona gli animi dei vari governanti. Il 17 aprile 1465 il giovane Medici conobbe nella città di Pisa il principe Federico di Napoli, diretto a Milano per rappresentare il fratello Alfonso al suo matrimonio con Ippolita Maria Sforza. Lorenzo, che nel frattempo aveva stretto amicizia con Federico, fu costretto a partire dalla Toscana in direzione di Venezia, seguendo un percorso che l’avrebbe portato a conoscere le principali personalità politiche dell’epoca: a Bologna Lorenzo conobbe Giovanni Bentivoglio, mentre a Ferrara fu accolto da Borso d’Este.

Dalla città estense proseguì per Venezia, dove fu presentato al doge Cristoforo Moro. Conclusa l’esperienza veneziana, il giovane Medici si recò a Milano dove conobbe Francesco Sforza, amico e alleato del nonno Cosimo. In quella che era la capitale del Ducato di Milano il giovane Lorenzo fu informato da Pigello Portinari, direttore della locale filiale medicea, sul come comportarsi durante il colloquio col duca. Il soggiorno milanese, tuttavia, durò poco: egli dovette infatti rientrare a Firenze per accompagnare Ippolita Maria Sforza (con la quale strinse una profonda amicizia e, in seguito, una collaborazione politica) e Alfonso, ormai novelli sposi, lungo il tragitto che li avrebbe portati nel Regno partenopeo.

Roma e Napoli (1466)

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Lorenzo ripartì nel 1466 per recarsi a Roma, dove si trovava un’importante filiale del Banco dei Medici gestita da Giovanni Tornabuoni, fratello della madre Lucrezia. Piero il Gottoso aveva dato precise istruzioni di verificare l’andamento della banca, e fu proprio Lorenzo a firmare il contratto che assicurava ai Medici una partecipazione nelle miniere di allume scoperte a Tolfa, vicino Civitavecchia, in accordo col papa Paolo II. Da Roma, Lorenzo giunse, attraverso la via Appia, a Gaeta ove soggiornava la corte del Re Ferrante d’Aragona, che lo ricevette con molte cerimonie pubbliche. Successivamente, Ferrante gli concesse un incontro privato in cui il giovane Medici ebbe modo di portare al sovrano i saluti del padre e di descrivergli alcune delle problematiche interne e familiari. Nel rientrare a Firenze Lorenzo poteva ritenersi soddisfatto dell’esito del suo viaggio, ma la situazione interna dello Stato non permetteva di stare tranquilli.

Congiura del 1466

L’8 marzo del 1466 sopraggiunse un grave colpo alla stabilità del potere mediceo, ovvero la morte improvvisa di Francesco Sforza, duca di Milano e convinto sostenitore della criptosignoria medicea. A seguito del vuoto di potere generatosi a Milano (Galeazzo Maria Sforza, l’erede al trono, era in Borgogna al momento del decesso del padre), in concomitanza con la salute cagionevole e la politica finanziaria di Piero il Gottoso (finalizzata alla riscossione immediata dei prestiti che il padre Cosimo aveva elargito alle famiglie nobili fiorentine in cambio della loro fedeltà), che aveva tra l’altro manifestato l’intenzione di fidanzare il figlio Lorenzo con la nobildonna romana Clarice Orsini e non con una fiorentina come la tradizione voleva, il partito antimediceo si risvegliò.

Il primo fra i nemici di Piero, il ricchissimo Luca Pitti, alleatosi con la famiglia degli Acciaiuoli e con Diotisalvi Neroni (quest’ultimo amico di lunga data di Cosimo il Vecchio), organizzò una congiura indirizzata all’esautoramento di Piero e al suo innalzamento quale nuovo arbitro della Repubblica. Pitti e gli altri congiurati poterono contare, inoltre, sul sostegno estero della casa degli Este: il marchese Borso inviò infatti a Firenze il fratellastro Ercole a capo di 1300 uomini, pronti a intervenire per supportare l’insurrezione interna. Il colpo di stato, nello specifico, prevedeva l’assassinio di Piero lungo il tragitto dalla villa di Careggi a Firenze, itinerario che egli era solito percorrere senza una grande scorta.

Il piano di Pitti, però, fu prontamente sventato dallo stesso Piero il quale, prevenendo l’azione dei congiurati, si armò e avvisò tutti i suoi sostenitori di organizzare la controffensiva. Nel contempo, Piero riuscì a convincere Pitti a passare nella fazione medicea e, con l’aiuto di 2000 fanti milanesi inviati da Galeazzo Maria Sforza, riuscì a ripristinare la sua autorità. Dei restanti congiurati, Diotisalvi Neroni, Angelo Acciaiuoli e Niccolò Soderini furono esiliati, mentre l’Arcivescovo di Firenze Giovanni de’ Diotisalvi dovette ritirarsi a Roma. Luca Pitti, sebbene non subì alcuna persecuzione giudiziaria, venne punito da tutto il popolo fiorentino, che non lo considerò più uno dei suoi maggiori cittadini e anzi lo evitava e ne parlava irrispettosamente. Il ruolo di Lorenzo fu sicuramente importante, in quanto sostenne attivamente il padre e guidò il gruppo di armati legati ai Medici, distinguendosi nella difesa della vita paterna lungo la via che da Careggi portava a Firenze.

Ascesa politica di Lorenzo e il matrimonio con Clarice Orsini (1466-1469)

Mentre Firenze stava combattendo una coalizione veneto-ferrarese finalizzata a porre fine all’egemonia medicea, Piero de’ Medici provvide a presentare Lorenzo come suo legittimo successore alla guida della famiglia. Poco dopo la fallita congiura del 1466, infatti, Piero fece sedere il diciassettenne Lorenzo al proprio posto nella Balìa e nel Consiglio dei Cento. Con lo scopo di rafforzare ulteriormente la posizione della famiglia Medici, Piero e Lucrezia Tornabuoni si decisero a porre in atto il progetto di matrimonio tra il giovane Lorenzo e la romana Clarice Orsini.

Clarice, proveniente da una delle più nobili famiglie romane, fu esaminata e giudicata direttamente da Lucrezia nel corso di un suo soggiorno a Roma del 1468, il cui resoconto fu inviato in modo assai dettagliato a Piero. Il progetto matrimoniale fu avallato da entrambe le famiglie: i Medici, oltre a ricevere 6000 fiorini romani, puntavano a entrare nella cerchia patrizia pontificia e assumere un carattere più cosmopolita; gli Orsini, d’altro canto, si sarebbero imparentati con la famiglia più ricca d’Europa. Dal canto suo, Lorenzo aveva visto la ragazza e manifestato la sua approvazione alla madre a cui lasciò il compito di preparargli il matrimonio.

Nei suoi ricordi (una sintetica raccolta di importanti informazioni ed eventi della sua vita compilata nel 1472) Lorenzo specificò le due fasi del fidanzamento: il momento in cui Clarice gli fu data come promessa sposa nel 1468 (ovvero quando l’unione venne celebrata per procura a Roma il 10 dicembre 1468, con Filippo de’ Medici quale rappresentante di Lorenzo) ed il momento successivo in cui le nozze ebbero luogo il 4 giugno del 1469 con rito religioso a Firenze, cui seguirono grandi feste patrocinate da Piero. Negli stessi ricordi, egli inoltre annotò la gravidanza della moglie e la nascita dei primi figli (Lucrezia, Piero e due gemelli morti poco dopo la nascita) e concluse pregando Dio di proteggere lei ed i loro figli da ogni pericolo.

I due erano molto diversi: Lorenzo era gaudente, intriso di cultura neoplatonica e amante della vita, mentre Clarice era di educazione rigida e austera, profondamente religiosa e poco edotta di letteratura e cultura umanistica. Ciononostante, la corrispondenza fra i due mostrava toni di affetto e rispetto reciproco e vi è motivo di credere che un sentimento sincero nacque fra loro negli anni. Lorenzo non dedicò alcuna poesia alla consorte, tuttavia si considera che la sua lirica seguiva la scia di Petrarca, quindi la scuola trobadorica e le teorie di Andrea Cappellano secondo cui l’Amor Cortese può essere soltanto adulterino ed esclude un rapporto matrimoniale. Tenendo presente il contesto e la mentalità di quel tempo, dedicare quel tipo di versi alla propria moglie poteva essere inconsueto, se non percepito come di poco gusto e irrispettoso della sua figura di consorte legittima.

Lorenzo, comunque, adempì ai suoi doveri coniugali e la coppia concepì dieci figli nell’arco dei primi dieci anni di matrimonio. A differenza di suo padre e suo nonno, egli non ebbe figli illegittimi, né si conoscono con certezza sue amanti durante il matrimonio con la Orsini. Nonostante le differenze caratteriali, Lorenzo amò a modo suo la consorte e la morte della donna, che avvenne qualche anno dopo per tubercolosi, fu un duro colpo: in una lettera a Papa Innocenzo VIII, Lorenzo espresse tutto il suo dolore e la difficoltà nell’accettare la perdita e mancanza della sua carissima e dolcissima consorte.

Governo

Riforme istituzionali

Piero de’ Medici non poté assaporare i frutti della sua politica matrimoniale: completamente distrutto dalla gotta e dalle complicazioni che ne derivarono, morì il 2 (altre fonti attestano il 3) dicembre 1469 per un’emorragia cerebrale. L’appena ventenne Lorenzo assunse quindi il potere su Firenze insieme al fratello Giuliano, ricevendo la fiducia da parte dei politici legati ai Medici. Seguendo le orme del nonno e del padre, Lorenzo non accettò ufficialmente il potere, volendo essere considerato un semplice cittadino di Firenze pur praticamente accentrando nelle proprie mani il potere della città e dello Stato.

Nonostante fosse pari al nonno per tatto politico, Lorenzo manifestò apertamente la sua sete di potere, suscitando riprovazione e timori da parte degli altri magnati. Nel periodo dal 1469 al 1472, difatti, Lorenzo sopì tutte le rivalità tra famiglie fiorentine in modo da diventare supremo arbitro in ogni questione. Il rafforzamento della famiglia Medici, a livello istituzionale, fu determinato dalla costituzione del Consiglio maggiore (luglio 1471) e dal rafforzamento del Consiglio dei Cento, quest’ultimo in mano a esponenti filomedicei, al quale fu conferita l’autorità di promulgare leggi senza l’interferenza degli organi popolari.

Prima congiura

Lorenzo e il fratello Giuliano non si erano neppure abituati all’idea di governare, che i vecchi nemici del padre Piero fecero sentire ancora la loro voce. Infatti, Diotisalvi Nerone e gli altri fuoriusciti, credendo di approfittare dell’inesperienza dei due giovani fratelli, complottarono con Borso d’Este per abbattere definitivamente i Medici, e sobillarono i pratesi alla rivolta contro Firenze, in quanto questa era la città sottomessa più vicina. Come però riassume il critico George Friedrick Young, il colpo di Stato fu scoperto anzitempo: «Ma Lorenzo seppe agir in tempo; gl’intrighi in città [Firenze] furono sventati dal suo tatto, truppe furono mandate a riprendere Prato, e la ribellione fu così spenta» – “I Medici” di G.F. Young.

Guerra contro Volterra

Nel 1472 Lorenzo, spinto sia da motivazioni economiche che politiche, decise di muovere guerra contro Volterra. Il Medici, infatti, anelava da un lato acquisire le ricche risorse di allume appena scoperte, mentre dall’altro intendeva rafforzare il prestigio interno ed estero dello Stato (e della sua famiglia) sottomettendo una città importante della Toscana. La guerra fu repentina, e terminò il medesimo anno con il sacco della città da parte delle truppe guidate da Federico da Montefeltro, che agì con una tale violenza verso i volterrani da suscitare disdegno nell’animo dell’opinione pubblica fiorentina. Per affermare il dominio fiorentino su Volterra, Lorenzo decise di costruire una imponente rocca che sfoggiava le più moderne soluzioni difensive dell’epoca, anticipando molte caratteristiche della futura fortificazione alla moderna.

Congiura dei Pazzi

Antefatti (1473-1478)

Nonostante i successi in politica estera, il rafforzamento interno e la politica di magnificenza condotta da Lorenzo, il potere della famiglia Medici era ancora oggetto d’attriti da parte di alcuni fiorentini, ma ancor più determinanti si rivelarono le macchinazioni di alcuni dei più importanti potentati italiani. Papa Sisto IV, che inizialmente era in cordiali rapporti con Lorenzo, entrò in collisione con quest’ultimo a causa del progetto pontificio di occupare le piazzaforti strategiche di Imola e Faenza, due città assai vicine al confine settentrionale della Repubblica (1473-1474), e Città di Castello, noto avamposto degli interessi fiorentini in Umbria. Una simile manovra strategica avrebbe di fatto comportato l’accerchiamento di Firenze, situazione inaccettabile per la signoria medicea.

La tensione si acuì ulteriormente di fronte al rifiuto da parte di Lorenzo, principale banchiere del Vaticano, di versare al papa la somma di 40.000 fiorini necessaria per acquisire Imola dagli Sforza. L’opposizione del Medici era ben motivata: l’obiettivo di Sisto IV era infatti quello di mettere Firenze nelle mani dell’ambizioso nipote Girolamo Riario, estendendo la sfera d’influenza dello stato pontificio fino a determinare la sottomissione dell’intera Italia centrale alla politica papale. Il rifiuto di Lorenzo provocò un inasprimento dei rapporti diplomatici tra Firenze e lo Stato della Chiesa. Istigato dal nipote, papa Sisto IV cominciò a tessere una ragnatela di intrighi contro i Medici, coinvolgendo l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, il duca d’Urbino Federico da Montefeltro, il re di Napoli Ferrante e la Repubblica di Siena.

Furono stabiliti dei contatti con i principali esponenti del fronte antimediceo interno a Firenze, tra i quali spiccavano l’antica e ricchissima famiglia magnatizia dei Pazzi, intimorita dal crescente potere di Lorenzo e dal sovvertimento di alcune strutture repubblicane. Il processo che dall’inasprimento dei rapporti tra Signoria e Papato portò alla congiura richiese quattro anni. Ciò si spiega con il contemporaneo evolversi della situazione politica italiana: fu infatti soltanto dopo la morte violenta del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza (26 dicembre 1476), con cui Lorenzo aveva sempre mantenuto ottimi rapporti, e lo scoppio della conseguente guerra civile tra la reggente Bona di Savoia e Ludovico il Moro, che i congiurati si decisero ad agire allo scoperto. Essi intendevano approfittare del temporaneo indebolimento dei Medici, rimasti privi dei mezzi militari degli alleati che avevano sostenuto il loro potere negli anni passati.

Attentato del 26 aprile

Un primo tentativo di eliminazione fisica dei due giovani Medici fu fatto il giorno 25 aprile, quando Jacopo de’ Pazzi pensò di avvelenare le pietanze riservate a Lorenzo e Giuliano. Quest’ultimo, però, ebbe un’indisposizione che non gli permise di partecipare al ricevimento, costringendo così i congiurati ad agire in modo diverso. L’occasione si ripresentò il giorno successivo, cioè il 26 aprile 1478. Mentre stavano ascoltando la messa in Santa Maria del Fiore, al momento dell’elevazione dell’ostia consacrata i due fratelli furono aggrediti: Giuliano fu colpito a morte dai sicari Bernardo Bandini Baroncelli e Francesco de’ Pazzi, mentre Lorenzo, ferito in modo lieve dal sacerdote volterrano Antonio Maffei, si salvò riparandosi in sagrestia, aiutato da alcuni amici tra cui il Poliziano e Francesco Nori, che interpose il suo corpo al pugnale del sicario, salvandogli la vita.

Le sorti di Lorenzo, asserragliato nella sagrestia, furono alla fine determinate dalla sollevazione popolare in suo favore: il popolo infatti, venuto presto a conoscenza dell’attentato sacrilego, si sollevò al grido di “palle! palle!” (in allusione alle palle poste sullo stemma dei Medici), scagliandosi contro i congiurati. Contemporaneamente, il gonfaloniere Cesare Petrucci, dopo aver saputo dell’attentato, arrestò in Palazzo Vecchio alcuni congiurati guidati dall’arcivescovo Salviati, facendoli quindi impiccare.

Vendetta contro i congiurati

La vendetta contro i Pazzi e i loro alleati fu terribile, perché diventasse così un esempio contro chi avesse mai voluto, in futuro, minare il potere mediceo sulla città. Infatti Lorenzo procedette a una serie di esecuzioni in Piazza della Signoria, tra cui quella dei due principali animatori del complotto: Jacopo e il nipote Francesco de’ Pazzi, catturati mentre tentavano la fuga da Firenze. Degli altri membri della famiglia, soltanto Guglielmo fu risparmiato, in quanto estraneo ai fatti e anche perché era il marito di Bianca, sorella del Magnifico.

Guglielmo e la moglie, per l’appartenenza alla famiglia dei Pazzi, furono però costretti all’esilio. Infine Bernardo Bandini, che tentò addirittura di ottenere protezione dal sultano Maometto II, fu rimpatriato e giustiziato. La popolarità di Lorenzo era al culmine, in quanto visto come oggetto d’odio da parte di pochi facinorosi privi di seguito popolare. Difatti, le solenni esequie che Lorenzo fece officiare a San Lorenzo per il fratello Giuliano videro la partecipazione di tutta la cittadinanza fiorentina. Il tragico attentato spinse Lorenzo a far cessare per un decennio, quindi fino al 1488, tutte le manifestazioni legate al Carnevale.

Guerra antimedicea (1478-1480)

Viaggio a Napoli

Sisto IV, sdegnato dal trattamento riservato ai congiurati e soprattutto per l’impiccagione di un ecclesiastico, iniziò una guerra aperta contro Lorenzo: scomunicò questi e i maggiorenti della Repubblica; chiuse e arrestò i membri del banco mediceo romano; si alleò apertamente con Ferdinando I di Napoli, con Siena, Lucca e Urbino; e dichiarò guerra a Firenze, alleata di Milano e di Venezia. Lorenzo, sostenuto dai cittadini e dal clero toscano (che a sua volta scomunicò il papa), si accinse alla preparazione della difesa militare. Dopo mesi di lotte estenuanti, in cui la debole Firenze ricevette scarsi aiuti da parte dei suoi alleati e vide la defezione di alcuni generali di ventura da lei inviati, la guerra ebbe una svolta nel 1479, quando la coalizione antifiorentina prese, dopo un lungo assedio, Colle Val d’Elsa.

Lorenzo, consapevole della situazione, su consiglio di Ludovico il Moro e col consenso della Signoria lasciò di nascosto Firenze, affidando al gonfaloniere Tommaso Soderini il governo dello Stato in sua assenza. Quindi salpò di nascosto dal porto di Vada e si recò coraggiosamente a Napoli il 18 dicembre per trattare con re Ferdinando. Questi, trattenendo onorevolmente per tre mesi l’illustre ospite, sperava che Firenze, davanti alla prolungata assenza di Lorenzo, si ribellasse passando dalla parte del Papa ma, vista la fedeltà dei fiorentini al loro signore, il re napoletano accondiscese alle richieste del Magnifico ritirando le sue truppe dalla Toscana. A far pressione su Ferdinando fu però anche la nuora Ippolita Maria Sforza la quale, dotata di ottima cultura e dell’abilità politica del padre Francesco, cercò da un lato di mantenere il fratello Ludovico il Moro nell’alleanza con Firenze, dall’altra di convincere il medesimo a continuare le trattative con il re di Napoli per impedire la caduta di Lorenzo in nome dell’antica alleanza che correva fra le due famiglie.

Pace

L’impressione che suscitò l’ardita impresa di Lorenzo a Napoli fu grandissima. Al rientro in patria, avvenuto il 13 marzo 1480, Lorenzo fu salutato dai Fiorentini come salvatore della patria, mentre Sisto IV, circondato dalla nuova coalizione tra Firenze, Napoli e Ferrara e terrorizzato per la presa di Otranto da parte dei Turchi, offrì la pace e sciolse Lorenzo dalla scomunica il 3 dicembre 1480. Il successo dell’impresa diplomatica di Lorenzo, facilitato come si è visto anche dall’influenza dell’ormai amica Ippolita Maria Sforza a Napoli, lo consacrò come vero e proprio deus ex machina dell’equilibrio degli Stati italiani. Difatti, se non ci fosse stato quest’atto di coraggio da parte del Medici, l’Italia sarebbe sprofondata nuovamente in quelle guerre fratricide che avevano dissanguato la Penisola prima della Pace di Lodi del 1454, favorendo così le mire espansionistiche di vicini minacciosi quali il Regno di Francia. Niccolò Machiavelli, nelle sue Istorie fiorentine, così giudica il trionfo mediceo:

«Tornò pertanto Lorenzo in Firenze grandissimo, se egli se n’era partito grande, e fu con quella allegrezza della città ricevuto, che le sue grandi qualità e freschi meriti meritavano, avendo esposto la propria vita per rendere alla patria sua la pace» -Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine.

Lorenzo “ago della bilancia” italiana

Il prestigio che Lorenzo ne ricavò in politica estera fu immenso, tanto che uno storico successivo, Filippo de’ Nerli (1486-1557), lo definì “l’ago della bilancia” della politica italiana. Difatti, l’abilità diplomatica del Medici fu riconosciuta da tutti i Signori della Penisola, fattore che Lorenzo utilizzò per mantenere un clima di pacificazione generale, finalizzata a mantenere vivo il sogno di suo nonno Cosimo con la creazione della Lega Italica. Inoltre, l’abilità e la persuasione con cui Lorenzo seppe allontanare dall’Italia le mire dei francesi lo resero un personaggio di importanza internazionale, tanto che i vari sovrani d’Europa lo consideravano al pari di un monarca, più che un semplice cittadino di una Repubblica. Lorenzo fu addirittura consigliere di sovrani quali l’imperatore Federico III d’Austria, Mattia Corvino re d’Ungheria, e di altri principi europei.

Guerra di Ferrara (1482-1484)

L’occasione per dimostrare questo suo nuovo e rinnovato ascendente sui principi italiani si ebbe quando Sisto IV e Venezia, dopo aver respinto l’esercito turco assediato a Otranto (operazione facilitata anche dalla morte di Maometto II), ripresero le ostilità in Italia, attaccando il Ducato di Ferrara. Il papa e la Serenissima, infatti, desideravano spartirsi i domini del duca Ercole, motivando quest’azione anche con il matrimonio di quest’ultimo con Eleonora, figlia di Ferdinando di Napoli, ora nemico di Sisto IV e dei Veneziani. La guerra contro Ferrara si concluse nell’agosto del 1484 con la firma della pace di Bagnolo, che prevedeva l’annessione del Polesine da parte di Venezia. Ferrara, per tutto il conflitto, dovette sostenere l’intero peso bellico a causa dello scarso sostegno che Ferdinando diede nel frenare le truppe pontificie, ma riuscì a mantenersi indipendente attraverso la mediazione stessa del Magnifico.

Alleanza con Innocenzo VIII e Roma

Quasi nello stesso tempo in cui le due parti stipulavano la pace, il vecchio Sisto IV morì (12 agosto), eliminando dalla scena politica un pericoloso nemico e perturbatore della pace italiana. Nel successivo conclave fu eletto il cardinale genovese Giovanni Battista Cybo, che assunse il nome pontificale di Innocenzo VIII. Con il nuovo pontefice, uomo di scarsa levatura politica, i Medici si legarono ancora di più al papato, grazie alla benevolenza che il Santo Padre nutriva per il Magnifico. Quest’ultimo, infatti, era convinto che solo l’alleanza tra Firenze, Napoli e lo Stato della Chiesa avrebbe tenuto gli stranieri lontani dal suolo italiano.

Approfittando dei rapporti cordiali tra Lorenzo e il Papa, il primo riuscì a ottenere che il figlio Giovanni, il futuro Papa Leone X, ricevesse la berretta cardinalizia. In cambio, Lorenzo avrebbe dato in sposa sua figlia Maddalena al figlio legittimato del papa, Franceschetto Cybo, cosa che avvenne nel 1488. Nel marzo del 1487, sempre nell’ottica di questa politica filo-romana, Lorenzo fece sposare il primogenito Piero con una parente della moglie Clarice, Alfonsina Orsini figlia di Roberto Orsini, rafforzando così ulteriormente la sua casata e dandole ancor di più un respiro internazionale.

Altri successi di politica estera

Forte del successo ottenuto dopo il 1480, Lorenzo riuscì, grazie ora all’uso della diplomazia, ora all’uso della forza militare (nonostante non avesse ricevuto una vera e propria educazione militare in senso lato), a espandere i confini della Repubblica. Nel 1484 le truppe fiorentine strapparono ai genovesi Pietrasanta, importante avamposto militare da cui Firenze poteva minacciare, in caso di guerra, Lucca.

Nel 1487 fu la volta di Sarzana e della fortezza di Sarzanello, conquistate dai genovesi e rimaste in mano di Firenze dopo che i liguri tentarono di riconquistarle. Anche i rapporti con le altre repubbliche toscane migliorarono: Lucca, all’inizio ostile a Lorenzo e ora minacciata dalla fortezza di Sarzana, strinse con Firenze un’alleanza; lo stesso valse per la tradizionale nemica di Firenze, Siena, ove Lorenzo riuscì a imporre un governo lui favorevole.

Politica interna

Consiglio dei Settanta

Forte di questi successi in politica estera, Lorenzo concentrò ulteriormente il potere nelle sue mani attraverso l’istituzione del Consiglio dei Settanta, organo di governo formato da membri filomedicei che doveva discutere sia di affari amministrativi che di guerra. Ciò comportò di fatto lo scemare dell’autorità dei Priori e del Gonfaloniere di Giustizia, i quali avevano compiti disparati e non permettevano una così rapida attività governativa in caso di necessità.

La vera forza di questo nuovo organo di potere, nato per rinforzare il potere mediceo dopo il pericolo del 1478, consisteva nel fatto che la scelta dei membri non era soggetta a rotazione, un’eccezione assoluta all’interna del sistema democratico fiorentino. La creazione di un tale consesso, che apparentemente non inficiava la validità e funzionalità delle altre strutture repubblicane, quali il Consiglio dei Cento o lo stesso Gonfaloniere, doveva essere pro tempore, della durata di soli cinque anni per provvedere ai bisogni delle guerre in corso. Questa politica di accentramento continuò fino al 1490, allorché Lorenzo provvide a restringere ulteriormente il consiglio dei 70 fino a diciassette membri, il cui collegio era presieduto direttamente dal capofamiglia dei Medici e presiedeva le questioni economiche.

Inoltre, Lorenzo provvide a instaurare dei legami parentali con alcune nobili famiglie fiorentine, dando in sposa la figlia maggiore Lucrezia a Jacopo Salviati il 10 settembre 1486, famiglia cui appartenne quel Francesco Salviati che aveva attentato alla vita di Lorenzo pochi anni prima. La penultima figlia, Contessina, fu destinata a Piero Ridolfi, ma il matrimonio fu celebrato nel 1494 quando Lorenzo era ormai morto da due anni.

Rinascita di Pisa

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Ottavio Vannini, Lorenzo il Magnifico, circondato dagli artisti nel giardino delle sculture, incontra Michelangelo che gli mostra la testa di un fauno, affresco (1638-1642), Palazzo Pitti. L’episodio è reso celebre dal racconto di Giorgio Vasari, in cui Michelangelo presenta a Lorenzo una statua da lui realizzata, ma facendola passare per antica. Quando Lorenzo scopre il trucco, paternamente, fa notare a Michelangelo che i vecchi satiri non hanno i denti.

Sotto il governo di Lorenzo, la città di Pisa, conquistata dai fiorentini nel 1406, manifestò i primi segni di rinascita dopo un lungo periodo di stagnazione e di crisi dovute alle misure restrittive imposte dalla Firenze degli Albizzi. Lorenzo si accorse che era necessario ridare alla città, unico porto della Repubblica, una serie di benefici che ne facessero ripartire l’economia e la vita sociale: la costruzione di nuovi edifici civili e pubblici, la riapertura dello Studio nel 1473 e l’incoraggiamento dell’attività marinara (basti ricordare il trattato commerciale che Enrico VII d’Inghilterra stipulò con Firenze, rendendo la città il fulcro degli scambi tra Inghilterra e Italia), diedero a Pisa un nuovo ruolo economico e culturale. La gestione di buona parte di questi interventi fu il frutto della collaborazione di Lorenzo Morelli, Filippo dell’Antella e di Piero Guicciardini che nel 1491, dopo aver assunto poteri straordinari all’interno del Consiglio dei Settanta di Pisa, avviarono un’opera di ricostruzione che sarebbe stata resa infruttuosa dalla morte di Lorenzo il Magnifico l’anno seguente.

Ultimi anni (1488-1492)

Girolamo Savonarola

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Fra Bartolomeo, Girolamo Savonarola, 1498, olio su tavola, Museo nazionale di San Marco, Firenze. Domenicano, priore di San Marco dal 1491, il Savonarola fu estremamente feroce nelle sue prediche contro il rilassamento dei costumi della Chiesa e della Firenze medicea.

Gli ultimi anni di Lorenzo furono contrassegnati sì dalla stima e dalla gloria politica, ma anche dalla severa censura morale che, a Firenze, si stava diffondendo a causa del domenicano Girolamo Savonarola. Ferrarese di origine, il Savonarola fu chiamato nel 1482 dal Magnifico, attratto dalla sua fama di abile oratore. Davanti però agli insuccessi iniziali che il frate raccolse, il Savonarola fu allontanato per sei anni da Firenze, città a cui sarebbe stato nuovamente destinato nel 1490 per l’insistenza di Lorenzo. Le motivazioni del richiamo da parte del Magnifico sono da addurre all’influenza del filosofo neoplatonico Giovanni Pico della Mirandola, fortemente attratto dalle tematiche catartiche e apocalittiche sviluppate dal Savonarola durante i soggiorni bolognesi e ferraresi di quegli anni.

Il ritorno del frate, che diventerà nel 1491 Priore del Convento di San Marco, segnò un inizio di turbamento emotivo per il Magnifico, accusato di essere il corruttore dei costumi fiorentini con il suo paganesimo classicheggiante e di aver soppresso le libertà repubblicane. Nonostante ciò, Lorenzo rimase sempre imperturbabile di fronte all’inflessibilità morale del domenicano, del quale condivideva, probabilmente, la necessità di riforma della Chiesa.

Declino fisico e la morte

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Domenico Ghirlandaio, dettaglio di Zaccaria nel Tempio, affresco (1486-1490), sito nella Cappella Tornabuoni nella Basilica di Santa Maria Novella. I personaggi ivi raffigurati sono stati identificati con Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Agnolo Poliziano e Gentile de’ Becchi (per alcuni è invece Demetrio Calcondila).

Già dalla seconda metà degli anni ’80, la salute di Lorenzo cominciò lentamente e inesorabilmente a declinare a causa della piaga ereditaria della famiglia Medici, la gotta. Cercò sempre più di trovare refrigerio e salute nelle terme toscane, ma con scarso successo. Ormai vedovo da alcuni anni (Clarice era morta il 30 luglio 1488 nell’indifferenza dei fiorentini), nella primavera del 1492 Lorenzo ebbe il tracollo definitivo. Benché non avesse una forma grave quale quella del padre Piero, Lorenzo andò incontro alla morte in così giovane età a causa della gangrena causata da un’ulcera, sottovalutata dai medici l’anno precedente, complicanza che causò un rapido deterioramento fisico.

Trasportato alla Villa di Careggi, Lorenzo il Magnifico, dopo aver cercato di avvertire suo figlio ed erede Piero sulle misure da prendere per la gestione della politica interna ed estera di Firenze, si spense all’età di soli 43 anni nella notte dell’8 aprile. Al momento del trapasso, Lorenzo era circondato dai suoi amici più cari, tra i quali Giovanni Pico della Mirandola e il Poliziano, e dai parenti, oltre che confortato religiosamente dal Savonarola stesso.

Funerali e sepoltura

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Maschera mortuaria di Lorenzo Il Magnifico

La scomparsa del Magnifico lasciò i fiorentini in uno stato di sgomento e, in parte, di dolore. Il 9 aprile, la salma del Magnifico fu portata nel Convento di San Marco per il rito funebre (voluto senza pompa, secondo quanto richiesto dallo stesso Lorenzo), e poi deposta nella Sagrestia Vecchia della Basilica di San Lorenzo, la chiesa di famiglia. Solo decenni più tardi, le spoglie sue e del fratello Giuliano furono traslate nella Sagrestia Nuova, in un sarcofago preparato da Michelangelo stesso.

Conseguenze politiche della sua morte

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Domenico Ghirlandaio, Piero di Lorenzo de’ Medici, 1494, Biblioteca Nazionale di Napoli.

«La natura non produrrà mai più un simile uomo» – Caterina Sforza, signora di Imola, appena seppe della morte di Lorenzo il Magnifico.

L’esclamazione della Signora di Imola, oltre a rimarcare la liberalità del defunto, vuole anche sottolineare la gravissima perdita, per l’Italia, del più abile politico italiano, sentimento condiviso anche dagli altri principi della penisola. Lorenzo, infatti, fu capace di mantenere in piedi la Lega Italica creata dal nonno Cosimo quasi quarant’anni prima, evitando guerre di cui avrebbero potuto approfittare le potenze straniere. Il successore di Lorenzo, Piero, non si dimostrò all’altezza nel gestire la grave situazione, governando con alterigia e assumendo un atteggiamento servile davanti alla minaccia di Carlo VIII, re di Francia. Piero, nel 1494, fu così costretto a lasciare Firenze, mentre la Penisola precipitava nelle guerre d’Italia.

 

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