Cronaca

Matteo Messina Denaro, l’ultimo interrogatorio sulle stragi

Matteo Messina Denaro, nell’ultimo interrogatorio sulle stragi dello scorso 7 luglio, ha parlato della morte di Falcone. Ricordiamo che l’ex superlatitante, morto lo scorso 25 settembre, si è sottoposto a quattro interrogatori senza però collaborare con la giustizia. Ma vediamo cosa avrebbe dichiarato sull’agguato al magistrato ucciso il 23 maggio del 1992.

Matteo Messina Denaro, ultimo interrogatorio sulle stragi: cosa ha detto sulla morte di Falcone

Risalirebbe allo scorso 7 luglio l’ultimo interrogatorio dell’ex boss di Cosa Nostra, morto lo scorso 25 settembre a 61 anni. A incalzarlo il procuratore aggiunto Paolo Guido e i pm della Procura di Palermo Piero Padova e Gianluca De Leo.

“Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al maxi processo?”, avrebbe dichiarato. “Perché fa riferimento proprio alla strage Falcone?”, gli avrebbe allora chiesto Guido. “Perché penso sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto“, avrebbe risposto il boss. “Tutto cosa?”, lo avrebbe allora incalzato il procuratore aggiunto. “Le stragi, l’input. Sì, sì, questa strage, tutto da là parte”.

“Faccio un altro esempio: dopo non so quanti anni, avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino e non mi riferisco a voi, è un plurale maiestatis… Ora la mia domanda è, me la pongo, diciamo, da scemo: perché vi siete fermati a La Barbera? Perché La Barbera era all’apice di qualcosa… ha capito cosa? Il contesto?”. Quello a cui l’ex boss ha fatto riferimento è alle dichiarazioni del falso pentito che depistò le indagini sulla strage di via d’Amelio e al poliziotto che gestì la sua collaborazione. “E se La Barbera fosse ancora vivo, ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”.

Il nome del padre Francesco

Nell’interrogatorio sarebbero usciti fuori anche il l nome del padre Francesco, capomafia della provincia di Trapani e fedelissimo di Totò Riina. “Una cosa che non ho mai sopportato è pensare che mio padre è stato descritto come il cameriere di qualcuno. E quindi mio padre cosa era? Il cameriere di queste persone o il mio cameriere? Mio padre era mio padre, fino a quando fu vivo, su questo non c’è ombra di dubbio”.

A un certo punto però il procuratore Guido avrebbe tentato di spingere il boss a dare maggiori elementi alla giustizia: “Lei deve metterci nelle condizioni, e questo solo lei riesce a farlo, di ricostruire dei pezzetti di verità, che ci dirà lei e che le consentiranno anche di essere più sereno, rispetto alla sua storia, rispetto a questa schifezza che l’ha circondata prima e dopo e fino a qualche giorno fa. Questo è il nostro invito a riflettere”. “Ascolti, dottore Guido, e veda che quello che sto dicendo è verità. Tutti questi, chiamiamoli pentiti, che hanno detto, sì, qualche pezzo di verità, e hanno fatto fare dei processi, va bene, ma ognuno ha portato acqua al proprio mulino – risponde il boss -. E per farlo dicono cose che possono essere reali e coincidere con quello che cercate voi o con quello che interessa a voi, ben venga, giusto?”.

“Ma ci sono cose, però, che, per esempio, nessuno è mai arrivato, perché a me sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, ben venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa, e parlo di grandi cambiamenti“.

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