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Calcio, è morto a 64 anni Paolo Rossi

Paolo Rossi è morto, fu eroe nel Mondiale del 1982. Ne ha dato notizia nella notte la moglie Federica Cappelletti

All’età di 64 anni è morto Paolo Rossi, ex calciatore che in carriera ha vestito le maglie, tra le altre, di Vicenza, Juventus, Milan e Verona. Fu anche campione del Mondo con la Nazionale italiana nel 1982. A dare la notizia del decesso è stata la moglie Federica Cappelletti che su Instagram ha pubblicato una foto di lei con Rossi accompagnata dalla didascalia “Per sempre”. A portarlo via un tumore ai polmoni, lascia la moglie Federica e tre figli.


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Paolo Rossi è morto, lutto nel mondo del calcio

Tantissimi i messaggi di cordoglio sui social. Tra i primi quello del giornalista, Enrico Varriale. Il vicedirettore di RaiSport ha parlato di una notizia “tristissima” e ricordando un giocatore “indimenticabile, che ci ha fatto innamorare tutti in quell’Estate dell’82” oltre ad un “prezioso e competente compagno di lavoro negli ultimi anni”.


 


La carriera di Paolo Rossi

Nato a Prato il 23 settembre del 1956, Paolo Rossi è stato un dirigente sportivo e calciatore italiano, di ruolo attaccante. Campione del mondo con la nazionale italiana nel 1982. Soprannominato Pablito, lo si ricorda principalmente per le sue prodezze e per i suoi gol al Mondiale 1982 dove, oltre a vincerlo, si aggiudicò anche il titolo di capocannoniere. Nello stesso anno vinse anche il Pallone d’oro (terzo italiano ad aggiudicarselo). Occupa la 42ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer.

Nel 2004 è stato inserito nel FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione del centenario della federazione. È risultato 12º nell’UEFA Golden Jubilee Poll, un sondaggio online condotto dalla UEFA per celebrare i migliori calciatori d’Europa dei cinquant’anni precedenti.

Assieme a Roberto Baggio e Christian Vieri detiene il record italiano di marcature nei Mondiali a quota 9 gol, ed è stato il primo giocatore (eguagliato dal solo Ronaldo) ad aver vinto nello stesso anno il Mondiale, il titolo di capocannoniere di quest’ultima competizione e il Pallone d’oro


Le prodezze da calciatore

Rossi muove i primi passi nella Santa Lucia. Si impone subito come attaccante agile, scaltro e con straordinario senso del gol. Ambrosiana e Cattolica Virtus sono le altre sue squadre, finché gli osservatori della Juve gli mettono gli occhi addosso. A Torino la trafila nelle giovanili. È un’ala ed è Osvaldo Bagnoli a intravvedere in lui le doti del centravanti. Succede nel 1975 al Como, dove Paolo è in prestito.

La Juve poi lo gira al Vicenza e qui diventa grande. Nonostante i problemi ripetuti al ginocchio, tre menischi asportati, G.B. Fabbri lo lancia in via definitiva come numero 9 e Paolo Rossi vince la classifica cannonieri del 1977-78 con 24 gol. In estate la notizia clamorosa: Rossi è in comproprietà tra Vicenza e Juve e Giussy Farina, il presidente del club veneto, se lo aggiudica alle buste per oltre due miliardi di lire. Intanto Enzo Bearzot lo lancia in Nazionale e Paolo diventa Pablito al Mondiale del 1978 in Argentina, Mondiale in cui segna gol rapinosi e manda a rete Bettega architettando uno spettacolare triangolo contro l’Argentina padrona di casa.

L’inciampo e il riscatto

Sembra tutto bello e perfetto, ma sulla vita e sulla carriera di Rossi, nel frattempo passato al Perugia, incombe l’ombra dello scandalo scommesse. Lo squalificano per due anni in sede di giustizia sportiva, mentre viene assolto dalla giustizia ordinaria. I giudici del pallone gli fanno pagare un colloquio di pochi attimi con uno dei promotori del Totonero, breve dialogo nella serata di un ritiro, situazione in cui Rossi capisce l’impiccio e si defila in fretta. Più avanti uno dei soggetti coinvolti ammetterà che Rossi non era d’accordo su niente né aveva preso soldi, e che non era andato oltre qualche parola di circostanza.

Al massimo, omessa denuncia. Nei due anni di fermo due persone credono in lui: Giampiero Boniperti, che se lo riprende alla Juve, ed Enzo Bearzot, il c.t. della Nazionale. Bearzot lo “interroga” sull’accaduto e si convince della buona fede del ragazzo. Lo difende contro tutto e contro tutti, e lo convoca per il Mondiale di Spagna.

Il Mondiale di Spagna

Nella prima fase Rossi è sotto peso, non ha tono muscolare, deambula in campo. La critica lo massacra, ma Bearzot tiene duro e viene premiato. Pablito esplode nella seconda partita della seconda fase, il 5 luglio 1982, al Sarrià di Barcellona, in Italia-Brasile 3-2. Segna una tripletta epica, che diventerà il titolo di un suo libro: “Ho fatto piangere il Brasile”. Poi altri due gol contro la Polonia in semifinale e una rete all’allora Germania Ovest nella finale di Madrid. Italia campione del mondo. “Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza – scriverà Pablito anni dopo -. Adesso dovete fermare il tempo, adesso. Non avrei più vissuto un momento del genere. Mai più per tutta la mia vita”. Verità sacrosanta: raggiunto lo zenit, Pablito, complici le ginocchia ballerine, non può che scendere. La Juve, il Milan e poi l’ultima tappa, al Verona.

Dopo il ritiro

Nel dopo, una bella carriera da commentatore, tra Sky, Mediaset e Rai, e un’attività imprenditoriale, un agriturismo in provincia di Arezzo. Adesso la morte, che ferisce come una coltellata al cuore.


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