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Omicidio Emanuele Tufano, l’indagato di 15 anni agli inquirenti: “Ho sparato, ma non sono stato io a uccidere Emanuele”

Napoli omicidio Emanuele Tufano minorenni indagati
Emanuele Tufano
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L’indagato, per l’omicidio di Emanuele Tufano, di 15 anni è stato interrogato dagli inquirenti: “Ho sparato, ma non sono stato io a ucciderlo”. Lo riporta Il Mattino. “Anzi, in base alla posizione in cui mi trovavo e ai video che ho visto, quelli pubblicati su TikTok, sono certo: non posso essere stato io a causare la sua morte”, ha continuato.

Omicidio Emanuele Tufano, l’indagato di 15 anni agli inquirenti

Ha riconosciuto di aver premuto il grilletto e di aver esploso colpi con la pistola che aveva con sé, ma ha insistito su un aspetto fondamentale: «Non sono stato io a uccidere quel ragazzo. Anzi, in base alla posizione in cui mi trovavo e ai video che ho visto, quelli pubblicati su TikTok, sono certo: non posso essere stato io a causare la sua morte». Questa è la versione fornita due giorni fa da F.A., il 15enne indagato per possesso di armi, nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Emanuele Tufano, insieme a un altro minore di 17 anni.

Napoli, una baby gang ruba decorazioni natalizie da un negozio in via Toledo. Difeso dall’avvocato Immacolata Spina, il quindicenne ha risposto alle domande del pubblico ministero minorile, Claudia De Luca, e dei pm della Procura di Napoli, inclusa l’attenzione del sostituto anticamorra Celeste Carrano. Lunedì pomeriggio, in via Medina, il ragazzo non si è tirato indietro: «Hanno iniziato a sparare loro». Questa affermazione conferma quanto accaduto il 24 ottobre in una traversa di corso Umberto, a breve distanza da piazza Mercato. Secondo le indagini, Emanuele Tufano si trovava su uno scooter, parte di un gruppo di almeno quindici moto, con un obiettivo chiaro: controllare la piazza del Mercato e provocare i residenti della zona.

L’omertà

Da un lato c’è il gruppo di Emanuele, proveniente dal rione Sanità, e dall’altro almeno quattro ragazzi in sella a due motociclette. Tra i giovani del rione Mercato si distingue la figura di un quindicenne, già noto per precedenti legami con la criminalità. Quando inizia lo scontro a fuoco, i quattro ragazzi della zona abbandonano le moto, lasciandole a terra, e si rifugiano dietro bidoni della spazzatura o automobili parcheggiate. È in questo frangente che F. A. decide di estrarre la sua arma: «Ho sparato, ma non sono stato io a uccidere Emanuele». Questa affermazione mette in luce il caos di quella notte. È chiaro che sono state utilizzate diverse pistole, il che rende plausibile l’ipotesi che Emanuele sia stato colpito durante il fuoco incrociato.

I quattro del rione Sanità avevano a disposizione almeno due pistole, mentre anche i membri del rione Sanità erano armati con altre due armi. Sono stati esplosi circa venti colpi, e l’obiettivo degli inquirenti è quello di identificare tutti i responsabili del conflitto avvenuto nella notte di ottobre. La Squadra Mobile, guidata dal primo dirigente Giovanni Leuci, ha condotto accertamenti di balistica e attualmente ci sono due indagati per la morte di Tufano. Oltre a F. A., è stato interrogato anche un presunto complice di 17 anni, assistito dall’avvocato Mauro Zollo. Gli interrogatori si sono rivelati unilaterali, con amnesie e omertà diffuse. Nessuno sembra ricordare i nomi dei complici. Ai due giovani sono state mostrate delle fotoriproduzioni di presunti membri dei gruppi di giovani segnalati per il presidio armato nella zona di piazza Mercato, ma non sono emerse conferme riguardo a profili e identità. Ma di cosa si occupa attualmente il 15enne indagato per possesso di armi? Racconta di trascorrere la maggior parte del suo tempo in casa, di uscire raramente e di non affacciarsi più di tanto alle strade del suo quartiere. Niente scuola, niente lavoro. Attende i risultati di un’inchiesta che si confronta con silenzi e timori, mentre spetta agli inquirenti fare il punto della situazione analizzando i filmati dei sistemi di videosorveglianza nella zona di Corso Umberto.

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