Quali sono i clan di camorra più potenti di Pompei? L’organizzazione criminale più potente del mondo è la camorra. A dichiararlo è la Dia, il Reparto di Investigazione di massimo livello, la cui relazione 2023 aggiornata è stata di recente pubblicata dal Ministero dell’Interno. Le indagini svolte su oltre 200 famiglie di camorra hanno permesso di identificare migliaia di affiliati operanti in Campania, in altre regioni italiane e nazioni. Inoltre, la camorra, presente in diversi continenti, fattura annualmente centinaia di migliaia di milioni di euro. Il resoconto che segue riguarda il più potente clan di Pompei, il clan Cesarano.
Camorra: il clan più potente della zona di Pompei, il clan Cesarano, la storia
Il clan Cesarano fu fondato da Ferdinando Cesarano, chiamato “Narduccio ‘e Ponte Persica”, per via delle sue origini, di Ponte Persica, appunto, frazione del comune di Castellammare di Stabia. Ferdinando Cesarano, figura carismatica del panorama criminale organizzato campano della fine degli anni ’70 e degli inizi degli anni ’80, fu uno spietato killer e capozona della Fratellanza napoletana, o Onorata fratellanza, alle dirette dipendenze di Carmine Alfieri e a stretto contatto con le più alte figure dell’organizzazione, come Angelo Moccia, Francesco Matrone, Giuseppe Autorino, detto “Geppino”, Marzio Sepe, Pasquale Galasso e Pasquale Loreto. Nella metà degli anni ’80, Ferdinando Cesarano, divenne un boss affermato e, dopo la sconfitta della Nco di Raffaele Cutolo, detto ‘o professore vesuviano e lo sgretolamento della vincente Fratellanza napoletana, si staccò anch’egli da quest’ultima e si mise in proprio.
L’evasione di Ferdinando Cesarano e Giuseppe Autorino
Domenica 21 giugno del 1998, nell’aula bunker del Tribunale di Salerno ricavata da una ex palestra di una scuola della periferia cittadina, a ridosso della tangenziale e di alcuni terreni agricoli nell’area industriale di Fuorni, Giuseppe Autorino e Ferdinando Cesarano, capoclan della zona di Pompei, si trovavano nella cella degli imputati di uno dei processi dalle pesanti accuse di associazione camorristica, estorsione e omicidio. Il Tribunale doveva giudicare 44 imputati, affiliati al clan Alfieri della provincia napoletana e al clan Maiale della Piana del Sele. Geppino Autorino e Ferdinando Cesarano avevano da tempo studiato e organizzato, con l’aiuto di complici esterni, un’evasione sbalorditiva.
La fuga che superò le più fantasiose scene del cinema
Lunedì 22 giugno 1998, alle 17.30 del pomeriggio, mentre stava per iniziare un’importante udienza, nell’aula bunker c’era il pm Ennio Bonadies della Dda salernitana e in fondo all’aula, il gruppo dei magistrati giudicanti. Gli agenti della Polizia Penitenziaria avevano trasferito Geppino Autorino e Ferdinando Cesarano dal carcere napoletano di sicurezza del quartiere di Secondigliano, fin dentro una delle 4 celle predisposte per gli imputati. Come agli altri, anche a Geppino Autorino, considerato dagli inquirenti spietato killer esecutore delle azioni più sanguinose del clan Alfieri, e Ferdinando Cesarano, definito “lucido organizzatore di delitti”, furono tolte le manette.
Poi, le celle, dove in tutto gli imputati erano 7, furono richiuse. Iniziò l’udienza, che andò avanti per oltre un’ora, sino alla sospensione momentanea in attesa che uno dei testimoni fosse accompagnato in aula. Fu in quel preciso momento che Geppino Autorino e Ferdinando Cesarano, con determinazione e senza alcuna esitazione si fecero un cenno con gli occhi e, alzandosi di scatto dalle panche in legno dove erano seduti, con un colpo secco, fecero sprofondare le mattonelle nel retro della cella, mentre gli altri cinque detenuti fecero da volontaria barriera agli sguardi esterni.
Le mattonelle nel retro della cella sprofondarono nel vuoto. Quelle mattonelle erano solo una leggera copertura ad un cunicolo scavato con abilità e largo quanto bastava per consentire il passaggio di due uomini, che partiva proprio da sotto le panche. Geppino Autorino si lanciò subito, seguito immediatamente da Ferdinando Cesarano. Mentre i poliziotti si accorsero dello strano movimento, spararono alcuni colpi di pistola in aria, ma fu inutile.
La corsa nel tunnel sotterraneo, l’arrampicata sulla scarpata e il dileguamento in tangenziale
Geppino Autorino e Ferdinando Cesaranoscivolarono nel tunnel lungo 5 metri, dove erano state lasciate dai complici, delle pistole e delle bombe a mano. Raggiunsero l’esterno, mentre i detenuti rimasti nella cella misero a posto la copertura del cunicolo. Questioni di secondi. Geppino Autorino e Ferdinando Cesarano si arrampicarono su una scarpata di 10 metri, scavalcarono un muretto che dava su un ponte della tangenziale salernitana e fermarono una Fiat punto di passaggio. Minacciarono con le pistole il proprietario che scese senza fare nessuna resistenza. Poi, proseguirono per 4 chilometri di corsa fino a Pontecagnano, dove, ad attenderli, c’erano dei complici con motociclette di grossa cilindrata, con le quali sparirono nel nulla.
Il biglietto di derisione indirizzato agli inquirenti
Successivamente furono fatti dei sopralluoghi dalle Forze dell’Ordine e nel cunicolo utilizzato per la fuga da Geppino Autorino e Ferdinando Cesarano, oltre ad alcuni involucri di merendine, gli inquirenti trovarono un bigliettino con la scritta:
(…) Grazie di tutto e ciao ciao! (…).
La collera dei ministri e le conseguenze
Una beffa, l’evasione di Giuseppe Autorino e Ferdinando Cesarano, che provocò lo sdegno dei ministri Giorgio Napolitano e Giovanni Maria Flick responsabili dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia. Il giorno dopo, furono convocate le più alte cariche degli organi di competenza, mentre venivano intensificati i posti di blocco. La prima decisione fu la rimozione del questore di Salerno, Ermanno Zanforlino unita alla contemporanea richiesta di trasferimento del procuratore generale di Salerno, Paolo Russo De Cerame.
Il boss Ferdinando Cesarano: la latitanza
A favorire la latitanza del superboss Ferdinando Cesarano, dopo l’evasione, fu il suo “compariello” Ferdinando Cascone, persona di fiducia del boss Ferdinando Cesarano. La latitanza durò dal giugno 1998 al giugno 2000.
Il clan Cesarano: arresti, decessi e retroscena
- Ferdinando Cesarano, boss del clan Cesarano, fu arrestato sabato 10 giugno 2000, a Torre Annunziata. Condannato a diversi ergastoli, anche per la strage di Sant’Alessandro, il boss Ferdinando Cesarano, fu tradotto in carcere, al 41 bis. Il ras Ferdinando Cesarano, in carcere prese la laurea in Sociologia nel 2007 e in Giurisprudenza nel 2015.
- Ferdinando Cascone, fu arrestato lunedì 23 aprile 2001 a Scafati e condannato per favoreggiamento e associazione di stampo camorristico.
- Nicola Esposito, sfuggì ad un ordine di cattura che colpì anche altre due persone, tra le quali la moglie, Annunziata Cafiero. Nicola Esposito e Annunziata Cafiero gestivano insieme un giro di estorsioni e usura per conto del clan Cesarano.
- Nicola Esposito, uno dei capi del clan Cesarano, fu arrestato sabato 5 luglio 2014, alla periferia di Pompei.
Nicola Esposito partecipò alla pianificazione dell’evasione dei boss Ferdinando Cesarano e Giuseppe Autorino.
- Alfonso Cesarano, l’uomo che aiutò nella sua latitanza Nicola Esposito e suo fedele fiancheggiatore fu arrestato lo stesso giorno
- Martedì 12 novembre 2019 furono arrestate 20 persone del clan Cesarano, accusate dei reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti.
- Antonio Cafiero, latitante, mercoledì 12 agosto 2020 si costituì. Fu accusato di reato di estorsione aggravata dal metodo camorristico. Antonio Cafiero era il nipote del boss Nicola Esposito, detto ‘o mostro.
- Giuseppe Autorino, boss del clan Cesarano, fu ucciso durante una sparatoria ingaggiata con il Nocs, la Dia e i Carabinieri.
Il clan Cesarano: lotte intestine
Secondo il collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, figlio di Pasquale Loreto, capo del clan Loreto di Scafati, Nicola Esposito, prima di essere arrestato, allo scopo di emergere all’interno del clan Cesarano e con l’appoggio di un esponente del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia, stava organizzando l’omicidio di Luigi Di Martino, reggente del clan Cesarano.
Il clan Cesarano e gli interventi delle Interforze dello Stato
Martedì 11 febbraio 2020, la Guardia di Finanza ha sequestrato un’azienda che, secondo l’Antimafia, era stata fondata dal clan Cesarano ed era gestita da Antonio Martone e Giovanni Esposito, entrambi detenuti in carcere, cognati del capoclan Luigi Di Martino, detto ‘o profeta. Tale società aveva lo scopo di frapporsi tra commercianti e trasportatori, col fine di imporre loro i servizi e le tariffe del clan. La Guardia di Finanza ha stimato il volume d’affari dell’attività in circa 2 milioni di euro.
Relazione Dia
Secondo le indagini svolte sul campo e pubblicate nella relazione Dia aggiornata al 2023 e pubblicata dal Ministero dell’Interno, il clan Cesarano è egemone a Pompei e nei limitrofi comuni di Castellammare di Stabia e frazioni come Ponte Persica. L’amministrazione comunale di Castellammare di Stabia, si ricorda, è stata sciolta per infiltrazione camorristica con decreto del Presidente della Repubblica, lunedì 28 febbraio 2022 e la relativa gestione, proseguita per tutto il secondo semestre 2022, è stata affidata ad una commissione straordinaria, a riprova dell’incisiva influenza esercitata dai clan Cesarano dell’area di Pompei e stabiese, sui locali organismi amministrativi.
Il clan Cesarano oggi
Nonostante i duri colpi subiti dalle Interforze dello Stato, gli arresti degli elementi apicali, la morte di alcuni di essi e diversi sequestri di beni e risorse economiche importanti, il clan Cesarano è riuscito a mantenere il controllo nelle zone di Pompei, nel comune di Castellammare di Stabia e la frazione, Ponte Persica. Grazie ad una riorganizzazione della propria linea di comando, compatta, solida, unita e concorde, sulle nuove regole della gestione degli affari, dei territori, e la scelta delle alleanze, il clan Cesarano ha messo in atto un riassetto di tutti i ruoli e degli affiliati. Una generazione di nuovi ras, nuove reclute, nuove figure come faccendieri, “colletti bianchi” e, un vero e proprio potenziamento militare, con killer professionisti. Capi piazza scelti, esperti e fidati, come per i pusher, le vedette, e altre figure dell’organizzazione. Poi, le paranze dei pisciazzielli.
Il clan Cesarano, in particolare, svolge attività delinquenziali quali il racket delle estorsioni, l’usura e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Il clan Cesarano ha attraversato un periodo di tensione con il clan Matrone, a causa del controllo delle attività illecite anche a Scafati e dintorni, zona nelle quali il gruppo Cesarano, dopo i momenti di crisi vissute dai clan Matrone e Loreto-Ridosso, avrebbe cercato di estendere i propri territori. Oggi la zona di Scafati risulta interessata dalla presenza di clan locali e della zona boschese-stabiese, che avrebbero instaurato fra di loro delle alleanze, ma a quanto pare, labili e facili alla rottura. Mentre, il clan Cesarano è pronto all’espansione, anche se per il momento è concentrato sui propri affari già floridi.
Infatti, il clan Cesarano, controlla il racket dei fiori tra Pompei e Castellammare di Stabia. Tutti i commercianti di fiori che non vogliono collaborare con il clan, vengono sottoposti a pestaggi e condotte vessatorie. Il clan Cesarano, oltre al racket, ha fondato una azienda di intermediazione di trasporti, la “Engy Service s.r.l.“, allo scopo di assumere il monopolio delle spedizioni di fiori, bulbi e vasellame, provenienti prevalentemente dai Paesi Bassi. Il clan Cesarano ha anche stretto alleanze con i clan Mallardo e Pecoraro-Renna. Per le capacità dimostrate nella gestione militare, economica e politica, delle zone sotto il proprio controllo ha dato prova della propria supremazia. Il clan più potente della zona di Pompei è il clan Cesarano.