Quali sono i clan di camorra più potenti della zona di Sant’Antonio Abate? L’organizzazione criminale più potente del mondo è la camorra. A dichiararlo è la Dia, il Reparto di Investigazione di massimo livello, la cui relazione 2023 aggiornata è stata di recente pubblicata dal Ministero dell’Interno.
Le indagini svolte su oltre 200 famiglie di camorra hanno permesso di identificare migliaia di affiliati operanti in Campania, in altre regioni italiane e nazioni. Inoltre, la camorra, presente in diversi continenti, fattura annualmente centinaia di migliaia di milioni di euro.
Il resoconto che segue riguarda il più potente clan della zona di Sant’Antonio Abate, il clan D’Alessandro
Camorra: il clan più potente della zona di Sant’Antonio Abate, il clan D’Alessandro, la storia
Il clan D’Alessandro ebbe la sua genesi verso la metà degli anni ‘70. Fu fondato da Michele D’Alessandro, suo Fratello Luigi D’Alessandro, detto “Gigginiello”, altri familiari e fedeli uomini. La famiglia D’Alessandro, originaria di Scanzano, frazione di Castellammare di Stabia, iniziò con gli affari illeciti proprio in quelle zone, espandendo la propria presenza e le attività nelle aree limitrofe fino a Sant’Antonio Abate, monti Lattari nonché in altre regioni italiane. Il clan D’Alessandro, stipulò accordi e strinse alleanze con altre importanti organizzazioni criminali riuscendo ad estendere ulteriormente il proprio potere e controllo.
La Nuova camorra organizzata, la tassazione, la nascita della Onorata fratellanza, la guerra
Raffaele Cutolo, detto ‘o professore vesuviano, fondò la Nuova camorra organizzata, o anche Nco. Un vero e proprio esercito, formato da circa 10 mila uomini, fedeli e devoti, soldati e killer addestrati e pronti a tutto. Raffaele Cutolo, voleva eliminare dai territori campani tutte le famiglie e mafie che rifiutavano le sue ideologie, regole e condizioni. Voleva unificare tutti i clan di camorra, con un sistema piramidale di comando e un unico capo al vertice. Una potenza criminale mai vista prima. Impose ai clan e alle famiglie, una tassa su tutte le attività illecite, principalmente sul contrabbando di sigarette e sullo spaccio di stupefacenti.
Nco:
- Raffaele Cutolo – fondatore e boss della Nco
- Rosetta Cutolo – sorella di Raffaele Cutolo e lady boss della Nco
- Vincenzo Casillo – boss della Nco
Alleati della Nco:
- clan Puca
- clan Belforte
- clan Graziano
- clan D’Agostino-Panella
- Nuova camorra pugliese
- ‘ndrina De Stefano
- ‘ndrina Varone
- ‘ndrina Piromalli
- ‘ndrina Mammoliti
- ‘ndrina Pino
- banda della Magliana
- Francis Turatello
La tassazione imposta da ‘o professore vesuviano, conteneva un messaggio chiaro che fu recepito e compreso. Le famiglie e clan legati a Cosa nostra siciliana, in un primo momento provarono a stare alle regole, pensando di poter trovare un accordo ma in seguito compresero che la tassazione era un invito che comprendeva le scelte: “Stare con la Nco, pagare, andare via, la guerra!”
Ma per alcune famiglie e clan, di quelle quattro scelte, solo l’ultima poteva essere presa in considerazione. Di conseguenza, fu fondata un’alleanza antagonista, per contrastare la Nco, chiamata Fratellanza napoletana, o anche Onorata fratellanza, alleanza della quale il clan D’Alessandro, fu parte integrante.
I gruppi criminali principali della Fratellanza napoletana:
- famiglia Alfieri
- famiglia Nuvoletta
- famiglia Polverino
- famiglia Orlando
- clan Fabbrocino
- clan Maisto
- clan Lubrano-Ligato
- clan Gionta
- clan D’Alessandro
- clan Licciardi
- clan Mallardo
- famiglia Bardellino
- clan Giuliano
- clan Galasso
- Cosa nostra – “corleonesi”
La manovra de ‘o professore vesuviano innescò un ordigno che detonò venerdì 8 dicembre 1978. Si scatenò una faida tra le più sanguinarie e feroci della storia della camorra. Migliaia di morti da ambo le parti, su tutto il territorio campano e nazionale. La guerra tra la Nco e la Fratellanza napoletana si concluse venerdì 17 giugno 1983, con la sconfitta della Nco. Ma successivamente, anche i rapporti tra le famiglie che costituivano la Fratellanza napoletana, si incrinarono.
Lo sgretolamento della Onorata fratellanza
Le famiglie Nuvoletta-Gionta-D’Alessandro, iniziarono a scontrarsi con le famiglie Alfieri-Galasso-Bardellino. Conseguentemente a diverse operazioni delle Interforze dello Stato che indebolirono notevolmente entrambe le fazioni, molti soggetti apicali furono arrestati e molti divennero collaboratori di giustizia. Diversi leader importanti, elementi cardine della Fratellanza napoletana come Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, scelsero di collaborare con la giustizia. A tal proposito il boss Michele D’Alessandro, successivamente al suo arresto, rilasciò una dichiarazione ai giudici nel corso di un’udienza:
(…) Quelli sono veri boss, si possono pentire, io avrei poco da dire! (…).
Parole in codice pronunciate per dimostrare una scelta di vita mai rinnegata, a differenza di altri esponenti di spicco della camorra che si pentirono all’occorrenza e per convenienza.
Il clan D’Alessandro: la faida con il clan Imparato
Umberto Mario Imparato, cassiere dei D’Alessandro, fu accusato dal proprio boss Michele D’Alessandro, di aver sottratto ingenti somme di denaro dalle casse del clan, costringendo l’ex fedelissimo a nascondersi sui monti Lattari per sfuggire alla sentenza di morte emessa nei suoi confronti. Dalle montagne, Umberto Mario Imparato, grazie ad alleanze strette con le famiglie malavitose del posto, creò un gruppo criminale autonomo, forte del carisma da sempre esercitato sui giovani che vedevano nel ras Michele D’Alessandro un personaggio estremamente rozzo e violento. Iniziò così una guerra tra i due capi camorra che contò oltre 70 morti tra i rispettivi schieramenti. Particolare il modus operandi dei gruppi di fuoco di Umberto Mario Imparato. Lasciavano le montagne solo per uccidere per poi sparire rapidamente nel nulla. Umberto Mario Imparato capì che per vincere definitivamente doveva colpire direttamente Michele D’Alessandro. Il “boss della montagna” organizzò un agguato nei minimi particolari al boss rivale. Un’operazione che si doveva svolgere mentre Michele D’Alessandro si recava in commissariato per apporre la firma sul registro dei sorvegliati speciali.
Venerdì 21 aprile 1989, nei pressi dell’Hotel dei Congressi, un commando aprì il fuoco contro Michele D’Alessandro e la sua scorta. Ci furono quattro vittime, affiliati:
- Pasquale Santarpia, di 32 anni
- Domenico D’Alessandro, di 26 anni, fratello del boss
- Giovanni Grieco, di 21 anni,
arrivò in ospedale ancora agonizzante ma poco dopo ne fu dichiarato il decesso
- Giuseppe Sicignano, di 31 anni, colpito da un proiettile alla testa, in gravissime condizioni
- Michele D’Alessandro, ferito in modo non grave alle gambe e ad una spalla, sopravvisse all’agguato
Tra le vittime, ci furono anche degli innocenti, un bambino e Domenico D’Alessandro, il fratello di Michele D’Alessandro. Il vero obiettivo del raid riportò solo alcune ferite, uno strano particolare che fece pensare che Michele D’Alessandro fosse stato volutamente risparmiato dai killer. Michele D’Alessandro, non tardò a dimostrare la sua collera per la perdita del fratello e dei fedelissimi. Tra Castellammare e monti Lattari si verificarono pesanti scontri che fecero molti morti ammazzati. Una guerra che durò sino alla primavera del 1993 quando Umberto Mario Imparato fu stanato sui monti Lattari. Rimase ucciso insieme ad un suo guardaspalle durante un conflitto a fuoco ingaggiato con gli Operatori delle Interforze dello Stato.
Il figlio di Umberto Mario Imparato rimase ucciso in un agguato, mentre la figlia Tatiana, inizialmente accusata di essere la reggente del clan Imparato, fu assolta da ogni accusa a suo carico.
Clan D’Alessandro, Fenice delle organizzazioni criminali: i passaggi di potere
Il clan D’Alessandro, anche se fortemente indebolito, riuscí a resistere alla faida tra la Nco e la Fratellanza napoletana, agli scontri con gli Alfieri-Galasso-Bardellino, alla faida con il clan Imparato, infine anche alla morte di Michele D’Alessandro, boss e fondatore del clan, avvenuta in carcere in seguito ad un attacco cardiaco. Tutti duri colpi che non determinarono la fine dello spessore camorristico della famiglia. Il comando del clan D’Alessandro passò nelle mani della lady boss Teresa Martone, moglie del defunto superboss Michele D’Alessandro.
Teresa Martone
Teresa Martone fu la regista di un’organizzazione criminale ben ramificata a Castellammare di Stabia, Sant’Antonio Abate e nei comuni limitrofi. Intelligente, capace di stringere alleanze eccellenti con potenti clan di Secondigliano e in grado di gestire i gruppi di fuoco con estrema abilità. I killer intervenivano solo quando non si poteva fare diversamente per poi sparire nel nulla. Una dimostrazione di come controllare le proprie zone senza fare “inutile chiasso”, ovvero senza attirare l’attenzione delle Forze dell’Ordine in modo controproducente.
Luigi, Pasquale e Vincenzo D’Alessandro
Figli di Marco D’Alessandro e Teresa Martone, Luigino, omonimo di Luigi, zio paterno, Pasquale e Vincenzo D’Alessandro, furono i nomi degli eredi del boss di Scanzano. Diretti magistralmente dalla madre, nelle parentesi storiche più delicate del clan, quando nessuno sembrava avere le capacità per risollevare l’immagine di un casato camorristico fortemente temuto, il clan D’Alessandro “incoronò” tre nuovi reggenti.
Luigi D’Alessandro, lo zio paterno
Luigi D’Alessandro, detto “Gigginiello”, fratello del boss Michele D’Alessandro, dopo diverse vicende giudiziarie, fu scarcerato e con il suo ritorno in libertà, gli equilibri malavitosi dell’area stabiese, potevano ancora essere cambiati. Dopo anni di carcere, Gigginiello, cofondatore del clan D’Alessandro, rivide il suo rione e Castellammare, dove tutto ebbe inizio. Luigi D’Alessandro, era sempre stato considerato mente economica ed imprenditoriale del clan. Renato Cavaliere, ex killer del clan D’Alessandro dichiarò:
(…) Ho saputo che Luigi D’Alessandro è stato scarcerato. Adesso è lui che ha assunto il dominio del clan e decide tutte le strategie! (…).
Michele D’Alessandro: il nipote
Appalti pubblici, politici avvicinati, racket, pescherie, ambulanze.
Michele D’Alessandro junior e Antonio Rossetti, detto ‘o guappone, si alternarono ai vertici del clan D’Alessandro. Michele D’Alessandro junior, fu chiamato a guidare il clan fondato da suo nonno, del quale portava nome, cognome e “blasone” di camorra. Antonio Rossetti, era uno dei colonnelli fedelissimi del clan.
Estorsioni, riorganizzazione del traffico di sostanze stupefacenti, gestione delle armi. Ma “anche qualcosa di pulito”, cioè attività imprenditoriali e commerciali gestite in prima persona, come aveva consigliato durante un colloquio in carcere papà Luigi D’Alessandro, figlio del defunto boss Michele D’Alessandro senior e papà proprio di Michele D’Alessandro junior, classe 1995.
Teresa Martone, la vedova del defunto capoclan Michele D’Alessandro è la nonna paterna di Michele D’Alessandro junior. Sotto il comando di Michele D’Alessandro junior, il clan D’Alessandro si è occupato delle estorsioni ai danni di negozi di abbigliamento, ai locali notturni, alle ditte edili e i cantieri, addirittura ai danni di espositori alle feste patronali e soprattutto pescherie, alle quali imporre prodotti scadenti a prezzi altissimi. Metodi di persuasione del clan, minacce, pestaggi, raid e bombe.
Il clan D’Alessandro si è occupato dell’appalto regionale per il raddoppio dei binari Circum e ha imposto al comune di Castellammare di Stabia una ditta del clan dei Casalesi per poter gestire la raccolta dei rifiuti. Uno dei referenti di spicco del clan è stato intercettato in auto, durante un incontro con l’ex consigliere comunale Francesco Iovino che non era indagato, espulso dal Pd dopo un articolo apparso sul Mattino. E ancora, proprio grazie ad Antonio Rossetti, le ambulanze sono gestite dal clan D’Alessandro tramite una ditta di fiducia. All’Ospedale San Leonardo, a Villa Stabia e addirittura per i pazienti dializzati, i trasporti sanitari sono stati imposti dal clan tramite la “Croce verde”. Metodi di persuasione del clan, minacce e percosse.
Il clan D’Alessandro: alleati e affari
Il clan D’Alessandro, in collaborazione con il clan Afeltra-Di Martino, è attivo in Campania, nei comuni di Castellammare di Stabia, Sant’Antonio Abate e in altre zone del vesuviano, in Emilia-Romagna, nelle province di Rimini, Bologna, Ravenna e Parma, soprattutto a Salsomaggiore Terme, dove è operativa una propaggine del clan. L’organizzazione criminale D’Alessandro, in Calabria, in alleanza con il clan Afeltra-Di Martino, è in attività con le ‘ndrine Bellocco e Pesce del comune di Rosarno, nel reggino, le quali costituiscono il maggiore canale di approvvigionamento di stupefacenti.
Il clan D’Alessandro gestisce night club, ristoranti, bar e negozi di abbigliamento, soprattutto outlet e di intimo. Ragazze fatte arrivare dall’estero, non inserite nei locali notturni, sono inserite nell’organico delle attività nello specifico ruolo di commesse. Ad occuparsi della logistica dei boss, ci pensano gli autoctoni, con i quali i camorristi si incontrano sotto gli occhi di tutti, nei caffè dei centri commerciali della zona. Per quanto riguarda le infiltrazioni in riva all’Adriatico, il clan D’Alessandro ha conseguito il controllo diretto, o attraverso prestanomi, spesso “donne dei boss”, delle attività economiche e imprenditoriali. Oltre al traffico di narcotici, all’usura, alla detenzione di armi da guerra ed esplosivi, riciclaggio ed omicidi, il clan D’Alessandro, si occupa anche dei combattimenti clandestini tra cani.
Relazione Dia
Dalle informazioni ottenute attraverso indagini svolte sul campo e riportate nella relazione Dia 2023 aggiornata, pubblicata dal Ministero dell’Interno, si evince che nonostante la detenzione di gran parte degli affiliati, il clan D’Alessandro permane egemone a Castellammare di Stabia, Sant’Antonio Abate, in aree dei monti Lattari e zone limitrofe, con clan satelliti presenti anche in altre regioni italiane come Emilia Romagna e Calabria. Il comune di Castellammare di Stabia, si ricorda, è stato sciolto per infiltrazione camorristica con decreto del Presidente della Repubblica del 28 febbraio 2022 e la relativa gestione, proseguita per tutto il secondo semestre 2022, è stata affidata ad una commissione straordinaria, a riprova della incisiva influenza esercitata dal clan nell’area stabiese e zone limitrofe, sui locali organismi amministrativi.
Il clan D’Alessandro oggi
Il clan D’Alessandro, nonostante le numerose guerre di camorra affrontate, i duri colpi subiti dalle Interforze dello Stato e nonostante capi e affiliati storici siano deceduti, o si trovino agli arresti, non si è disarticolato. Il clan D’Alessandro ha dimostrato forza e resistenza. Una rigenerazione costante nel tempo della linea di comando, ha garantito una continuità al clan. Il clan D’Alessandro, di generazione in generazione ha avuto una discendenza di reggenti consanguinei e fedeli affiliati di esperienza che li hanno affiancati. Il clan D’Alessandro, ha resistito agli attacchi e si è evoluto. I guadagni illeciti provenienti dai traffici di stupefacenti e armi, dalle piazze di spaccio, dalla gestione di sale da gioco d’azzardo, dalle estorsioni ad attività commerciali, di ristorazione, alle aziende edili e cantieri, vengono riciclati e reinvestiti in attività “pulite”.
L’organizzazione criminale ha dimostrato notevoli capacità di infiltrazione nelle amministrazioni pubbliche, nella manipolazione di gare d’appalto e nell’intercettazione e il dirottamento di soldi pubblici nelle casse del clan. Il clan può contare su un “entourage malavitoso” formato da colletti bianchi come faccendieri, imprenditori, Avvocati, politici affiliati, o comunque sottoposti. Il clan D’Alessandro, attraverso la creazione di società, investe in compravendite di terreni, di beni immobili e mobili, in aziende agricole, nella gestione dei rifiuti, in aziende edili ma anche in catene di negozi di abbigliamento e trasporti internazionali. Il clan D’Alessandro, gestisce affari illeciti per centinaia di milioni di euro. Con tali caratteristiche di rigenerazione ed evoluzione, il clan di camorra più potente della zona di Sant’Antonio Abate, è il clan D’Alessandro.