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La grande paura di ritornare a vivere: il “dramma oscuro” del Covid

Sei italiani su dieci evitano i mezzi, sette non ricevono più in casa. Ansia, depressione, stress: i dati sui traumi sociali da Covid

Nell’anno del Covid 35 milioni di italiani hanno avuto problemi a utilizzare servizi e prestazioni sanitarie per patologie non Covid. In particolare le cancellazioni e le rinunce hanno coinvolto circa 10 milioni di persone: 6,8 milioni hanno cancellato una visita specialistica; 2,7 milioni hanno cancellato una visita dal medico di base, un milione ha rinunciato alla radiologia, un altro milione a un intervento in day hospital, 600mila a interventi chirurgici, altri 600mila a una visita al pronto soccorso, 500mila a una visita pediatrica al proprio figlio, 400mila a servizi di oncologia. Tutti loro hanno rinunciato per paura di venire contagiati in ambienti sanitari e ospedalieri. Solo il 13,8 per cento, ancora oggi, dichiara che non ha nessun timore a frequentare strutture di tipo sanitario, mentre il resto della popolazione, cioè l’86,2 per cento, ha invece timore di frequentare i luoghi sanitari.

Covid, la grande paura di ritornare a vivere

È il quadro che emerge dalla ricerca della Fondazione Italia in Salute, realizzata da Sociometrica, per quantificare su scala nazionale le conseguenze dell’epidemia sul sistema sanitario impegnato nelle patologie non-Covid. Il titolo dell’indagine è «Gli italiani e il Covid-19. Impatto socio-sanitario, comportamenti e atteggiamenti della popolazione Italiana». Dalla ricerca emerge inoltre che molti Italiani hanno modificato spontaneamente alcuni comportamenti quotidiani, con grosse ricadute sulla vita sociale. Il 63,3 per cento evita di prendere mezzi pubblici, oltre la metà non frequenta più negozi e bar; sette persone su dieci hanno ridotto le uscite con altre persone, sempre sette su dieci hanno scelto di non vedere più amici e conoscenti dentro casa, il 30 per cento ha rinunciato a praticare sport. Analizzando più in profondità questi dati, scopriamo che sono soprattutto i residenti al sud che hanno avuto l’impatto psicologico e comportamentale più profondo, sebbene sia stato diffuso dovunque in Italia.

L’impatto psicologico

Tutto questo ha naturalmente un impatto psicologico negativo: il 49,1 per cento della popolazione avverte una crescita dello stress; il 28,8 per cento ha difficoltà del sonno; il 27 per cento ha malesseri psicologici di tipo generale; il 25,7 per cento mangia di più o ha smesso di controllare la propria dieta; il 16,5 per cento accusa sintomi di depressione. In tutti i comportamenti analizzati l’impatto sulle donne è molto più pesante rispetto a quello sugli uomini. «Scopriamo un’Italia in grande sofferenza – afferma Antonio Preiti, direttore e fondatore di Sociometrica – non solo sul piano economico e sociale, ma sul piano delle singole persone, che non salva nessuno e nessun aspetto della vita com’eravamo abituati a viverla. Avere cognizione dell’ampiezza e della profondità del “male oscuro” innescato dal Covid è fondamentale se vogliamo uscirne senza traumi sociali permanenti».

I giovani

E poi c’è la questione dei giovani, forse la categoria che più di ogni altra ha subìto i contraccolpi della pandemia. Quasi il 60 per cento dei genitori intervistati ritiene che la pandemia abbia avuto un impatto psicologico negativo sui figli minorenni. Per 1 genitore su quattro i minori sono stati «colpiti molto pesantemente». Se confrontiamo i dati relativi ai più giovani con quelli medi della popolazione scopriamo che per qualunque comportamento l’impatto sui giovani è maggiore che nella media, con alcune differenze che sono molto significative, e in due casi eclatanti: gli accenni (o sintomi) di depressione erano citati dal 16,5 per cento della popolazione, ma fra i più giovani si sale al 34,7 per cento, quindi più del doppio.

I disagi psicologici

Un dato preoccupante, confermato da un’altra differenza che si riscontra nel numero proporzionale di persone che avverte disagi psicologici: è il 27,1 per cento nella media della popolazione ma fra i giovani arriva al 40,2 per cento, anche qui quasi il doppio. «La sorpresa più eclatante della ricerca – hanno detto Preiti e Federico Gelli, presidente di Fondazione Italia in Salute – sono proprio i giovani: nonostante siano quelli più al sicuro dal virus, sono quelli che psicologicamente hanno subito di più e questo per vari motivi, primo fra tutti perché il digitale, utilizzato molto dai giovani, non è così solido come forma di relazione, e poi perché i giovani hanno dovuto rinunciare alle uscite in gruppo, un momento sacro per molti di loro».

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