Almanacco

Il 5 gennaio accadde la Primavera di Praga, quel 1968 che causò l’invasione dell’URSS in Cecoslovacchia

Il 5 gennaio 1968 ebbe inizio uno degli esperimenti più arditi di ingegneria politica del Ventesimo secolo: cominciò la Primavera di Praga

La Primavera di Praga ebbe inizio il 5 gennaio 1968, quando lo slovacco Alexander Dubček divenne segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia, terminando il 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione militare dell’Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia invase il paese.

Nel 1968 iniziò la Primavera di Praga, un periodo storico di liberazione politica

La Primavera di Praga, è stato un periodo storico di liberalizzazione politica avvenuto il 5 gennaio in Cecoslovacchia durante quando era sottoposta al controllo dell’URSS, dopo gli eventi successivi alla seconda guerra mondiale e nell’ambito della guerra fredda. Essa iniziò nel 1968, quando il riformista slovacco Alexander Dubček salì al potere, terminando il 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione militare dell’URSS e degli alleati del Patto di Varsavia invase il paese.


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Tali riforme furono un tentativo da parte di Dubček di concedere nuovi diritti ai cittadini grazie ad un decentramento parziale dell’economia e alla democratizzazione. Le libertà concesse inclusero un allentamento delle restrizioni alla libertà di stampa e di movimento. Dopo una discussione nazionale sulla possibilità di dividere il paese in una federazione di tre repubbliche, Boemia, Moravia-Slesia e Slovacchia, Dubček sostenne la decisione per la divisione della Cecoslovacchia in due nazioni distinte: la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca. Questo è stato uno dei pochi cambiamenti – che sarebbe comunque divenuto operativo solo dopo la fine del blocco sovietico – che è sopravvissuto alla fine della Primavera di Praga.

Le riforme, in particolare quelle per il decentramento delle autorità amministrative e le libertà di espressione, non furono assecondate dai sovietici che, dopo il fallimento dei negoziati, inviarono migliaia di soldati e carri armati del Patto di Varsavia ad occupare il paese. Si verificò una ondata di emigrazione verso i paesi dell’Europa occidentale, mentre le proteste non violente furono all’ordine del giorno, tra cui le proteste-suicidio dello studente Jan Palach e di altre persone che lo emularono. La Cecoslovacchia rimase occupata fino al momento della caduta del muro di Berlino che segnò la fine del blocco sovietico.


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Dopo l’invasione, la Cecoslovacchia entrò in un cosiddetto periodo di normalizzazione: i leader successivi ripristinarono le condizioni politiche ed economiche antecedenti a Dubček, grazie al controllo del Partito Comunista di Cecoslovacchia (KSČ). Gustáv Husák sostituì Dubček e divenne anche presidente, annullandone quasi tutte le riforme. La primavera di Praga ha ispirato la musica e la letteratura, come le opere di Václav HavelKarel HusaKarel Kryl e il romanzo di Milan Kundera: L’insostenibile leggerezza dell’essere. In Italia l’evento fu messo in musica dal cantautore Francesco Guccini (1970). La canzone, dal titolo Primavera di Praga, fu cantata e incisa anche dal complesso musicale I Nomadi.

Antefatti

Il processo di destalinizzazione in Cecoslovacchia era iniziato sotto Antonín Novotný tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni Sessanta, ma andava progredendo più lentamente rispetto ad altri stati del blocco orientale. Seguendo l’esempio di Nikita Chruščëv, Novotný proclamò il completamento del socialismo e la nuova costituzione, adottando il nome di Repubblica Socialista Cecoslovacca. Il ritmo del cambiamento, tuttavia, era lento. La riabilitazione delle vittime di epoca stalinista, come quelli condannati nei processi Slansky, fu iniziata fin dal 1963 ma non portò a risultati concreti fino al 1967. Nello stesso tempo si facevano sentire le strette regole volute dal regime, l’Unione degli scrittori cecoslovacchi cautamente cominciò a esternare il malcontento nell’aria e nella gazzetta del sindacato, Literární noviny, alcuni membri proposero che la letteratura avrebbe dovuto essere indipendente dalla dottrina del Partito.


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Folla di dimostranti che circondano alcuni carri armati sovietici durante i primi giorni dell’invasione.

Nei primi anni sessanta, la Cecoslovacchia subì una recessione economica. Il modello sovietico di industrializzazione fu applicato in modo inefficace. La Cecoslovacchia era già molto industrializzata prima della seconda guerra mondiale e il modello sovietico teneva soprattutto conto delle economie meno sviluppate. Novotný tentò così una ristrutturazione dell’economia e fece una maggiore domanda di riforme politiche.

Nel giugno del 1967, un piccolo gruppo di scrittori cechi simpatizzarono con i socialisti radicali: esso era formato in particolare da Ludvík VaculíkMilan KunderaJan ProcházkaAntonín Jaroslav LiehmPavel Kohout e Ivan Klíma. Alcuni mesi più tardi, in una riunione di partito, fu deciso di intraprendere azioni amministrative contro gli scrittori che apertamente esprimevano sostegno alla riforma. Dal momento che solo una piccola parte del sindacato aveva queste idee riformiste, i membri restanti furono reclutati per disciplinare i loro colleghi. Il controllo della Literární noviny e di diverse altre case editrici fu trasferita al ministero della cultura, anche membri della parte che più tardi divenne riformatrice, tra cui Dubček, avallarono queste mosse.


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Nel frattempo, il presidente Antonín Novotný stava perdendo sostegno. Il Primo Segretario del Partito Comunista Slovacco, Alexander Dubček e l’economista Ota Šik lo sfidarono in una riunione del Comitato Centrale. Novotný invitò il premier sovietico Leonid Il’ič Brežnev a Praga per dicembre alla ricerca di sostegno, ma Breznev fu sorpreso dalla portata dell’opposizione a Novotný e quindi avallò la sua rimozione a capo della Cecoslovacchia. Dubček sostituì dunque Novotný come Primo Segretario, il 5 gennaio 1968. Il 22 marzo 1968 Novotný si dimise dalla presidenza e fu sostituito da Ludvík Svoboda che in seguito dette il consenso per le riforme. Inoltre l’8 aprile 1968 Oldřich Černík diventò Primo Ministro al posto di Jozef Lenárt.

Origine del termine


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Alexander Dubček in una foto del 1989.

Il termine Primavera di Praga fu coniato ed usato dai media occidentali quando l’evento acquistò rilevanza internazionale, e solo in un secondo tempo si diffuse anche in Cecoslovacchia.

Situazione in Cecoslovacchia e antefatti

Fin dalla metà degli anni Sessanta in tutto il paese si erano percepiti segni di crescente malcontento verso il regime. Le istanze dei riformisti, il cui leader era Alexander Dubček, avevano trovato voce in alcuni elementi all’interno dello stesso Partito Comunista Cecoslovacco. Le riforme politiche di Dubček, che egli stesso chiamò felicemente “Socialismo dal volto umano”, in realtà non si proponevano di rovesciare completamente il vecchio regime e allontanarsi dall’Unione Sovietica: il progetto era di mantenere il sistema economico collettivista affiancandovi una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. Tutte queste riforme furono sostenute dalla grande maggioranza del paese, compresi gli operai. Ciò nonostante queste riforme furono viste dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all’egemonia dell’URSS sui paesi del blocco orientale, e, in ultima analisi, come una minaccia alla sicurezza stessa dell’Unione Sovietica. Per comprendere i motivi di questo allarme bisogna tener presente la collocazione geografica della Cecoslovacchia, esattamente al centro dello schieramento del Patto di Varsavia: una sua eventuale defezione non poteva essere tollerata in periodo di Guerra Fredda.


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A differenza di quanto era avvenuto in altri paesi dell’Europa centrale, la presa di potere dei comunisti in Cecoslovacchia nel 1948 era stata accompagnata da una genuina partecipazione popolare, e non era stata funestata, come altrove, da brutali repressioni. Le riforme sociali del dopoguerra erano avvenute pacificamente, mentre, ad esempio, in Ungheria si erano avute vere e proprie sommosse. Ciononostante, la dirigenza, guidata da Gottwald prima, da Zapotocky e Novotný poi, aveva mantenuto un regime totalitario fortemente repressivo che si era espresso in maniera brutale durante le purghe staliniane e che non si era aperto alle riforme dopo la morte del leader sovietico. La stessa minoranza slovacca rimaneva sotto rappresentata nelle istituzioni, che accusavano sempre una distanza ideologica rilevante rispetto alle altre repubbliche popolari che avevano compiuto la destalinizzazione, Ungheria e Polonia in primis.

Politica estera dell’Unione Sovietica

La politica sovietica di appoggiare o imporre negli stati satellite governi di provata fedeltà, usando se necessario anche la forza, divenne nota come Dottrina Brežnev, dal nome del leader sovietico Leonid Brežnev, che fu il primo a teorizzarla pubblicamente, sebbene di fatto fosse già stata applicata fin dai tempi di Stalin. Questa dottrina fu la base della politica estera sovietica fino a quando, nei tardi anni Ottanta, sotto Michail Gorbačëv, fu sostituita dalla cosiddetta Dottrina Sinatra.


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La dirigenza sovietica dapprima usò tutti i mezzi diplomatici possibili per fermare o limitare le riforme portate avanti dal governo cecoslovacco, poi, vista l’inutilità di questi tentativi, optò per l’azione militare.

L’invasione

La stagione delle riforme ebbe bruscamente termine nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, quando una forza stimata fra i 200mila e i 600mila soldati e fra 5mila e 7mila veicoli corazzati invase il paese. Le unità principali che effettuarono l’invasione erano le formazioni corazzate e meccanizzate del Gruppo di forze sovietiche in Germania che penetrarono in Cecoslovacchia dalla Sassonia. Il grosso dell’esercito cecoslovacco, forte di 11 o 12 divisioni, obbedendo ad ordini segreti del Patto di Varsavia, era stato schierato alla frontiera con l’allora Germania Ovest, per agevolare l’invasione e impedire l’arrivo di aiuti dall’occidente.


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L’invasione coincise con la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, che avrebbe dovuto sancire definitivamente le riforme e sconfiggere l’ala stalinista. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubček, furono costretti dal precipitare degli eventi a riunirsi clandestinamente in una fabbrica, ed effettivamente approvarono tutto il programma riformatore, ma quanto stava accadendo nel paese rese le loro deliberazioni completamente inutili. Successivamente questo congresso del partito comunista cecoslovacco venne sconfessato e formalmente cancellato dalla nuova dirigenza imposta da Mosca a governare il paese.

Conseguenze dell’occupazione

I paesi democratici dovettero limitarsi a proteste verbali, poiché era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda suggerì ai paesi occidentali di non ingaggiare una sfida militare nell’Europa centrale che avrebbe aperto a scenari di guerra atomica.


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Dopo l’occupazione si verificò un’ondata di emigrazione, stimata in 70mila persone nell’immediato e di 300mila in totale, che interessò soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale. Gli emigranti riuscirono in gran parte ad integrarsi senza problemi nei paesi occidentali in cui si rifugiarono.

La fine della Primavera di Praga aggravò la delusione di molti militanti di sinistra occidentali nei confronti delle teorie leniniste, e fu uno dei motivi della nascita delle idee eurocomuniste in seno ai partiti comunisti occidentali. L’esito finale di questa evoluzione fu la dissoluzione di molti dei partiti marxisti venti anni dopo, con la caduta del Muro di Berlino.


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Dieci anni dopo la Primavera di Praga passò simbolicamente il suo nome ad un analogo periodo di liberalizzazione della politica cinese, noto come Primavera di Pechino.

In Italia, il Partito Comunista Italiano di Longo-Berlinguer si limitò a parlare di errore politico, mentre il manifesto, che era l’organo del partito, affermò che il socialismo sovietico era divenuto un sistema non più riformabile.


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La condanna dei fatti di Praga arrivò dal PCI solamente dieci anni dopo, quando ormai era iniziata la rivoluzione liberista di Reagan e della Thatcher, e il dibattito politico si interrogava sulla possibilità stessa di un socialismo democratico, anziché di un socialismo diverso da quello sovietico.

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