CuriositĆ 

La lingua napoletana: i proverbi che caratterizzano il folklore linguistico partenopeo

Il napoletano, piĆ¹ che un dialetto, ĆØ riconosciuto nel mondo come una vera e propria lingua. Lā€™avvento di numerosi popoli nella bella cittĆ  di Napoli, con i loro usi, costumi e tradizioni, hanno determinato un ā€œMeltin Potā€ culturale, una commistione che si riflette anche nella storia dello stesso linguaggio e nei proverbi che lo rendono piĆ¹ colorito. Ma quali sono questi proverbi?

I proverbi napoletani piĆ¹ famosi della tradizione

 

 

 

  • A capa ā€˜e sotto fa perdere ā€˜a capa ā€˜e coppaā€œ: Ā questo proverbio allude al fatto che spesso, quando siamo animati da pulsioni sessuali, queste ultime soppiantano totalmente la capacitĆ  di raziocinio.
  • ā€œAcqua ā€˜e maggio, parole ā€˜e saggeā€: tale frase ci insegna che, spesso, gli antichi proverbi sono piĆ¹ affidabili delle stesse previsioni meteorologiche. Lā€™espressione suggerisce il fatto che a maggio ci sia una probabilitĆ  che possano verificarsi delle precipitazioni tanto alta quanto lo ĆØ la probabilitĆ  che dalla bocca di un saggio possano uscire importanti massime di vita.
  • ā€œAdda venƬ baffoneā€œ:Ā  questa esclamazione viene impiegata frequentemente nel corso di situazioni di particolare e generale scontento. ā€œIl baffoneā€ di cui tutti auspicavano la venuta, durante la seconda guerra mondiale, quando Napoli venne assediata dai nazisti, era ā€œJosef Stalinā€œ di cui il popolo partenopeo ne ignorava le malefatte e lo vedeva, al contrario, come personificazione della libertĆ  stessa, nella sua guerra contro un nemico comune,speravando che un giorno sarebbe venuto per liberare anche il loro popolo. Oramai divenuto una figura astratta, senza un concreto riferimento, ma lā€™intento ĆØ sempre quello di aspettare lā€™avvento della figura di un ā€œsalvatoreā€ che venga a mettere le cose a posto.
  • ā€œA cuoppo cupo poco pepe capeā€ vero e proprio scioglilingua costituisce il corrispettivo napoletano di un semplice ā€œsotto la panca la capra campaā€, ma, in questo caso, non si tratta soltanto di un esercizio per la lingua. Letteralmente si puĆ² tradurre con ā€œin un cartoccio stretto puĆ² entrare poco pepeā€ ed esorta a non perdere tempo nel cercar di far ragionare una persona ignorante e mentalmente chiusa.

agrodolce

  • ā€˜A Madonna tā€™accumpagnaā€œ: con la quale si augura ai propri cari di essere, appunto, sorvegliati e avere un occhio di riguardo da parte della Madonna. Nella seconda metĆ  del ā€˜700 il re Ferdinando IV per contrastare la criminalitĆ  e per combattere il buio pesto che cā€™era per le strade di Napoli di notte, decise di creare unā€™illuminazione artificiale proprio per osteggiare i banditi. CosƬ si iniziarono ad installare alcuni lampioni nei pressi di Palazzo Reale e nelle strade piĆ¹ importanti della cittĆ . Questo non risolveva il problema e cosƬ padre Gregorio Maria Rocco presentĆ² al re una proposta: ā€œMaestĆ , date a me la licenza dellā€™illuminazione della cittĆ . E state tranquillo, non farĆ² spendere alle casse del Regno nemmeno un ducatoā€. Re Ferdinando gli diede il permesso. Prese un dipinto della Madonna trovato nei sotterranei del monastero del Santo Spirito, nella zona di piazza Plebiscito, allora chiamata Largo Palazzo e ne fece fare centinaia di copie a colori. Le fece sistemare in tante edicole votive sparse per Napoli dicendo: ā€œO napoletani la Madonna che sta nella vostra strada ĆØ uguale a quella delle altre strade di Napoli. Ora, perĆ², se voi volete veramente bene alla vostra, dovete tenerla sempre illuminata.ā€

modi-di-dire-napoletani-a-madonna-taccumpagna-1280x720

  • A monaca dā€™ ā€˜e Camaldoli: muscio nun le piaceva e tuosto le faceva maleā€œ:Ā  sono molto frequenti nei detti e nei proverbi napoletani le allusioni di natura sessuale e la commistione di elementi ā€œsacri e profaniā€. Il sesso, in particolare, data la capacitĆ  dellā€™argomento di stuzzicare lā€™attenzione, era impiegato per poter rendere in maniera piĆ¹ immediata anche i concetti piĆ¹ complessi, facilitandone cosƬ la comprensione anche dai meno eruditi. Questo detto si riferisce ad un tipologia di donna particolarmente lunatica, che non sa quello che vuole. Il luogo citato ā€œCamaldoliā€ ĆØ un rafforzativo, utilizzato per conferire maggior enfasi e ā€œpathosā€. Tuttavia a Camaldoli, a Napoli, risulta esserci davvero un monastero lā€™Eremo dei Camaldoli. Risalente al XVI secolo ospita ancora oggi le suore devote a Santa Brigida, le Brigidine. Quindi, non ĆØ da escludere che, magari, la promiscua monaca cui la frase fa riferimento, fosse realmente esistita.
  • A Santa Lucia nu passe ā€˜e gallina, a Santā€™Aniello nu passe ā€˜e pecurielloā€: Santa Lucia ĆØ considerata la protettrice degli occhi e della vista, inoltre in alcune provincie del Nord Italia ĆØ considerata al pari di una befana. Infatti il 13 dicembre, giorno in cui si celebra la sua santitĆ , i bambini solitamente aspettano che la martire in groppa a un asinello consegni loro dei doni. Santā€™Agnello ĆØ considerato il protettore delle partorienti e dei marinai. Il detto fa riferimento al calendario Giuliano, cioĆØ quello solare in cui Santa Lucia coincideva con il giorno piĆ¹ breve dellā€™anno e a cui seguivano inevitabilmente giornate con piĆ¹ ore di luce.
  • Alla sanfasĆ²: deriva dal francese sans faƧon letteralmente sta per ā€œsenza maniereā€, significa, dunque, ā€œsenza cerimonieā€ ā€œalla buonaā€, ā€œa come vieneā€.
  • ā€œAumm aummā€: da solo, il termine ā€œAummā€, non vuol dire assolutamente nulla. La locuzione onomatopeica ā€œaumm aummā€ al contrario, si riferisce, probabilmente, alla bocca che si chiude. Allude, infatti, ad un qualcosa di losco che deve essere tenuto celato. Tuttavia, si puĆ² scorgere unā€™ambivalenza nel significato quando va a riferirsi ad unā€™azione, non per forza negativa o criminale, ma fatta velocemente.
  • ā€œAvimmo perduto a Felippo e ā€˜o panaroā€: Raffaele Bracale fa risalire lā€™espressione ad unā€™antica farsa pulcinellesca di Antonio Petito nella quale, un nobile di nome Pancrazio, dopo aver affidato una cesta colma di leccornie al suo servo Filippo, si dirige verso casa aspettando lā€™arrivo dellā€™uomo. Il servo, perĆ², dopo aver divorato e dispensato ai suoi amici e allā€™intera cittĆ , il contenuto della cesta, decide di darsi alla fuga. Pancrazio, profondamente amareggiato realizza, cosƬ, di aver perso sia il cesto che il servo. La frase si riferisce a quelle sfortunate situazioni in cui piĆ¹ avvenimenti spiacevoli vanno a coincidere.
  • bbuĆ² trasƬ dinto ā€˜a scazzetta?: la ā€œscazzettaā€ altro non ĆØ che un particolare tipo di copricapo utilizzato dai preti e dagli uomini di chiesa. CiĆ² che nascondeva la ā€œscazzettaā€ non era visibile, se non a colui che la indossava. Tale espressione viene utilizzata ancora oggi per descrivere una tipologia di persona particolarmente ficca naso ed impicciona.
  • CaporĆ  ĆØ muort alifanteā€ ĆØ una tipica espressione napoletana utilizzata nei confronti di qualcuno che continua a vantarsi di un vantaggio che prima aveva ed ora non ha piĆ¹, il classico ā€œpallone gonfiatoā€. Lā€™espressione si ispira ad una particolare vicenda in cui un elefante venne affidato ad un vecchio soldato, il quale si vantava assiduamente per lā€™incarico ricevuto, riscuotendo numerose e cospicue mance da coloro che visitavano i giardini reali di Portici, luogo in cui era appunto esposto lā€™animale. Dopo la morte del pachiderma, avvenuta pochi anni dopo, il caporale continuĆ² ad avere la stessa condotta e a darsi arie. Per questo, venne raggirato e schernito dal popolo partenopeo con questa colorita espressione.
  • Ce manca lā€™asso ā€˜o doje e ā€˜a tuvaglia ā€˜e Fiandraā€ ad ispirare il detto ĆØ sicuramente il gioco del ā€œtressetteā€ si riferisce ad una situazione in cui mancano le fondamenta essenziali. ā€œā€˜A tuvaglia ā€˜e Fiandraā€ servono ad esasperare il concetto per renderne una maggiore ā€œdrasticitĆ ā€.

tresette

 

 

 

  • ā€œā€™A carne ā€˜a sotto e ā€˜e maccarune ncoppoā€: letteralmente ā€œla carne sotto e i maccheroni sopraā€. In cui tutto ĆØ il contrario di tutto. Fa riferimento ad una situazione particolarmente paradossale.

spaghetti

  • ā€œcu ā€˜e pacche dintoā€™a llā€™acquaā€: si riferisce ad una condizione di miseria assoluta, quando si ha toccato il fondo. A Napoli cā€™ĆØ sempre stata la convinzione, errata ed esagerata che i pescatori fossero i lavoratori piĆ¹ squattrinati, la pesca veniva ritenuta lā€™ultima spiaggia per chi aveva perso tutto. Ed ĆØ stato proprio questo mestiere ad ispirare il detto.
  • ā€œChillo tene lā€™artetecaā€: tipico modo di dire che indica una persona che non si riposa mai,poichĆ© sempre in attivitĆ .
  • ā€œtutto il cucuzzaro:ā€ la ā€œcocozzaā€ ĆØ la zucca e questa espressione ,estesa in tutto il Sud Italia e non solo a Napoli, trae ispirazione da un antico gioco praticato dai bambini il ā€œgioco del cucuzzaroā€. Viene utilizzata per intendere ā€œtutto quantoā€ o ā€œtutti quantiā€ in riferimento sia a persone che a cose.

zucca

 

  • ā€œComme facette Scioscia mettette ā€˜o culo a viento ā€˜e terra e sciusciajeā€: tradotto letteralmente: ā€œCome fece (un tal) Scioscia mise il sedere a vento di terra e soffiĆ²ā€. Lā€™espressione si riferisce ad un marinaio, chiamato Scioscia, che bloccato in mare dal vento, per dare la spinta alla nave si aiutĆ² soffiando col sedere e facendo da forza motrice. Di questo detto, che si riferisce ad una persona stupida e sciocca, in realtĆ  esistono numerose varianti: ā€œcomme facettero lā€™antiche, ca se magnajeno ā€˜a scorza e rummanettero ā€˜a mullicaā€œ oppure, ancora ā€œComme facette Scioscia, ca se magnaje ā€˜a tosta e rummanette ā€˜a mosciaā€. Si tratta di unā€™antica espressione usata per schernire gli stolti che hanno un atteggiamento sbagliato e addirittura autolesivo.
  • ā€œĆØ successo un 48ā€: Il numero ā€œ48ā€ si usa per fare riferimento allā€™anno 1848, caratterizzato da moltissime rivolte popolari borghesi, comunemente identificate con ā€œrivolte del ā€™48ā€ non ĆØ solo simbolo di caos, ma di caos accompagnato al cambiamento.
  • ā€¦e buonanotte ai suonatoriā€: questo modo di dire non ha origini prettamente napoletane, anzi, viene riconosciuto in quasi ogni regione dā€™Italia, ma a Napoli viene usato molto piĆ¹ frequentemente ed ĆØ arrivato ad assumere connotati e significati ben piĆ¹ complessi. Oltre al mettere fine ad una discussione o ad un accordo, ā€œbuonanotte ai suonatoriā€ nella tradizione partenopea allude spesso una certa forma di rassegnazione, una resa di fronte ad una situazione che non puĆ² essere piĆ¹ cambiata nonostante gli sforzi. La scelta di ā€œimpiegareā€ la figura dei musicisti ĆØ facile da capire, infatti, quando la musica finiva e persino i suonatori potevano andare a dormire, significava che la festa o la serata erano definitivamente concluse e non si poteva far altro che tornare a casa.

suonatori

  • ā€œĆŠ viĆ©cchie lle prĆ³re ā€˜o cupierchioā€: la traduzione piĆ¹ comune sarebbe ā€œAi vecchi prude il sedere Tuttavia, abbiamo dato per scontato che il termine ā€œcupierchioā€ indichi il sedere: nella nostra lingua viene spesso usato con questo significato, ma, in questo caso, potrebbe indicare unā€™altra zona intima. Il prurito spesso viene usato, a Napoli, per definire un ā€œchiodo fissoā€, un pensiero costante ed invadente. Questo prurito intimo dovrebbe rappresentare la pulsione sessuale insoddisfatta, la voglia costante dei ā€œvecchi rattusiā€.
  • E che dā€™ĆØ ā€˜stu quatto ā€˜e Maggio?: dallā€™usanza di effettuare i traslochi in cittĆ  il 4 di questo mese o quatto ā€˜ e Maggio divenne, per Napoli, il giorno dellā€™ammuina per eccellenza, con tantissime persone intente a ricercare la casa che meglio si confacesse alle proprie esigenze e disponibilitĆ  economiche. Si riferisce pertanto tanto ad una situazione particolarmente caotica.
  • ā€œEā€™ fernuta ā€˜a zezzenellaā€: tutto ciĆ² che percepiamo bello e ristoratore ĆØ destinato ad avere una fine e non puĆ² durare in eterno e quindi, alla lunga, tutte le ā€œzezzenelleā€ si esauriscono. Non ĆØ difficile capire che ā€œzezzenellaā€ ĆØ diminutivo di ā€œzizzaā€ ed ĆØ quindi una ā€œpiccola mammellaā€. Il detto trae origine dallā€™atto della mungitura delle mucche.
  • ā€œFĆ  acqua ā€˜a pippaā€: letteralmente ā€œla pipa fa acquaā€, un modo ironico per definire una persona in uno stato miserevole. Le interpretazioni sono molteplici, puĆ² far riferimento ad una pipa talmente malmessa da generare vapore e far fuoriuscire lā€™acqua dalle intercapedini. O ad una pipa tenuta da una persona talmente povera da non potersi permettere il tabacco, essendo cosƬ costretto a fumarsi lā€™acqua.
  • Non tutti sanno perĆ² che la ā€œpipaā€ ĆØ anche una piccola botticella spagnola nella quale si era soliti conservare liquori e in qualunque casa, napoletana e non, lā€™uomo deve poter offrire dei liquori agli ospiti. In questo caso ā€œfĆ  acqua ā€˜a pippaā€ indicherebbe una persona talmente povera da non potersi permettere di riempire la pipa con liquori, ma solo con dellā€™acqua. Oppure ancora, la ā€œpippaā€ in questione, secondo alcuni, potrebbe anche alludere al fallo. Lā€™uomo preso di mira, sarebbe definito cosƬ vecchio o malandato, da non essere piĆ¹ capace di produrre liquido seminale.
  • ā€œFĆ  ā€˜e cofecchieā€: ha una doppia accezione e fa riferimento, in primo luogo, al tradimento coniugale che una persona compie nei confronti del proprio compagno/a ed, in secondo luogo, ad una persona che fa pettegolezzi. Si sostiene che il termine derivi dallā€™aggettivo greco ā€œkĆ³balosā€, traducibile con i sostantivi ā€œfurboā€ e ā€œimbroglioneā€ o addirittura con i verbi ā€œingannareā€ ā€œbeffareā€ ā€œraggirareā€ e ā€œburlareā€.

sparlare

  • ā€œFacesse na culata e ascesse ā€˜o sole!ā€: unā€™esclamazione piena di rammarico pronunciata da chiunque noti che le proprie azioni, fin dallā€™inizio, non sono mai accompagnate dalla buona sorte.
  • ā€œFatte benedicere ā€˜a nu prevete ricchioneā€?: utilizzato quando si ha la sensazione che la sorte si accanisca contro la propria vita. La scelta della figura del prete (anticamente era piĆ¹ frequente lā€™impiego del ā€œmonacoā€) ĆØ da ricercare nel fatto che, questi ultimi, fossero depositari di massime di vita, mentre la presenza del termine ā€œricchioneā€ ĆØ giustificata dal fatto che gli omosessuali fossero sicuramente piĆ¹ abituati ad affrontare situazioni spiacevoli, dal momento che, a quel tempo, non erano ben visti e che quindi i consigli avrebbero potuto essere ancora piĆ¹ utili e pertinenti.
  • ā€œfiglio ā€˜e ā€˜ntrocchiaā€ : la locuzione di matrice partenopea ha una connotazione positiva e viene impiegata per descrivere qualcuno (soprattutto bambini) molto sveglio. Il termine letteralmente significa ā€œfiglio di una meretriceā€ piĆ¹ che meretrice in questo caso possiamo si puĆ² impiegare il termine ā€œluccioleā€: nelle notti piĆ¹ fredde le prostitute tendono a riscaldarsi accendendo falĆ² a bordo strada, cosa che aiuta anche a mettere in mostra la mercanzia. Questa abitudine ed i piccoli bagliori che ne derivano hanno valso la similitudine con i luminosi insetti

tarallucci e vino

  • finisce ā€œa tarallucci e vinoā€: questa espressione, meglio di qualunque altra, riesce a definire la quiete che arriva dopo un litigio, trae origine dallā€™antica tradizione contadina. In genere, quando arrivavano ospiti, sia attesi che inaspettati, il padrone di casa organizzava quello che oggi definiremmo un aperitivo a base di prodotti semplici come i taralli ed un buon bicchiere di vino. Il detto si ĆØ evoluto, soprattutto in ambito giornalistico, assumendo anche una connotazione negativa. Facendo riferimento ad accordi politici o gravi crisi dire che la cosa ĆØ finita a tarallucci e vino significa che ĆØ avvenuto un accordo sottobanco, un insabbiamento.
  • ā€œGiacchino facette ā€˜a legge e Giacchino fuje accisoā€œ: riferito a chi viene punito con una sanzione o con una pena di cui lui stesso ĆØ stato il promotore o addirittura il fautore. Gioacchino Murat, Re di Napoli, che fu ucciso a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815 con lā€™applicazione della legge del 1808, emanata proprio da lui contro chiunque avesse attentato al legittimo potere costituito.
  • ā€œJĆ­ a ppuorto pe na rapestaā€: vuol dire letteralmente ā€œrecarsi al porto per comprare una rapaā€ simbolicamente allude allā€™impegnarsi in maniera smisurata ed impiegare immani energie per raggiungere uno scarso risultato.
  • ā€œJƬ truvanno a Cristo dintā€™ e lupineā€ (o anche ā€œdintā€™ a la pinaā€): Ā una frase che si riferisce a colui che cerca sempre il celebre ā€œpelo nellā€™uovoā€.
  • ā€œLā€™Asteco chiove e a finestra scorreā€: letteralmente ā€œil tetto perde acqua e entra acqua dalla finestraā€ si riferisce al verificarsi contemporaneo di piĆ¹ situazioni avverse .
  • ā€œmandare a carte 48ā€ qualcuno:Ā  di origine napoletana viene usato oggi in gran parte dā€™Italia ed ha vari significati: mandare al diavolo, mandare in rovina, sconvolgere, far perdere tempo ed, in unā€™accezione moderna, distruggere o uccidere. Una prima origine si puĆ² ricavare dal gioco della ā€œScopaā€. ā€œGli esperti delle carte conoscono una strategia che prende il nome di ā€œregola del 48ā€: si tratta, in poche parole, di ricordare le carte prese singolarmente dallā€™avversario a terra e di giocare tenendo in conto ogni singola mossa dellā€™altro. Un sistema complesso che richiede grande memoria e grande impegno. In questo caso ā€œmandare qualcuno a carte 48ā€ significa farlo invischiare in un qualcosa di complesso e noioso.
  • ā€œMannnaggia bubbaā€:Ā  nella tradizione napoletana la bestemmia non ĆØ contemplata. Era necessario che nel parlato, quindi, ci fosse un ā€œcapro espiatorioā€ che sostituisse le divinitĆ  da maledire e questo capro fu trovato in un certo BubbĆ : una figura, ormai mitica, che bazzicava i vicoli di Napoli di secoli fa. La tradizione popolare ritiene che BubbĆ  fosse un personaggio senza scrupoli, dedito a qualunque forma di truffa e azione socialmente poco accettata.
  • ā€œMannaggia ā€˜a marinaā€: lā€™espressione ā€œmannaggiaā€ ĆØ una contrazione del napoletano popolare della frase ā€œmale nnā€™aggiaā€, come dire: ā€œne ricavi male, ne abbia sventuraā€ ed ĆØ usualmente adoperata per introdurre unā€™imprecazione generica, che in questo caso ha a che fare con la marina. La locuzione nacque nel 1860, per bocca di Francesco II di Borbone, il quale imprecĆ² contro la marina del Regno, quando seppe dello sbarco di Garibaldi e dei Mille sulle coste siciliane.
  • ā€œMannaggia ā€˜o sangue della colonnaā€: una spiegazione popolare vuole che la colonna in questione sia quella alla quale gli antichi romani legavano i condannati alla fustigazione: quindi imprecando contro ā€œā€˜o sango dā€a culonnaā€ si impreca contro il sangue di GesĆ¹, colato sulla colonna della flagellazione durante la Passione. Unā€™altra versione il detto deriverebbe dalla colonna infame, situata nei secoli scorsi nei pressi di Castel Capuano e dove venivano ridicolizzate le persone che non riuscivano a pagare i debiti.
  • ā€œMantenĆ© ā€˜o carro pā€™ ā€˜a scesaā€: fa riferimento alla fatica alla quale bisognava sottoporsi per trainare un carro, su una strada irregolare e piena di dossi. Metaforicamente allude al fatto di non perdere la calma in caso di difficoltĆ  ed anche al saper affrontare queste difficoltĆ  senza lasciarsi sopraffare da esse.
  • ā€œO marcheseā€: lā€™origine di questa espressione ĆØ molto semplice: i marchesi erano soliti indossare delle palandrane di colore rosso vivo per distinguersi dal popolo e sottolineare il loro rango nobiliare. Cā€™ĆØ un rimando, dunque, al colore rosso. Oggi questo modo di dire ĆØ abbastanza inusuale, anche se ce ne sono tantissimi per riferirsi alle mestruazioni.
  • ā€œMe veco pigliate dā€e turcheā€: espressione utilizzata dagli abitanti di Torre del Greco per alludere ad un momento di estrema difficolta. La vocazione marinara del popolo torrese ĆØ molto antica ed era praticata giĆ  nel XVI secolo dalla maggior parte degli abitanti. Questi ultimi erano gli unici che navigavano anche in condizioni di pericolo estremo e, giĆ  a partire dalla metĆ  del 1500, quando la pesca del corallo si effettuava soprattutto sulle coste salernitane, essi restavano spesso vittime dei corsari barbareschi, pirati di nazionalitĆ  turca, che, nel 1558, con una flotta di 120 galee, con a capo il pasciĆ  MustafĆ , devastarono i paesi del golfo di Napoli, da Punta Campanella fino a Torre del Greco, catturando piĆ¹ di dodicimila abitanti.
  • ā€œNapoli e 36 casaliā€: si riferisce ad una persona che va sempre in giro.
  • ā€œā€˜A neve dintā€™ ā€˜a saccaā€: iperbole che letteralmente significa ā€œavere la neve in tascaā€ e si usa per designare una persona che ha molta fretta, non ben predisposta a fermarsi per scambiare quattro chiacchiere, come se dovesse raggiungere una meta, un luogo nel piĆ¹ breve tempo possibile, evitando, in questo modo, di far sciogliere il ghiaccio in tasca.
  • ā€œDicette Pulecenella: nu maccarone vale cchiĆ¹ ā€˜e ciente vermecielleā€: significa che, spesso, una persona capace, vale piĆ¹ di tante altre che, al contrario, non lo sono. La parola ā€œmaccaroniā€ nella tradizione partenopea odierna si estende a tutti i formati di pasta, precedentemente si riferiva principalmente agli spaghetti. I ā€œvermicielliā€, appunto, erano una tipologia di spaghetti piĆ¹ sottili, utilizzati da spezzati, per le preparazioni piĆ¹ semplici.Ā  Spesso detti e proverbi vengono preceduti da un ā€œdicetteā€ accompagnato da qualche nome o personaggio conosciuto e di rilievo nel folkrore partenopeo. Conferisce maggior enfasi allā€™affermazione con lā€™intento di ā€œrafforzareā€ il messaggio che si vuole esprimere.
  • ā€œNun faā€™ ā€˜o Zezaā€: uno degli innumerevoli modi di dire di cui i napoletani facevano e fanno, tuttora, uso per potersi prendere gioco, con disprezzo, di una determinata categoria di persone. Nel caso in cui si faccia riferimento ad un uomo, la locuzione esorta questā€™ultimo a smetterla di comportarsi in maniera falsa e scorretta. Per quel che riguarda invece le donne il termine ā€œZezaā€ costituisce il ā€œcorrispettivoā€ italiano di ā€œocaā€ e fa pertanto riferimento ad una persona piuttosto frivola. Il termine ĆØ tratto dalla tradizione delle maschere napoletane, ā€œZezaā€ ĆØ, infatti, la moglie di Pulcinella.
  • ā€œnun mettere ā€˜o ppepe nculo ā€˜a zoccolaā€œ: si usa per non alimentare dissapori, come si potrebbe dire ā€œ non mettere carne a cuocereā€
  • ā€œNun sfruculiaā€™ ā€˜a mazzarella ā€˜e San Giuseppeā€: Il detto esorta a non mettere troppo alla prova la pazienza altrui, esercitando, incessantemente, una condotta scorretta nei confronti delle persone, poichĆ©, prima o poi anche il piĆ¹ gentile arriverebbe a stancarsi e a reagire. Da qui il parallelismo con ā€œSan Giuseppeā€ da sempre ricordato come un signore anziano di una bontĆ  estrema e squisita. Si potrebbe dire, in soldoni, possa trattarsi del corrispettivo italiano del detto ā€œNon tirare troppo la corda che prima o poi si spezzaā€.
  • ā€œParaustielliā€: tale termine, ormai poco diffuso, delinea la figura di un individuo ipocrita, dedito a raccontare un mucchio di bugie per poter giustificare la propria condotta becera e tirare lā€™acqua al suo mulino, per cosƬ dire, arrampicandosi sugli specchi.
  • ā€œO cchiĆ¹ bunariello tene ā€˜a guallera e pure ā€˜o scartielloā€: serve a rappresentare un gruppo di persone, particolarmente inette e inadeguate, di cui certamente non spicca lā€™intelligenza o un qualche tipo di abilitĆ .
  • ā€œMuccaturoā€: letteralmente significa ā€œfazzolettoā€, il termine si origina dalla derivazione del verbo ā€œmuccareā€, ovvero, soffiarsi il naso. Da moccaturo deriva il lemma ā€œmoccosoā€ letteralmente ā€œbambinoā€. I bambini, infatti, mentre piangono, tirano su con il naso. Il termina si riferisce anche ad una persona particolarmente immatura e con atteggiamenti infantili.
  • ā€œā€˜O pata pata ā€˜e llā€™acqua!!!ā€: Una forma onomatopeica che suggerisce lā€™arrivo imminente di un acquazzone. Lā€™origine etimologica si fa risalire al termine greco antico ā€œparapattoā€œ, ovvero spargere tuttā€™intorno, ma alcuni pensano derivi dal suono onomatopeico della pioggia battente ā€œpat patā€.
  • ā€œOgne gghiuorno ĆØ taluornoā€: i riferimenti del detto sono molteplici, in generale, suggerisce la reiterazione continuata e costante di una situazione, di una circostanza o di un avvenimento. Le tasse, per cominciare, possono essere definite ā€œtaluornoā€, poichĆ© bisogna sempre pagarle e non si smette mai di farlo. Oppure puĆ² accompagnarsi ad un individuo che agisce sempre alla stessa fastidiosa maniera che, per esempio, continua imperterrito a parlare di un argomento poco gradito.
  • ā€œO trenta ā€˜e maggio ā€˜a vecchia mettette ā€˜o trapanaturo Ć“ ffuocoā€: letteralmente significa ā€œLa vecchia, il trenta maggio, mise lā€™aspo sul fuocoā€, in cui ā€œlā€™aspoā€ ĆØ lā€™arnese di legno, a forma di scheletro di ombrello, adoperato da chi tesse a maglia, per arrotolare il filo e ridurlo in matasse, per poi riporlo. Mantenendo al centro il bastoncello di legno, con due mani si compie il tipico movimento di chi arrotola, tra mano e gomito, il filo, di chi ā€œannaspaā€. In sostanza, quindi, parla di unā€™anziana che ha dovuto ardere lā€™aspo per far calore, il trenta maggio, a causa di un brusco calo delle temperature. Parla di un affaticamento inutile, un impiego e spreco di forza che si sarebbe potuto risparmiare. Trasposto allā€™eccessiva fretta che abbiamo, nel momento in cui siamo a fine maggio e coi primi caldi, cerchiamo di mettere da parte gli indumenti pesanti, senza prendere in considerazione i possibili cambi di temperatura.
  • ā€œPare ā€˜a fraveca ā€˜e San Pietroā€: letteralmente il detto significa ā€œsembrano i lavori di ristrutturazione della basilica di San Pietroā€. CiĆ² allude al fatto che a Napoli, spesso, i tempi per i lavori di ristrutturazione edilizia monumentale o per la costruzione di opere pubbliche, come ad esempio la metropolitana, sono molto lunghi.
  • ā€œPare ā€˜a sporta dā€o tarallaroā€: letteralmente significa ā€œsembri la cesta del tarallaroā€ che si usa per definire la figura di una persona sempre in movimento, come faceva appunto, tempo fa, il venditore di taralli, distribuendo nelle sua cesta di vimini intrecciati i famosi taralli ā€œnzogna e pepeā€.
  • ā€œParlare giargianeseā€: allude ad un modo di parlare totalmente incomprensibile. ā€œGiargianeseā€ ha una connotazione dispregiativa e significa ā€œstranieroā€ o ā€œimbroglioneā€ e veniva utilizzato in riferimento ai commercianti lucani o musicisti ambulanti.
  • ā€œParlare toscoā€: lā€™espressione napoletana, ormai caduta in disuso, ha un significato ambivalente. In primo luogo allude ad un modo di parlare eccessivamente ridondante e forbito, tanto da risultare incompreso e oscuro da parte di chi ascolta. Il termine ā€œtoscoā€ non deriva, come si puĆ² pensare, da toscano, bensƬ deriva da ā€œtoskeā€, parola albanese che indicava il difficile linguaggio di una popolazione dellā€™Albania di religione musulmana. Nel secondo caso il termine fa riferimento ad una persona che richiede un esagerato compenso per le sue prestazioni lavorative, con lā€™intento di truffare. Un personaggio che puĆ² essere quasi considerato come un vero e proprio ladro, con cui si sconsiglia intraprendere rapporti, specialmente dal punto di vista economico.
  • ā€œPisciĆ  acqua santa pā€o velliculoā€œ: letteralmente ā€œurinare acqua santa dallā€™ombelicoā€ ĆØ un detto che mira a prendersi gioco dellā€™ipocrisia di quelle persone che millantano la loro bontĆ  dā€™animo, la loro sensibilitĆ  e accortezza per il prossimo, sottintendendo, perciĆ², il loro essere superiori e migliori rispetto agli altri, quando, nel concreto, cosƬ non ĆØ.
  • ā€œPortare scarognaā€: la parola ā€œscarognaā€ deriva da ā€œscalognoā€ , un tipo di verdura molto povero e accessibile persino alle classi meno abbienti, perciĆ² indicatore e metafora di miseria. Lā€™esclamazione, riferita ad un dato interlocutore che ha espresso un concetto che potrebbe tirare a sĆ© ā€œIellaā€, significa, infatti, ā€œnon portare sfortunaā€.

scalogno

  • ā€œPuozzā€™ avĆ© mezā€™ora ā€˜e petriata dinto a nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie ā€˜nchiuse e miedece guallaruse !ā€œ : una vera e propria maledizione che si rivolge ad un nemico, un rivale, una persona particolarmente odiata. Significa letteralmente ā€œPossa tu essere sottoposto a una mezzā€™ora di lapidazione in un vicolo stretto e cieco, che non offre possibilitĆ  di fuga, con farmacie chiuse e medici erniosi, lenti nel soccorso ā€œ.
  • ā€œPuozze sculĆ ā€ e ā€œpuozze schiattĆ ā€: una maledizione particolarmente colorita che suggerisce uno scenario piuttosto tetro, in cui si augura qualcosa che risulta essere ancora piĆ¹ terribile e peggiore della morte stessa. ā€œSculĆ ā€ significa ā€œscolareā€, lā€™intera espressione significa, parafrasando ā€œpossa tu essere collocato, da cadavere in apposito sedile forato in basso in modo da far colare i tuoi fluidi corporei, lasciando le tue spoglie progressivamente essiccarsi e trasformarsi in una mummia ā€œ.
  • ā€œPure ā€˜e pullece tenene ā€˜a tosseā€: questo detto risulta essere molto piĆ¹ diplomatico e leggero rispetto alle imprecazioni osservate pocā€™anzi. Letteralmente significa ā€œanche le pulci si sentono tossireā€. Spesso riferito a bambini che, non potendo neanche capire di cosa si stia effettivamente parlando, vista la loro poca esperienza nei confronti della vita, si permettono di mettere bocca su situazioni di cui non conoscono neanche il significato reale. Il detto puĆ² essere anche trasposto (in tal caso, assumendo una connotazione piĆ¹ grave) ad individui ritenuti ā€œpiccoliā€ e di poco conto, la cui opinione, quanto meno nellā€™ambito dellā€™argomento di cui si sta discutendo, non vale nulla, poichĆ© manchevole di una preparazione o delle competenze adatte per poterla esprimere.
  • ā€œQuanno ā€˜a gallina scacatea, ĆØ signo ca ha fatto llā€™uovoā€: di solito fa rifermento alle scuse di una persona totalmente consapevole di aver agito male, la quale cerca di redimersi per l ā€™ aver compiuto atti riprovevoli, smascherandosi da sola. Questa frase ĆØ utilizzata quando si concretizza una situazione spiacevole come conseguenza dellā€™atto commesso proprio da colui che ĆØ il primo a segnalarla. Lā€™individuo in questione attira lā€™attenzione su di se esattamente come fa la gallina, che fa versi, quando depone le uova.
  • ā€œQuanno chiove e jesce ā€˜o sole, tutte ā€˜e vecchie fanne ā€˜a ā€˜mmore, fanne ā€˜a ā€˜mmore dintā€™ ā€˜o tiano, tutte ā€˜e vecchie ruffiane ā€œ: si tratta di una filastrocca piĆ¹ che di un vero e proprio ā€œmodo di direā€. La filastrocca ĆØ una delle tante ā€œvillanelleā€: canzoni profane che hanno come protagonista la stereotipo dellā€™anziana napoletana vista come ruffiana e maligna. Le vecchie cui fanno riferimento sono, il piĆ¹ delle volte, fattucchiere o streghe, le quali solevano ingannare gli innamorati tramite filtri e pozioni magiche. La traduzione letterale ĆØ ā€œQuando piove ed esce il sole, tutte le vecchie fanno lā€™amore, fanno lā€™amore nel tiano, tutte le vecchie ruffiane ā€œ. Il ā€œtianoā€ cui fa riferimento la canzone popolare, non era altro che un calderone, con uno piĆ¹ manici in ferro o in coccio, di cui le anziane usufruivano per poter preparare i loro intrugli. In particolar modo li preparavano quando ā€œpioveva col soleā€, considerato un avvenimento molto raro. Si era poi diffuso nel tempo un detto piĆ¹ bigotto e meno scabroso: ā€œPiove col sole, la Madonna coglie un fiore, lo raccoglie per GesĆ¹ e domani non piove piĆ¹ ā€œ.
  • ā€œScarte frĆŗscio e piglie primera!ā€: In questa frase vengono usati dei termini tecnici che trattano di un gioco con le carte che si svolgeva probabilmente oltre 50 anni fa nelle piĆ¹ comuni taverne. Il punteggio piĆ¹ alto era il Fruscio, cioĆØ quattro carte dello stesso seme; poi seguiva la Primiera, la comune scopa e si valutava con lo stesso criterio. Da qui si riesce a comprendere che il detto, sostanzialmente significa, accettare una situazione per comā€™ĆØ, perchĆ© anche cambiando, il risultato finale sarebbe sempre lo stesso.
  • ā€œA sciorta dā€™ ā€˜o piecuro, nasce curnuto e more scannatoā€ si riferisce alla sorte ā€œsciortaā€ particolarmente avversa e malevola nei confronti di un determinato individuo e quindi, pertanto, ad un uomo particolarmente sfortunato, che vede il susseguirsi impellente di avvenimenti spiacevoli, lā€™uno dietro lā€™altro. Il significato dellā€™allegoria con la ā€œpecoraā€ ĆØ da ricercare nel fatto che, questo animale, non solo nasce ā€œcornutoā€ (questo aggettivo trasposto agli uomini allude ad una persona che ĆØ stata tradita dal proprio partner) ma muore anche ā€œscannatoā€ ovvero fatto a pezzi. Insomma anche la sua sorte non ĆØ delle migliori.
  • ā€œquattro aprilante giorni quarantaā€œ, oppure, ā€œquattro brillanti giorni quarantaā€œ: in entrambi i casi significa che sarebbero previsti ben 40 giorni di pioggia se dovesse piovere il 4 aprile. I primi quattro giorni del mese di Aprile erano chiamati ā€œquattro brillantiā€ e annunciavano unā€™ottima annata proprio se erano piovosi.
  • ā€œSe soā€™ rotte ā€˜e giarretelleā€: questa particolare espressione sancisce la fine di un legame affettivo, amicizia o amore che sia. ā€œGiarretellaā€ deriva da ā€œGiarraā€ un contenitore o brocca, di vetro o terracotta, che veniva impiegato per conservare il vino e che risulta essere, in tal caso, metafora della relazione che si ĆØ sfasciata, del rapporto che si ĆØ sgretolato, di cui ormai restano solo tanti piccoli pezzettini sparsi qua e lĆ . Esattamente come accadrebbe alla Giarra, nel caso in cui dovesse cadere e rompersi, facendo cosƬ perdere, per sempre, il suo contenuto.
  • ā€œSe fruscia Pintauro dā€e sfugliatelle jute acitoā€: il detto allude ad una persona che si vanta con veemenza delle sue fantomatiche azioni, che perĆ², nel concreto, si rivelano essere fallaci. Come Pintauro che si vantava delle sue sfogliatelle (una tipologia di dolce partenopeo, particolarmente amato per la sua fragranza ed il suo ripieno alla ricotta) ā€œjute acitoā€, ovvero, andate a male e divenute stantie con la ricotta diventata acida.
  • ā€œSichinenza o zighinettoā€: ā€œsichinenzaā€ un’altra parola tipica del linguaggio dā€™uso comune nel napoletano. Il termine descrive qualcosa di estremamente povero o mal ridotto. Una sorta di ā€œsinonimoā€, dalla pronuncia piĆ¹ semplice ed immediata rispetto a ā€œsichinenzaā€, ĆØ ā€œzighinettoā€ che perĆ² fa uno specifico riferimento alla roba ā€œfalsaā€ come si usa dire, sempre a Napoli e provincia, ā€œpezzottaā€.
  • ā€œSi ā€˜o culo parla ā€˜o miedeco nun traseā€: tale proverbio si utilizza per sottintendere uno stato di salute sano. Infatti, spesso, quando soffriamo di problemi intestinali, tendiamo a non recarci dal medico, perchĆ© siamo certi non si tratti di una qualche forma grave di disagio fisico per cui allarmarsi, bensƬ solo aria nella pancia che genera flatulenze. Il corrispettivo italiano ĆØ facilmente associabile alla celebre frase ā€œuna mela al giorno toglie il medico di tornoā€ sebbene, in questo caso, le mele non siano proprio nominate, ĆØ automatico scorgerne unā€™attinenza.
  • ā€œPeretaā€: ĆØ un appellativo che delinea una figura femminile appariscente, volgare e chiassosa che cerca di farsi notare. Probabilmente riesce anche nel suo intento, ma non nel modo e nellā€™accezione cui auspicava. Il termine ā€œperetaā€ allude, infatti, alle flatulenze e al rumore che fanno rumore nel momento in cui vengono rilasciate, attirando lā€™attenzione. Risulta perciĆ² chiaro il senso ed il motivo dellā€™allegoria.
  • ā€œSi nu cuoppo allesseā€: espressione utilizzata dal celebre totĆ² che definisce un individuo smidollato al cospetto della donna amata. Il ā€œcuoppoā€ ĆØ un involucro di carta ripiegato in forma conica, utilizzato per contenere svariate pietanze, mentre, ā€œallesseā€ fa probabilmente riferimento alle castagne che, appena bollite, si sono ammorbidite. La traduzione letterale dovrebbe perciĆ² essere, in sostanza, ā€œsei un cuoppo che contiene castagne bollite/lesseā€.

  • ā€œSie nu mamozioā€: espressione volta a sbeffeggiare una persona particolarmente stolta. Il termine deriva da una statua senza testa che rappresentava e doveva essere appartenuta al console romano Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano Mavorzio, rinvenuta durante la ricostruzione della chiesta di San Giuseppe.Alla scultura venne integrata una nuova testa che perĆ² risultĆ² essere sproporzionata e molto piĆ¹ piccola del corpo. Il risultato disarmonico che conferiva a Lolliano Mavorzio unā€™aria poco credibile e molto comica. Il nome del console venne cosƬ ā€œstorpiatoā€ e venne chiamato ā€œMamozioā€.
  • ā€œSarchiaponeā€: termine che definisce i tratti di una persona credulona, goffa, inetta e facilmente manipolabile.
  • ā€œO spassatiempo e ā€˜e ciocioleā€: ā€œo spassatiempoā€ ĆØ il classico cesto da mettere al centro del tavolo dove sono raccolte ā€œā€˜e ciocioleā€, ovvero la frutta secca, durante i pranzi ed i cenoni, in particolar modo nel periodo natalizio. Una tavola imbandita non puĆ² mancare di questa cesta che risulta essere una vera e propria tradizione.
  • ā€œā€˜A tavola dā€o cucchiere, nu pirito, nu rutto e nu chitemmuortoā€: ā€œLa tavola del cocchiere: una scoreggia, un rutto e una bestemmiaā€ questa la traduzione letterale di questo famoso detto napoletano. La frase allude a quel particolare momento in cui i commensali durante quei banchetti tipici delle festivitĆ , inebriati dal vino e dai fumi dellā€™alcool, cominciano a lasciarsi andare mettendo da parte il galateo e la buona educazione.
  • ā€œTe manno ĆŖ Pelleriniā€: espressione intrisa di rabbia, come potrĆ  facilmente recepire il malcapitato di turno cui verrĆ  indirizzata. Il ā€œpellegriniā€ infatti ĆØ un ospedale, le intenzioni di chi pronuncia questa frase risultano, perciĆ², ben chiare, quella di percuotere ferocemente lā€™interlocutore tanto da mandarlo al pronto soccorso.
  • ā€œTene ā€˜e rrecchie ā€˜e pulicanoā€: la frase non si riferisce allā€™uccello pellicano, infatti sebbene questo tipo di uccello abbia una vista molto sviluppata, al contrario dellā€™udito, ā€œpelicanoā€ deriva dal termine latino ā€œpublicanumā€ (pubblicano). Costoro erano temuti esattori delle tasse al tempo dellā€™Impero Romano e avevano come unico scopo quello di scoprire beni e ricchezze sottratte al demanio pubblico e pignorarle, per farlo, spesso si abbassavano ad origliare conversazioni private. Il termine, quindi, descrive quella particolare tipologia di individui dediti a ficcare il naso e ad impicciarsi della vita altrui.
  • ā€œTenere la candelaā€: questo detto, utilizzato non solo a Napoli, bensƬ molto diffuso in tutta lā€™Italia si riferisce ad una particolare contingenza nella quale si risulta essere il fastidioso ā€œterzo incomodoā€ tra una coppia di innamorati, il quale sarebbe costretto ad osservare, in solitudine, le effusioni e le smancerie di questā€™ultima.
  • ā€œTrica ca vene pesante!ā€: il detto di matrice partenopea allude allā€™importanza di avere la dote della pazienza, saper aspettare ĆØ necessario se ne vale la pena e se ā€œil gioco vale la candelaā€. Non importa quanto si aspetta purchĆ© vada bene, purchĆ© ci si guadagni. ā€œTricaā€ deriva dai vocaboli di origine latina
  • Ā ā€œtricarumā€ e ā€œtriculumā€ che si traducono in ā€œ impedimentoā€ oppure ā€œostacoloā€. Letteralmente significa letteralmente ā€œaspetta che ne arriva una migliore ā€œ.
  • ā€œLā€™uocchie sicche soā€™ peggio dā€e scuppettateā€: questa espressione viene impiegata quando capita una giornata particolarmente spiacevole, talmente tanto sfortunata dal portarci a considerare lā€™eventualitĆ  che qualcuno possa averci messo ā€œgli occhi addossoā€. Gli ā€œuocchie siccheā€ sarebbero il malocchio, posseduto da colui che guardando negli occhi dellā€™altro esercita un influsso malefico al fine di danneggiarlo. La traduzione letterale ĆØ infatti ā€œil malocchio ĆØ peggio dei colpi di fucileā€, alludendo al fatto che la negativitĆ  maligna e lā€™invidia della gente, spesso, possa fare danni piĆ¹ significativi dei proiettili di un fucile.
  • ā€œLā€™urdemo lampione ā€˜e Forerottaā€: ĆØ uno dei modi di dire, ad oggi poco conosciuto, che si usava per parlare di una persona che non aveva voce in capitolo. Si faceva riferimento allā€™ultimo lampione che vi era a Fuorigrotta allā€™epoca della pubblica illuminazione a gas, denominato 6666, numero che per la Smorfia napoletana significa quattro volte scemo.
  • ā€œUosemoā€: deriva dalla parola ā€œosmĆ²sā€, che significa ā€œodoreā€, o, piĆ¹ precisamente, dal verbo ā€œosmaoā€ che significa ā€œodorareā€ in greco. Lā€™espressione ā€œEā€™ gghiutā€™ ā€˜a uosemoā€ allude ad una persona che si ĆØ lasciata guidare dallā€™istinto.
  • ā€œVaā€™ a vasĆ  ā€˜o pesce ā€˜e San RafĆØleā€: si riferisce alle ragazze con lā€™intento di un buon augurio, nonostante sia cristallino il riferimento a sfondo sessuale. La chiesa di Materdei ĆØ testimone da secoli di un rito popolare non molto conosciuto e legato alla storia di Tobia e San Raffaele. Nel libro di Tobia si racconta dellā€™avventura di questā€™uomo che dĆ  il nome al libro, in cui durante la sua sosta presso il fiume Tigri, viene assalito da un pesce. Qui lā€™arcangelo Raffaele, che lo accompagnava durante il viaggio, sprona Tobia a non scappare e a afferrare il pesce per la testa. CosƬ il giovane riesce a sconfiggere lā€™animale e sempre su consiglio dellā€™angelo, estrae dal pesce il fiele, il cuore e il fegato. Giunto ad Ecbatana, sposa Sara, la sua amata.Ā  Era usanza tipica, per quelle persone sterili o in etĆ  da marito, quella di baciare ā€œil pesceā€ di un santo contenuto in una cesta. Sempre evidente ĆØ la coesistenza di elementi ā€œsacri e profaniā€ .
  • ā€œVa truvanno sceā€™ sceā€™ā€: utilizzato per delineare il ritratto di una persona poco affidabile, che cerca sempre scuse poco credibili volte a giustificarsi. Oppure una persona sempre in cerca del pelo nellā€™uovo per poter alimentare dissapori, in soldoni, una persona in cerca ā€œdi rogneā€. ā€œscĆØ scĆØā€ deriva dal francese ā€œchercherā€, che significa cercare.
  • ā€œVoce ā€˜e popolo, voce eā€™ Dioā€: un proverbio molto antico che definisce la supremazia popolare: se il volgo stabilisce che un pettegolezzo divenuto di dominio pubblico corrisponde a veritĆ , allora, effettivamente lo ĆØ. Si utilizza per indicare, pertanto, qualcosa su cui si ĆØ certamente sicuri di cui non si ha il minimo dubbio a riguardo.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio