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La riforma Cartabia, le indicazioni europee sulla prescrizione e sulla durata dei processi

Il Group d'Etats contre la corruption (Greco) ha ammonito l'Italia nel corso degli anni, a causa dell'istituto della prescrizione, capace di estinguere i procedimenti con la resa dello Stato

Nelle ultime settimane cresce costante il pressing per una nuova riforma della giustizia, ossia la riforma Cartabia, dal nome del ministro competente. Siamo proprio sicuri che l’istituto la reintroduzione della prescrizione, o dell’improcedibilità, sia gradita all’Europa e risolva i nostri problemi? Se da un lato il diritto all’equo processo, così come espresso dall’articolo 6 Cedu, impone di rivedere i termini e le modalità di svolgimento dei nostri procedimenti, farraginosi e decisamente lenti, dall’altro lo Stato non può permettere l’incremento di occasioni in cui i criminali potrebbero farla franca. “La nuova prescrizione” o “improcedibilità” potrebbe condurre proprio a questo: situazioni in cui non sarà possibile perseguire gli autori dei reati.

Le indicazioni europee e l’istituto della prescrizione secondo il Greco

Già nel 2005 la Legge ex Cirielli fece storcere il naso all’Europa. Nello specifico, nonostante i buoni propositi e le false aspettative, la citata norma aumentò e diminuì i termini della prescrizione, a seconda delle tipologie di illeciti, in base alla pena.  In occasione del “Rapporto sull’Italia adottato dal Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco)“, predisposto a Strasburgo nel 2009, già era stata sottolineata la necessità di intervento, per migliorare l’efficienza della giustizia italiana.  Specificamente per i reati di corruzione, infatti, il Greco- Gruppo di Stati contro la corruzione rimarcò, con grave preoccupazione, che una significativa parte dei procedimenti non veniva portata a termine, proprio a causa della scadenza dei termini indicati sulla prescrizione.

“Ciò rappresenta un grave punto debole che chiaramente mina l’efficacia e l’attendibilità del diritto penale quale strumento indispensabile nella lotta alla corruzione. Inoltre, le sanzioni perdono gran parte del loro carattere dissuasivo quando la giustizia viene così gravemente rallentata che la persona accusata ha ottime possibilità di evitarle del tutto in conseguenza dello scadere dei termini di prescrizione. Le misure che dipendono dalla condanna, come la confisca, diventano in buona misura teoriche se un numero ragguardevole di casi non raggiunge mai la fase di pronuncia della condanna. Misure innovative ed utili come il sequestro preventivo sono compromesse se devono essere revocate a causa della chiusura del procedimento alla scadenza del termine di prescrizione“, secondo il Group d’Etats contre la corruption (Greco).


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Dalle indicazioni del Greco alla L. Spazzacorrotti: la prescrizione

La credibilità dell’Italia, così come constatato da impulsi sovranazionali, si è lentamente sgretolata, soprattutto agli occhi dei cittadini, increduli dinanzi ad una lacuna del sistema penale così accentuata. Anzi, l’istituto della prescrizione ha contribuito ad alimentare il malcontento dei cittadini, a causa del ragguardevole numero di procedimenti terminati senza alcuna condanna. Finalmente, il governo gialloverde (M5S-Lega), sull’onda di un comune sentimento, battezzato su più fronti “giustizialista”, con la criticata Legge Spazzacorrotti, aveva provato a risolvere la problematica in esame. Precisamente, la nuova norma permetteva la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

Gli studi europei ed internazionali, infatti, avevano constatato, quale vulnus tipicamente italiano, il ricorso ad alcune “tecniche particolari”, per far arenare il procedimento, fino alla prescrizione. La Legge Spazzacorrotti, tra le sue novità, intendeva sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, lasciando dubbi sulla possibile realizzazione, considerando che questa novità avrebbe sicuramente inciso sulla durata dei procedimenti.

La riforma Cartabia e la prescrizione

L’Europa, come già anticipato, non ha mai “consigliato” le modalità di snellimento dei nostri procedimenti, ma, allo stesso tempo, ha sempre visto nella prescrizione una causa di “denegata giustizia”, ovvero una resa da parte dello Stato, incapace di reagire dinanzi a determinati reati. Inoltre, ciò, perpetrato nel tempo, assottiglia la fiducia dei cittadini ed induce un profondo squilibrio sociale, come denunciato, in primis, da Giuseppe Conte e da Piercamillo Davigo. In realtà, un ritocco alla durata dei nostri procedimenti era è stato imposto dall’Europa, per poter accedere ai fondi del Recovery e per potersi uniformare alle disposizioni di cui sopra.

Ma, in tal proposito, la riforma Cartabia non sembra risolvere il problema. Anzi, questa spinge per mantenere l’istituto della prescrizione soltanto per il primo grado di giudizio. Successivamente, invece, dovrebbe essere prevista una durata massima, oltre la quale, tranne una breve proroga dei termini per i procedimenti maggiormente complessi, scatterà l’improcedibilità, ovvero l’impossibilità di definire il procedimento, accantonando la via intrapresa dalla Legge Spazzacorrotti, di “tolleranza zero”.  In sostanza, decorsi i termini utili per ogni grado di giudizio, non sarà possibile perseguire determinati comportamenti e reati, ritornando all’atavica problematica, ma “risolvendo” in tempi brevi.

Certo, all’apparenza, i lunghi procedimenti potrebbero sicuramente definirsi in tempi più brevi, ma a quale prezzo?  L’Italia può consentire una riforma che agevoli il ricorso a tecniche dilatorie e che presti il fianco ai criminali maggiormente facoltosi, capaci di ingaggiare staff ed equipe di esperti capaci di far terminare i procedimenti su binari morti?

 

 

 

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