Cronaca

Il Comune di Sori nega la cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre

La motivazione "ufficiale" è legata alla mancanza di legami con il paese

Cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre negata dal Comune di Sori, in Liguria: la motivazione “ufficiale” è legata alla mancanza di legami storici, o familiari, con il paese. Il Centrodestra, invece, ha votato contro con l’intento di “non voler discriminare tutti gli altri ebrei deportati nei lager“.

Cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre negata dal Comune di Sori

Sono molti i Comuni che in Italia hanno conferito, ad oggi, la cittadinanza onoraria alla senatrice Segre, tra questi anche Genova, nel novembre del 2019. Molti altri, invece, hanno scelto di non concedere questo riconoscimento alla senatrice, una delle persone ancora in vita sopravvissute alla Shoah, la cui testimonianza è un valore e un esempio per tutti coloro che hanno la possibilità di condividerla con lei. Ma Sori non è il primo Comune a negare questo riconoscimento a Liliana Segre.

Gli altri Comuni che hanno negato la cittadinanza onoraria

Quello di Sori è solo l’ennesimo episodio relativo al mancato conferimento della cittadinanza onoraria, per la senatrice Segre: nel 2020 fu la volta dei Comuni di Ciampino, nel Lazio, e Adro, in provincia di Brescia. Nel 2019, invece, fu la volta di Gorizia mentre, nel 2019, ci fu il caso più clamoroso, quello di Biella, che aveva negato il riconoscimento a Liliana Segre proponendolo, pochi giorni dopo, ad Ezio Greggio, che rifiutò proprio a causa dell’offesa nei confronti della senatrice.

Chi è Liliana Segre

Liliana Segre dal 15 aprile 2021 è presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Il 19 gennaio 2018 è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali fasciste del 1938, venne espulsa dalla scuola che frequentava. Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di tredici anni.

Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Venne subito separata dal padre, che non rivide mai più e che poi morì il 27 aprile 1944. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo, in provincia di Como; dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi nelle camere a gas il giorno dell’arrivo, il 30 giugno 1944.

Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni, in una delle quali perse un’amica che aveva incontrato nel campo. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.

Venne liberata il 1º maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück che fu liberato dall’Armata rossa. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti. Al rientro nell’Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia.

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