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No, i vaccini anti Covid non generano le varianti | Tutto quello che c’è da sapere

I vaccini anti Covid generano le varianti? Vediamo insieme tutto quello che c'è da sapere

I vaccini anti Covid generano le varianti? Da quando è partita la campagna vaccinale si è diffusa la credenza che i nuovi ceppi di Coronavirus siano nati proprio a causa dei sieri.  Si tratta di una domanda molto complessa da rispondere. Vediamo insieme tutto quello che c’è da sapere.

I vaccini anti Covid generano le varianti? Tutto quello che c’è da sapere

Ma davvero è colpa dei vaccini se nascono le varianti? La domanda è senza dubbio complessa, con una risposta che non può limitarsi ad un secco ”no”. Negli ultimi mesi si è diffusa l’opinione (sbagliata) che siano state le campagne vaccinali stesse a indurre il virus a trovare nuovi modi per sfuggire all’azione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Eppure, per ”scagionare” i sieri anti-covid in circolazione basta osservare le tempistiche con cui sono comparsi i nuovi ceppi di coronavirus.

La variante Alfa, quella che all’inizio chiamavamo ‘inglese’, è comparsa in Inghilterra nel settembre del 2020, diversi mesi prima che venissero approvati i vaccini e che iniziassero le somministrazioni a tappeto. Stesso discorso per le varianti beta e gamma, comparse in Sud Africa ed in Brasile a fine 2020, mentre il ceppo delta è comparso per la prima volta nell’ottobre del 2020 nello stato del Maharashtra, in India, per poi prendere il sopravvento nella primavera del 2021, quando ancora la percentuale di persone vaccinate era irrisoria. Le campagne vaccinali hanno avuto inizio a cavallo tra il 2020 e il 2021, motivo per cui la semplice sequenza temporale degli eventi potrebbe bastare per togliere ogni dubbio. Ma non è così. Infatti, il discorso è più complicato, e merita di approfondire alcuni punti chiave.

Come nascono le varianti?

Se è vero che le varianti attualmente in circolazione non hanno nulla a che vedere con i vaccini, non è da escludere che in futuro possa comparire un nuovo ceppo più resistente. Un’eventualità che esiste, ma che va contestualizzata e compresa, partendo dalla modalità con cui il virus si replica e muta. Una spiegazione arrivata tramite Twitter dal virologo Roberto Burioni: ”A un certo punto il virus arriverà alla massima contagiosità, infetterà la maggior parte degli abitanti della Terra e poi darà periodiche ondate epidemiche infettando i nuovi nati, non immuni, quando avranno raggiunto un numero tale da sostenere una trasmissione virale intensa. Questo è accaduto per il morbillo, per la rosolia, per l’epatite A e per tanti altri virus: li abbiamo già trovati belli ed evoluti secoli (o millenni) dopo il loro passaggio all’uomo”.

Il coronavirus ha fatto esattamente la stessa cosa – ha sottolineato Burioni – nel marzo 2020 è comparsa una prima variante che ha preso velocemente il sopravvento, poi è arrivata la variante alfa (inglese) che si trasmetteva di più ed è diventata quella dominante, ora c’è la delta che è ancora più contagiosa di quella alfa e sta velocemente prendendo il suo posto. Come conseguenza, il virus attuale è molto diverso da quello che circolava l’anno scorso: il virus è immensamente più contagioso”.

Come avviene la mutazione

Ma come avviene la mutazione? Quando un virus entra in una cellula, inizia ad usarne gli apparati per produrre una quantità enorme di copie, duplicati che, in alcuni casi, presentano degli errori. Se pensiamo alla sequenza genetica come un testo che viene trascritto, ci potranno essere variazioni minime ed ininfluenti, ma su larga scala, può capitare che da questi errori nasca una variante addirittura migliore.

È proprio il caso della variante delta che, generando una carica virale maggiore, è molto più contagiosa delle versioni precedenti e permette al virus di diffondersi e replicarsi più facilmente. Perché lo fa? Semplice. Il virus, come ogni altra forma di vita, punta alla sopravvivenza della sua specie e, come in ogni altro fenomeno evolutivo, la mutazione spesso viene stimolata dall’ambiente esterno. In questo modo a prendere il sopravvento sarà sempre la variante che meglio si adatta alle circostanze specifiche, ossia quella in grado di sopravvivere ai cambiamenti e alla comparsa di nuovi ”nemici”, come i vaccini per i virus.

Proprio questo meccanismo, come spiegato anche da Burioni, potrebbe portare (il condizionale è d’obbligo) il virus a mutare in una variante resistente al vaccino: ” A questo punto la variante conveniente per il virus non è più solo quella che si diffonde di più, ma anche quella che riesce a infettare i già vaccinati. Una simile variante, in assenza di vaccino, non avrebbe alcun vantaggio e non emergerebbe mai. Ma in presenza di vaccinati potrebbe emergere. Quindi, in un certo senso, è la vaccinazione a tappeto a creare le condizioni nelle quali un virus resistente potrebbe emergere.

Però -avverte Burioni- non fate l’errore di considerare questo un effetto negativo dei vaccini: senza vaccini la variante non potrebbe emergere semplicemente perché troverebbe la strada libera verso il contagiare tutto il mondo. Il vaccino è un ostacolo che il virus prova a superare con una variante. Ci riuscirà? Questo non possiamo saperlo”.

Nessuna variante resiste al vaccino (per ora)

Il fatto che al momento non esista una variante in grado di resistere ai vaccini anti-Covid è stato sottolineato anche da Mike Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), e dagli esperti della Food and Drug Administration e di altri istituti: ”Dato che varianti capaci di eludere la risposta immunitaria sono emerse ben prima che i vaccini fossero distribuiti su larga scala, è difficile prendere in considerazione l’ipotesi che i vaccini stessi o le strategie per distribuirli siano stati fattori importanti nel determinare questa capacità di evasione. Tuttavia, una replicazione virale prolungata in presenza di una immunità parziale potrebbe aver contribuito allo sviluppo di varianti che possono almeno in parte sfuggire alla risposta immunitaria umana” precisa, sottolineando che ciò si potrebbe essere verificato per esempio in pazienti immunocompromessi”.

Al contrario, secondo gli esperti, è più probabile che nuove varianti ”nascano” a causa di altre cure: ”L’uso di trattamenti a base di anticorpi, per esempio anticorpi monoclonali o plasma di convalescenti, in circostanze in cui sono di limitata o non dimostrata efficacia, può contribuire ulteriormente alla evoluzione di varianti preoccupanti (VOC, variants of concern) che potrebbero superare non solo la protezione conferita da queste, ma anche da altre risposte anticorpali. Gli interventi con efficacia parziale possono quindi incoraggiare l’evoluzione virale”.


Il sito del Ministero della Salute

 

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