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7 agosto 1990, il delitto di via Poma: un caso ancora aperto

L'assassinio di Simonetta Cesaroni è un caso che non è stato mai risolto nonostante oltre vent'anni di indagini: uno dei grandi misteri italiani

7 agosto 1990, 31 anni fa il delitto di via Poma. L’assassinio di Simonetta Cesaroni è un caso che non è stato mai risolto nonostante oltre vent’anni di indagini: uno dei grandi misteri italiani.

Uno dei casi di cronaca più discussi degli ultimi anni, un delitto ancora senza colpevole. Il delitto di via Poma scioccò l’intero Paese, nel corso degli anni furono svolte varie indagini e ipotizzate varie piste investigative, on diverse persone accusate del delitto, ma un vero colpevole ancora non c’è.

Il delitto di via Poma: gli accusati

Uno degli accusati per l’omicidio di Simonetta Cesaroni fu Pietrino Vanacore, portiere dello stabile dove avvenne l’omicidio. Poi ancora Salvatore Volponi, il datore di lavoro della vittima, poi Federico Valle, il cui padre aveva uno studio nello stabile e infine Raniero Busco, fidanzato della vittima.

Tutti, nel tempo, sono stati scagionati dalle accuse.

Chi era Simonetta Cesaroni?

Simonetta Cesaroni era una ragazza nata il 5 novembre 1969 che viveva a Roma, in zona Palmiro Togliatti e che, dal gennaio 1990, lavorava come segretaria presso la Reli Sas, uno studio commerciale che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G.

Simonetta venne incaricata di prestare lavoro come contabile per alcuni giorni alla settimana presso gli uffici di questo cliente in via Poma, era molto riservata e neanche la famiglia era a conoscenza dell’ubicazione degli uffici della A.I.A.G. dove lavorava saltuariamente, così come nessuno sapeva, tranne la madre, delle telefonate anonime che riceveva sul posto di lavoro.

L’omicidio

Il pomeriggio del 7 agosto 1990 Simonetta si era recata presso la sede dell’A.I.A.G. in via Poma per sbrigare alcune pratiche; avrebbe poi dovuto chiamare Volponi verso le 18.20 per dirgli come procedeva il lavoro; alle 17.15 risale l’ultimo indizio che Simonetta sia ancora viva, in quanto fece una telefonata di lavoro a Luigia Berrettini. Volponi non riceverà mai la telefonata concordata con Simonetta.

I familiari, non vedendola tornare, alle 21.30 decidono di cercarla e, contrattato Volponi, insieme a lui la sorella Paola col proprio fidanzato, giungono presso gli uffici di via Poma dove si fanno aprire la porta dal portiere alle 23.30, trovando il cadavere di Simonetta uccisa con 29 coltellate.

Un delitto efferato

Simonetta viene immobilizzata a terra, qualcuno è in ginocchio sopra di lei e le preme i fianchi con le ginocchia con tanta forza che le lascerà degli ematomi.

La colpisce provocandole un trauma cranico che la fa svenire. L’assassino prende un tagliacarte e inizia a pugnalarla per 29 volte.

Sei sono i colpi inferti al viso, all’altezza del sopracciglio destro, nell’occhio destro e poi nell’occhio sinistro; otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre; quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali, sopra e sotto.

Alcuni abiti di Simonetta, fuseaux sportivi blu, la giacca e gli slip vengono portati via assieme a molti effetti personali che non saranno mai ritrovati, tra cui: gli orecchini d’oro, un anello d’oro, un bracciale d’oro e un girocollo d’oro, mentre l’orologio le viene lasciato al polso.


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Lei viene lasciata nuda, con il reggiseno allacciato, ma calato verso il basso, con il seno scoperto, il top appoggiato sul ventre a coprire le ferite più gravi, quelle mortali. Porta addosso ancora i calzini bianchi corti, mentre le scarpe da ginnastica sono riposte ordinatamente vicino alla porta. Le chiavi dell’ufficio, che aveva nella borsa, vengono portate via.

 

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