Inchiesta

Camorra in Campania: la storia del clan dei Casalesi

Quali sono i clan della camorra attivi in Campania? Ecco la storia del clan dei Casalesi.

Nell’agro aversano era storicamente presente la camorra legata al controllo del mondo agricolo, in particolare nella zona dei Mazzoni, ossia una zona della provincia di Caserta situata tra i bacini del Volturno e dei Regi Lagni. La camorra agraria nasce per imporre la sorveglianza alle aziende agricole, con la cosiddetta, “guardianìa”, con le mediazioni nelle transazioni agricole e con le estorsioni sui mercati agricoli. L’organizzazione, con il tempo, si era poi gradualmente interessata all’attività edilizia.

La lotta tra i vecchi clan e il ruolo di Bardellino

Verso la metà degli anni settanta del XX secolo, l’attività dei vecchi clan entrò in contrasto col gruppo emergente capeggiato da Antonio Bardellino e Mario Iovine. Antonio Bardellino, di San Cipriano d’Aversa, nel 1974 faceva ancora il carrozziere, per poi dedicarsi alle rapine, in particolare a quelle dei TIR e ai furti sui treni merci. Entrato in contatto con il clan Nuvoletta di Marano di Napoli, di cui costituisce nel 1977 il braccio armato, venne affiliato a Cosa Nostra dal mafioso siciliano Rosario Riccobono presso la masseria dei fratelli Lorenzo e Ciro Nuvoletta a Marano di Napoli; Carmine Schiavone dichiarò:

Già a partire dalla fine degli anni settanta, Bardellino intuì che il futuro dei traffici illegali sarebbe stato rappresentato dalla cocaina, capace di alimentare a lungo termine un affare molto più redditizio rispetto a quello dell’eroina. Per questo motivo, il capoclan, organizzò un’attività di copertura di import-export di farina di pesce, organizzando un imponente traffico di cocaina, partendo dall’America latina, giungeva nell’agro aversano passando attraverso Alberto Beneduce, uno dei vertici indiscussi del clan e fraterno amico di Michele Zagaria. Cionondimeno, il clan Bardellino contrabbandò anche l’eroina, le cui spedizioni dirette alla Famiglia Gambino e Famiglia Genovese, erano nascoste all’interno dei filtri di caffè espresso. I collaboratori di giustizia riferirono che, quando una di queste spedizioni venne intercettata dalle autorità antidroga, Bardellino telefonò a John Gotti e successivamente ai Genovese, affermando che il business non si sarebbe di certo fermato e che avrebbe mandato una quantità di stupefacente pari al doppio di quella sequestrata.

Bardellino ottenne un potere enorme, dal casertano fino al basso Lazio, che molto frequentemente era gestito da suo nipote, il giovane Paride Salzillo. Bardellino spesso si recava in Brasile e a Santo Domingo. Lo strapotere del boss infastidiva gli altri capi-clan che decisero di eliminarlo utilizzando un subdolo stratagemma: spinsero Bardellino a ordinare l’uccisione di Domenico Iovine, dopodiché indussero il fratello di Domenico, Mario, ad uccidere per vendetta Bardellino stesso.

antonio bardellino
Antonio Bardellino

L’omicidio Bardellino e l’ascesa degli Schiavone

Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, il clan vive una grave crisi, scaturita dall’omicidio di Alberto Beneduce, operato dai clan satellite La Torre ed Esposito, a cui seguono gli omicidi di Vincenzo De Falco e di Mario Iovine, elementi di spicco del gruppo. Secondo i collaboratori di giustizia, Mario Iovine si recò a casa di Bardellino in Brasile e qui lo uccise con un martello. La circostanza, tuttavia, non è mai stata acclarata, poiché il corpo di Bardellino non venne mai ritrovato. Il Tribunale di Napoli Nord ne ha dichiarato la morte presunta il 14 giugno 1988.

Con l’omicidio di Antonio Bardellino nel 1988 si determina un vortice di vendette con numerosi omicidi tra San Cipriano d’Aversa e Casal di Principe, tanto che questi comuni ottennero, in quegli anni, il primato di area urbana col più alto tasso di omicidi d’Europa.

Non scampò alla morte neanche il nipote di Bardellino, Paride Salzillo, colui che gestiva sul territorio gli affari malavitosi per conto dello zio. Ricevuta la telefonata dal Brasile dell’avvenuta morte del capo, Francesco Schiavone invitò Salzillo ad un incontro con tutti i maggiorenti dell’organizzazione. Questi ultimi, non appena il giovane si presentò, disarmarono il ragazzo, lo informarono della morte dello zio e gli preannunciarono la morte; Salzillo venne fatto sedere e fu strangolato con una corda di plastica. Anche il suo cadavere non venne mai ritrovato, probabilmente fu gettato in un canale poi cementificato.

L’omicidio di Giuseppe Diana e il processo Spartacus

All’inizio degli anni ’90, l’omicidio di Alberto Beneduce dà inizio ad una sanguinosa lotta interna, proprio tra De Falco e le fazione degli Schiavone e Bidognetti, faida che si protrasse sino alla metà degli anni novanta. La guerra intestina assegnerà definitivamente il comando del clan a Schiavone e Bidognetti. Il potere e il comando del clan fu assunto da Francesco Schiavone e da Francesco Bidognetti; anche se era il primo il boss principale. Subito dopo spiccavano le figure di Michele Zagaria e Antonio Iovine, entrambi di San Cipriano d’Aversa. In questi anni, precisamente nel 1994, i casalesi uccisero il sacerdote Giuseppe Diana, parroco di Casal di Principe, colpevole secondo l’organizzazione di aver criticato la camorra.

Il dominio di Schiavone e Bidognetti venne interrotto con una maxi-operazione denominata “Spartacus” nata dalla collaborazione di alcuni pentiti. L’operazione condusse nel 1993 all’arresto di Bidognetti, e nel 1998 di Schiavone. Tali azioni permisero di intentare un processo, il processo Spartacus, di cui invero la stampa non si occupò molto. Iniziato nel 1998, le sentenze di primo grado giunsero nel 2005, mentre quelle di appello nel 2008 e il terzo ed ultimo grado, la Cassazione, il 15 gennaio 2010. Il colpo per il clan fu molto duro, vennero condannati all’ergastolo Schiavone, Bidognetti e molti altri importanti esponenti latitanti come Zagaria e Iovine.

Durante gli anni del processo il pentito Carmine Schiavone sembrò rivelare che ci sarebbe stato un piano del clan per uccidere lo scrittore Roberto Saviano entro il 25 dicembre del 2008. L’affermazione venne poi smentita dallo stesso Schiavone, che incontrò Saviano nella sede della Mondadori in via Sicilia a Roma. Secondo Schiavone quella informazione venne messa in giro dai Servizi Segreti con l’obiettivo di screditare il suo ruolo di collaboratore, visto che una volta scontata definitivamente la pena, avrebbe cominciato a rivelare le informazioni sulle coperture istituzionali dell’organizzazione, da lui verbalizzate ma coperte con degli omissis, che di fatto segretarono la confessione, da parte dell’allora Ministro degli interni Onorevole Giorgio Napolitano, così come riportato dal giornale “Il Mattino”.

Gli anni 2000 e gli arresti dei boss

A partire dagli anni 2000 gli arresti, le condanne e il regime penitenziario del 41 bis indebolirono molto le figure di Schiavone e Bidognetti consentendo l’ascesa di due boss già condannati all’ergastolo ma latitanti: Michele Zagaria e Antonio Iovine. Il primo controllava gli affari dei casalesi nel nord Italia e nell’Europa dell’est, il secondo si occupava delle coperture politiche a Roma. Il gruppo di Bidognetti venne quasi distrutto, soprattutto dopo l’arresto di Giuseppe Setola, allora reggente del gruppo e colpevole della strage di Castel Volturno, dove vennero uccise sette persone a colpi di AK-47.

Il clan Schiavone fu poi indebolito dall’ascesa di Giuseppe Costa al potere, ma risultò essere ancora attivo. Lo dimostrano l’arresto di Nicola Schiavone, figlio maggiore di Francesco, avvenuto il 15 giugno 2010, visto come reggente del gruppo e mandante del triplice omicidio di Francesco Buonanno, Giovanni Battista Papa e Modestino Minutolo, seguito dall’arresto di Francesco Barbato o’ sbirro, considerato a sua volta reggente del clan dopo l’arresto di Nicola.

L’arresto di Antonio Iovine avvenuto il 17 novembre 2010, fino ad allora uno dei più importanti boss del clan, rese Michele Zagaria l’unica figura di spicco del clan. Dal 2011 la reggenza del Clan viene affidata alla famiglia Iavarazzo di Villa Literno, già imparentati con gli Schiavone. Il 7 dicembre dello stesso anno, durante una massiccia operazione della Polizia di Stato, scattata all’alba, venne catturato Michele Zagaria: il boss, latitante da ben 16 anni, si nascondeva in un bunker sotterraneo di un appartamento di Casapesenna, in via Mascagni. Il 10 marzo 2015 nel corso dell’“Operazione Spartacus Reset”, vengono arrestati 40 appartenenti al clan Schiavone, tra cui anche i figli di Sandokan, Nicola e Carmine Schiavone.

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