Cronaca

Cimitero dei feti a Roma: via i nomi delle donne dalle croci. La prima che denunciò: “questo non basta”

Niente più nomi scritti senza il consenso della madre sulle lapidi dei feti abortiti e via le croci. Ma tutto questo non è abbastanza

La vicenda dei nomi delle donne impressi sulle tombe dei feti abortiti a Roma ha raggiunto una prima conclusione, ma si tratta solo di una premessa che doveva essere già scontata: la tutela della loro privacy. La giunta ha deliberato che le generalità delle donne non dovranno più comparire nei cimiteri dedicati alla sepoltura dei “feti o prodotti abortivi“, sostituiti da dei codici alfanumerici.

Un punto di partenza che però non risolve la questione: la delibera, infatti, non impedisce alle associazioni pro vita di disporre di un feto altrui come se si trattasse di un defunto.

Cimitero dei feti: la decisione dalla giunta capitolina

Niente più nomi scritti senza il consenso della madre, dunque, e niente più rimpallo di responsabilità tra l’Ama (che gestisce i cimiteri) e gli ospedali nei quali si è effettuata l’interruzione di gravidanza. Al loro posto ci sarà una targhetta di identificazione contenente soltanto il codice alfanumerico corrispondente al numero progressivo di registro cimiteriale.

Via anche la croce indiscriminata: come richiesto dalla donna che aveva denunciato per prima l’accaduto, sarà vietato anche l’utilizzo di simboli religiosi in maniera arbitraria “non confacenti – come ha sottolineato Gemma Guerrini, la presidente della commissione delle Pari Opportunità – al carattere laico dello Stato italiano“. Affinché la disposizione diventi valida in toto, comunque, il provvedimento dovrà essere calendarizzato e discusso al Comune.

La vicenda

Il caso, portato all’attenzione pubblica dalla denuncia di Marta, una donna romana rimasta scioccata dopo aver trovato il suo nome scritto su una croce bianca nel cimitero, si inseriva all’interno di un vuoto normativo, che lasciava libertà alle associazioni pro-life di disporre dei feti, del loro funerale e della loro sepoltura qualora la donna non si fosse dichiarata (legittimamente) interessata a farsene carico. Come dichiarato anche dalla Guerrini, il regolamento in vigore finora “non specificava nulla circa le sepolture dei prodotti abortivi“.

Perché “non è sufficiente”

Quindi stiamo considerando il materiale abortivo giuridicamente un defunto?“. A commentare su Facebook le disposizioni della giunta di Roma è proprio Marta. “Come sapevamo si è tutto ridotto ad una questione di privacy», ha scritto, specificando di aver presenziato alla commissione.

Nessuno ha parlato dei diritti di scelta delle donne. Diritto di decidere se il proprio materiale abortivo debba essere sepolto e in che modalità. Diritto ad essere correttamente informate e diritto a non vedersi sempre scavalcate da leggi che addirittura consentono entro le 24 ore dall’espulsione anche “ai parenti o a chi per essi” di decidere se procedere o meno con sepoltura ed esequie dei feti abortiti. Anche questa è violenza sulle donne“.

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