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Cosa sappiamo sulla variante indiana del Covid? I sintomi e come riconoscerla

Cosa sappiamo sulla nuova variante indiana del Covid che sta mettendo in ginocchio l'India nelle ultime settimane? Sintomi e cosa cambia

Cosa sappiamo sulla nuova variante indiana del Covid che sta mettendo in ginocchio l’India nelle ultime settimane? A fare il punto della situazione è il professor Clementi. Vediamo insieme quali sono le caratteristiche, come riconoscerla e i sintomi più frequenti.

Cosa sappiamo sulla variante indiana del Covid: sintomi e cosa cambia

La variante indiana del Coronavirus non è nulla di nuovo: si tratta di una mutazione datata, che è stata individuata per la prima volta in India già nell’ottobre del 2020 e poi si è diffusa in particolar modo in quel Paese. Lo ha affermato il professor Massimo Clementi,  Ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

Variante indiana del Covid, cosa cambia?

“Include due mutazioni della proteina Spike, mutazioni che sono già state individuate in altre due varianti sequenziate nel mondo. Ma di fatto non ci sono grandi novità. Qualcuno ha ipotizzato che la copresenza di queste due mutazioni, che già attribuivano una capacità replicativa alle rispettive varianti, potesse aumentare la capacità replicativa di questa nuova variante indiana e conferirle una particolare capacità di sfuggire agli anticorpi generati dalle vaccinazioni. Ma quest’ultimo aspetto non è stato ancora provato e ad oggi si ritiene che non sia così. E comunque va ricordato che se continuano ad emergere nuove varianti non è perché prima non esistessero, ma perché adesso ci siamo messi a rincorrerle“, sottolinea Clementi.

La variante è più contagiosa?

La maggiore capacità replicativa di questa variante indiana del coronavirus SarsCoV2 implica una maggiore contagiosità, come per la variante inglese? “Non proprio. L’obiettivo del virus è di eludere l’immunità laddove ci sono molti vaccinati e molti guariti dall’infezione. Il coronavirus SarsCoV2 non ha la capacità di replicarsi in tutta la popolazione e per questo motivo deve ‘inventarsi’ qualcosa di nuovo per poter replicare sempre con la stessa efficienza.

Così sviluppa queste varianti, per sfuggire alla pressione selettiva imposta dall’immunità. Ma si tratta di varianti talvolta problematiche perché come ci ha insegnato la variante inglese, la madre di tutte le varianti, questa riesce ad infettare di più l’uomo perché aggancia meglio il recettore presente nelle cellule dell’albero respiratorio umano. Però al di là di questo non c’è un pericolo maggiore”, chiarisce il professor Clementi.

I vaccini sono efficaci?

Per Fabrizio Pregliasco il grande problema della variante indiana è che ha “due mutazioni (la E484Q, che potrebbe aumentarne la trasmissibilità, e la L452R, che potrebbe invece aggirare la protezione del vaccino, ndr) nella proteina Spike, che rendono più facile l’inserimento all’interno dell’organismo”, ha spiegato ai microfoni di Agorà, su Rai 3. “Da un lato – ha aggiunto – si dovrà capire se e quanto è più contagiosa rispetto al virus originale, come sembra, e poi servirà chiarire se sfugge ai vaccini”. Sembra comunque, “da uno studio israeliano che il vaccino Pfizer protegga almeno in parte“.

C’è chi sostiene che di fronte ad alcune varianti la risposta dei vaccini sia inferiore. “Alcune varianti rispondono meno alla presenza di anticorpi, ma se una persona ha un titolo alto di anticorpi la variante è pur sempre inibita, seppure in parte. Questo è stato osservato anche con la variante brasiliana e con quella sudafricana. Ad oggi non esistono varianti che sfuggano in toto ai vaccini approvati”, ha aggiunto Clementi.

Quali sono i sintomi della variante indiana del Covid?

La sintomatologia della variante indiana, chiarisce il professor Clementi, non cambia rispetto alle altre varianti del coronavirus Sars-CoV-2. Per quanto riguarda le terapie con anticorpi monoclonali e con Remdesivir, qualche piccola differenza c’è. “Nel caso della terapia con anticorpi monoclonali in un primo momento si era pensato che potesse essere sufficiente un singolo anticorpo monoclonale per vincere l’infezione, e allora era effettivamente così. Poi il virus ha cominciato a mutare e quindi la terapia non era più in grado di colpirlo efficacemente. Così è stato ritirato e si è mantenuta in commercio una combinazione di monoclonali, gli oligoclonali, che riescono a colpire il coronavirus Sars-CoV-2 in più punti, eludendo così le mutazioni.

Si tratta di un aspetto molto interessante già utilizzato per la chemioterapia contro l’Hiv: si usano tre farmaci differenti che colpiscono il virus in punti diversi in modo da impedire che si generi una variante resistente ad uno dei tre. Gli oligoclonali sono efficaci anche contro le varianti del Covid proprio perché il virus non può cambiare in tutti i punti”, chiarisce il virologo. “Anche per quanto concerne il Remdesivir l’efficacia è confermata. Ma va sempre ricordato che affinché la terapia contro il Covid-19 sia efficace va iniziata subito.

Purtroppo sulle varianti del coronavirus c’è una sorta di terrorismo mediatico. Che un virus muti è normale, ma un virus come il coronavirus Sars-CoV-2 non può mutare le proprie strutture funzionali all’infezione in maniera illimitata: c’è un limite oltre il quale non può andare. Oggi ci sono persone che si domandano se valga la pena vaccinarsi perché temono che con le varianti la protezione venga meno e credono che prima o poi arriverà una variante in grado di bypassare la protezione del vaccino. Ma così ad oggi non è, con tutte le varianti che abbiamo, ed è difficile che potrà mai essere così proprio per il discorso che ho appena fatto. Sicuramente il tema delle diverse varianti può riscuotere un certo interesse a livello mediatico, ma dal punto di vista scientifico non c’è nulla di sorprendente”, chiosa il professor Clementi.


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