Almanacco

Gorizia, dipendenti sfruttati e costretti a restituire parte dello stipendio

Un imprenditore di Gorizia costringeva alcuni dipendenti maliani, senegalesi e gambiani a turni massacranti e a restituire una parte dello stipendio – tra 200 e 400 euro mensili, in contanti.

Dipendenti sfruttati e costretti a restituire parte dello stipendio

Caporalato, estorsione, minaccia aggravata, sfruttamento del lavoro e falso. Con queste accuse è stato arrestato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Gorizia un imprenditore di origini venezuelane di 40 anni. L’uomo è stato fermato la scorsa notte su disposizione del Gip del Tribunale cittadino. L’imprenditore è il socio co-titolare di un’azienda – si tratta de La Montaggi srl – che lavora all’interno dei bacini dove Fincantieri sta realizzando navi da crociera a Monfalcone (Gorizia).

L’accusa

Secondo l’accusa, l’imprenditore costringeva alcuni dipendenti maliani, senegalesi e gambiani a turni massacranti e a restituire una parte dello stipendio – tra 200 e 400 euro mensili, in contanti – che percepivano, con la minaccia di licenziarli. Quando si verificavano infortuni sul lavoro intimava loro di non denunciarli, imponendo che sostenessero che fossero avvenuti nel loro domicilio, per evitare guai all’azienda.

Inoltre, dopo averli costretti a pagarsi i corsi obbligatori di formazione sulla sicurezza nella costruzione dei ponteggi – del costo di 600 euro cadauno – impediva loro di frequentarli: per questa ragione sette persone, tra docenti e organizzatori della formazione, sono state denunciate a piede libero avendo attestato la presenza degli operai a Padova quando invece non si erano mai mossi dal cantiere isontino.

Le intercettazioni

Da quanto riferito dai Carabinieri, che hanno utilizzato intercettazioni ambientali e telefoniche e beneficiato del supporto dei colleghi del Nucleo dell’Ispettorato del lavoro, fondamentale per l’inchiesta è stata la disponibilità da parte della security che lavora per conto di Fincantieri, la quale ha permesso di ottenere i riscontri decisivi. Si stima che l’attività illecita proseguisse da almeno due anni e abbia fruttato circa 52 mila euro, che sono stati sequestrati in un conto corrente di una banca di Ancona

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