Inchiesta

Camorra, le famiglie più potenti in Campania: la relazione della Dia del semestre luglio-dicembre 2019

Quali sono le famiglie di camorra più potenti in Campania? Lo spiega la Direzione Investigativa Antimafia con la relazione semestrale sull’attività della criminalità organizzata in Italia relativa al periodo che va da luglio al dicembre del 2019. In Campania, la criminalità organizzata di tipo mafioso si conferma un fenomeno in continua trasformazione, anche in ragione di un tessuto sociale molto complesso.

Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, a una caotica e più o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attività illegali su piccole porzioni di territorio.

Famiglie di camorra più potenti in Campania, la relazione Dia luglio – dicembre 2019

Storiche organizzazioni camorristiche (come i MAZZARELLA, LICCIARDI, CONTINI, presenti nel capoluogo partenopeo, MALLARDO, MOCCIA, NUVOLETTA, POLVERINO, ORLANDO, nella provincia, i CASALESI nel casertano) hanno creato, nel tempo, veri e propri apparati imprenditoriali, capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti), evidenziando  una resilienza capace di assorbire i continui colpi dello Stato e di mantenere comunque stabile la propria capacità operativa.

Pertanto, la rilevanza mediatica derivante da numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella città di Napoli, non deve indurre a pensare ad una camorra come a una matrice delinquenziale di basso cabotaggio, a un semplice scontro tra bande rivali prive di caratura criminale.


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I piccoli aggregati di minore entità – spesso costituiti per la maggior parte da giovani che agiscono con modalità mafiose – alla luce delle recenti valutazioni giudiziarie si possono ritenere come realtà criminali subalterne alle grosse organizzazioni, che conferiscono loro legittimazione e dalle quali dipendono operativamente, svolgendo un mero ruolo esecutivo. Nel contesto cittadino, i sodalizi più strutturati continuano, così, ad operare tenendosi prudentemente lontani dai riflettori, traendo beneficio dall’azione criminale dei gruppi minori, cui viene relegato lo spaccio di droga, il racket sui piccoli esercizi commerciali e l’usura.

In questo senso, un significativo riscontro investigativo intervenuto nel semestre dà conto della regia occulta orchestrata dai clan più strutturati e retrostante alle sparatorie e alle azioni violente poste in essere da giovani apparentemente desiderosi di conquistare spazi nel centro cittadino. Il 25 luglio 2019, i Carabinieri hanno eseguito il fermo di tre giovani gravemente indiziati di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per aver reiteratamente richiesto denaro ai gestori di un noto locale nel quartiere Decumani di Napoli.

Le indagini, avviate nel gennaio 2019 a seguito di alcune azioni violente (cd. stese) e danneggiamenti in danno di alcune attività commerciali della zona, hanno accertato come un neo gruppo formato da giovanissimi avesse operato dietro la regìa del clan MAZZARELLA, contribuendo, con le loro condotte estorsive, a rafforzarne la vitalità e a favorirne l’affermazione nel territorio.

Cosa è cambiato rispetto al semestre precedente

Rispetto al semestre precedente, il numero stabile, nella città di Napoli, degli omicidi e quello in flessione dei tentati omicidi potrebbe essere un ulteriore elemento indicativo della politica adottata dai clan più strutturati, che allo scontro tendono a preferire la condivisione di interessi, se ciò risulta strumentale al raggiungimento degli obiettivi e dei profitti. Al riguardo, emblematica è proprio l’inchiesta “Piccola Svizzera” 584, conclusa il 24 ottobre 2019 dalla Polizia di Stato.

Le indagini, oltre alla gestione illecita degli appalti nell’area immediatamente circostante a quella portuale, hanno messo in luce gli elementi di mediazione, composizione e cogestione esercitati da un unico clan e dal suo “carismatico” fondatore, in grado di coinvolgere trasversalmente differenti sodalizi criminali, anche in contrasto tra loro, operativi sia nell’area orientale che del centro. In tal modo, sono stati mantenuti gli equilibri tra le varie associazioni, evitando l’insorgere di conflitti e garantendo, al contempo, il regolare svolgimento delle attività estorsive e la partecipazione ai profitti illeciti.


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La regia e il coordinamento da parte dei clan più strutturati – come accennato abilmente posizionati alle spalle di gruppi criminali composti prevalentemente da giovani – sono emersi anche in altri ambiti illegali, ritenuti  erroneamente minori ma caratterizzati, invece, dalla capacità di generare enormi profitti e un ridotto rischio giudiziario, come le truffe alle assicurazioni e quelle agli anziani.

In merito a quest’ultimo aspetto, l’8 novembre 2019, l’inchiesta “Condor” – più avanti illustrata – ha fatto luce su un articolato ed ingegnoso sistema di truffe in danno delle cosiddette “fasce deboli”, commesse nel territorio nazionale e anche all’estero, ad opera di soggetti coordinati e guidati da un esponente di primo piano dello storico clan CONTINI del rione Vasto. Il sistema truffaldino ha garantito, negli anni, un business milionario, difficilmente tracciabile perché rappresentato principalmente da somme contanti e oggetti preziosi facilmente occultabili.

Il ritorno nel territorio di personaggi di particolare caratura criminale, a seguito di scarcerazioni per fine pena o per misure alternative al carcere, potrebbe avere conseguenze sulle dinamiche interne ai clan e alle ripercussioni verso l’esterno. Proprio il clan CONTINI si è rinforzato a seguito di tre scarcerazioni “eccellenti”: due, del mese di luglio 2019, hanno riguardato un esponente di spicco del gruppo BOSTI e il referente del clan nella zona di via Stadera di Napoli; la terza, avvenuta nel mese di ottobre 2019, assume un particolare rilievo atteso che il soggetto è considerato attuale reggente del sodalizio.

La potenza dei clan in carcere

In tale contesto, diverse indagini hanno dimostrato che non di rado i clan riescono a ricevere, dall’interno degli istituti di pena, le opportune comunicazioni per le strategie criminali da portare avanti. Sul punto, il Procuratore di Napoli – nel corso della sua audizione presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del 24 ottobre 2019 – affrontando il problema della permeabilità del regime restrittivo carcerario, ha parlato del pericoloso potere che le organizzazioni mafiose continuerebbero a detenere anche all’interno di alcuni istituti, rappresentando “…che le capacità di comunicazione sono costanti e che il carcere riflette le logiche di divisione e di aggregazione delle organizzazioni criminali…”. L’incisiva azione di controllo della Polizia Penitenziaria ha portato al rinvenimento, in diverse occasioni, di telefoni cellulari in possesso dei detenuti e di sostanze stupefacenti e di farmaci non autorizzati, soprattutto psicofarmaci, utilizzati spesso come merce di scambio.


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Le richieste dei capi clan

Un ulteriore elemento di riflessione va rivolto alle richieste pervenute dai capi di alcuni clan che, dal carcere, hanno espresso la volontà di dissociarsi. In particolare, tra giugno e luglio 2019, alcuni esponenti apicali del sodalizio AMATO-PAGANO hanno scritto al Procuratore della Repubblica di Napoli annunciando la volontà di collaborare, poi concretizzatasi in forme (peraltro, già sperimentate) di ammissione limitate a condotte criminali già contestate, con l’indicazione delle responsabilità a carico soltanto di collaboratori di giustizia o di concorrenti nel reato deceduti. L’aspetto più interessante riguarda le reali motivazioni che spingono taluni soggetti, spesso di rango apicale, a determinarsi in questo senso, apparendo per lo più come scelte di opportunità finalizzate ad ottenere attenuanti in sede di condanna o misure premiali per i detenuti condannati in via definitiva.

Per la camorra, la via della dissociazione trova le sue radici negli anni ’90, quando fu messa in atto da esponenti apicali del clan MOCCIA con l’intento di mimetizzare e rigenerare l’organizzazione. Si era poi manifestata in Sicilia, all’inizio degli anni Duemila, quando l’adozione di un’analoga linea di condotta fu esplorata anche da parte di Cosa nostra. Una vera e propria strategia che potrebbe avere come obiettivo quello di ottenere l’applicazione delle recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, che hanno sancito la parziale incostituzionalità del cosiddetto ergastolo ostativo.

Per altro verso, la precarietà occupazionale, congenita in alcune aree della Campania, ha sempre rappresentato una leva per le organizzazioni criminali più consolidate, che frequentemente si sono “sostituite” allo Stato, attuando una sorta di “economia parallela”, molto competitiva, che si accredita presso la popolazione come unica fonte certa di reddito. Assicurando protezione e sostegno alle classi sociali più povere e alle imprese in difficoltà, i clan ottengono credito e la disponibilità, al presentarsi dell’esigenza, di poter ricevere sostegno, manovalanza e accessibilità a strutture e a professionalità imprenditoriali. Tale situazione potrebbe ulteriormente accentuarsi per gli effetti della pandemia dovuta al COVID 19, che ha colpito l’Italia dai primi mesi del 2020, impattando su un sistema economico regionale già sofferente.

La povertà e la Camorra in Campania

In Campania, pertanto, le endemiche sacche di povertà e la ridotta possibilità di disporre di liquidità finanziaria potrebbero ulteriormente rafforzare il ruolo delle organizzazioni criminali come welfare alternativo allo Stato  punto di riferimento sociale. A una fascia di popolazione tendenzialmente più povera, secondo i parametri dell’ISTAT, se ne andrebbe ad aggiungere un’altra, che inizia a “percepire” lo stato di povertà cui sta andando incontro.

In tal senso, mettendo “in circolo” gli ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite, i clan potrebbero consolidare nel territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo (da capitalizzare, ad esempio, anche in occasione di future competizioni elettorali), elargendo prestiti di denaro – non necessariamente a tassi usurari – a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, creando i presupposti per fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare, a loro volta, strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti.


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Si tratta di modelli di mafia capaci sia di rafforzare il vincolo associativo, mediante la ricerca di consenso nelle aree a forte sofferenza economica, sia di stare al passo con le più avanzate strategie d’investimento, predisponendo, in prospettiva, le basi per cogliere anche le opportunità derivanti dalle risorse stanziate per la ripresa economica

.La forte capacità di infiltrare il tessuto economico campano si desume anche dalla lettura dei dati pubblicati dall’“Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. Essi indicano come, allo stato attuale, nella Regione siano in corso le procedure per la gestione di 2.360 immobili confiscati, mentre altri 2.623 sono già stati destinati. Sono, altresì, in atto le procedure per la gestione di 570 aziende, mentre 234 sono state già destinate. Si tratta di abitazioni, terreni, imprese edili, strutture ricettive e attività commerciali, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Napoli, Caserta, Salerno, Avellino e Benevento.

Il settore degli appalti

Uno dei settori maggiormente esposti alle infiltrazioni criminali continua ad essere quello degli appalti, ambito nel quale, di frequente, si saldano condotte illecite di soggetti mafiosi, amministratori e dipendenti degli Enti che bandiscono le gare. Si tratta di un fenomeno delittuoso molto diffuso che trova terreno fertile in fasce imprenditoriali prive di scrupoli che, in talune occasioni, avvalendosi del sostegno di gruppi camorristici per aggiudicarsi le gare, hanno assunto una posizione monopolistica, alterando così la libera concorrenza. Non sono mancate, nel semestre, indagini che, pur non avendo riguardato connivenze tra amministratori e criminalità organizzata, hanno portato alla luce gravi condotte delittuose poste in essere da esponenti di vertice dell’amministrazione pubblica locale.

In una di queste è stato coinvolto un politico di Villa Literno, indagato per corruzione, turbativa d’asta e truffa, un funzionario dell’ufficio tecnico di quel Comune e due imprenditori, per fatti risalenti al periodo pre e post elettorale per le consultazioni del 2016. Gli illeciti contestati riguardano irregolarità nel rilascio di un permesso di costruire un centro ricettivo turistico a Villa Literno, la realizzazione dell’appalto di adeguamento e completamento della rete fognaria di Lusciano e il pagamento di crediti per prestazioni svolte a favore dell’Ente comunale, effettuato proprio in un periodo di dissesto economico del Comune: gli imprenditori coinvolti avrebbero in cambio fornito il loro appoggio elettorale al politico di riferimento.

Commistioni tra amministratori pubblici e camorra

L’accertamento di commistioni tra amministratori pubblici e criminalità organizzata ha determinato, in alcune occasioni, lo scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazione mafiosa. Nel periodo di riferimento, l’8 novembre 2019, con Decreto del Presidente della Repubblica è stato sciolto, per infiltrazioni della criminalità organizzata, il Consiglio comunale di Orta di Atella, i cui organi elettivi erano stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del giugno 2018. Si tratta, per quell’Ente, del secondo scioglimento per condizionamento della criminalità locale, che segue un analogo provvedimento del 2008.


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Negli atti che hanno condotto a tale scioglimento si evidenzia la continuità della presenza all’interno del Consiglio comunale, a partire dal 2006, degli stessi amministratori (tra cui uno condannato, nel maggio 2019, dalla Corte d’appello di Napoli per associazione di tipo mafioso), che per lungo tempo, nell’ambito della gestione dell’Ente, avevano commesso irregolarità, con gravi danni per il territorio e l’ambiente. Una situazione che aveva avvantaggiato sia imprenditori – che mettevano a disposizione clan dei CASALESI le loro imprese in cambio del rilascio di concessioni edilizie illegittime – sia alcuni esponenti del gruppo RUSSO (inserito nel citato cartello casertano).

La relazione conclusiva della Commissione d’accesso evidenzia come anche l’ultima compagine amministrativa abbia subito l’influenza di personaggi organici ad associazioni criminali nella gestione delle procedure d’appalto, di concessioni di spazi pubblici e di autorizzazioni edilizie, garantendo la continuità con il passato. Va anche detto che l’inclinazione dei cartelli criminali campani a creare le condizioni per fare impresa è stata già ampiamente accertata nelle numerose indagini che hanno riguardato le proiezioni dei sodalizi dotati di una solida e radicata struttura organizzativa e capacità di investire disponibilità finanziarie in attività imprenditoriali e commerciali, anche in altre regioni italiane e all’estero (LICCIARDI, MALLARDO, CONTINI, MAZZARELLA, MOCCIA, POLVERINO, CASALESI, etc.).

Il condizionamento del tessuto economico non riguarda più esclusivamente la Campania, poiché la necessità di investire capitali ha comportato la migrazione di “imprenditori” camorristi nelle regioni del centro e nord Italia dove, operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, alterano la legittima concorrenza, contribuendo a indebolire le imprese legali. Il rapporto che lega gli imprenditori al clan è un rapporto stabile, che assicura ai primi protezione nei confronti di altre organizzazioni criminali e soprattutto la possibilità di aggiudicarsi appalti sfruttando le relazioni dei secondi, non solo in Campania ma anche fuori regione.

Le infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale

Ed è un dato ormai acquisito che i clan campani, oltre all’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, abbiano assunto la tendenza, anche fuori dal proprio contesto territoriale, di stringere accordi tra loro e con altre organizzazioni criminali italiane e straniere per la gestione di singole attività illecite, quali il traffico di stupefacenti, il riciclaggio o per il controllo di reti imprenditoriali operanti su tutta la Penisola.


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Numerose sono state, anche in questo semestre, le operazioni nel settore del traffico degli stupefacenti, un ambito criminale di grande interesse per le associazioni camorristiche, che possono vantare importanti proiezioni anche all’estero. Tendenzialmente, una buona parte dei consistenti quantitativi di droga introdotti dalla camorra è destinata ad essere venduta fuori della Campania, innanzitutto nel Lazio, in Toscana e in Abruzzo.  Le risultanze investigative evidenziano, peraltro, come da anni si sia instaurata una stretta collaborazione con le organizzazioni criminali straniere proprio in tale settore.

Ad esempio, il 20 novembre 2019 i Carabinieri, in collaborazione con la Polizia spagnola, hanno tratto in arresto due esponenti del clan POLVERINO, al centro (unitamente ad altri soggetti già condannati) di una stabile struttura organizzativa transnazionale, con base a Valencia, attiva nell’acquisto di ingenti quantitativi di hashish da fornitori di nazionalità maghrebina, successivamente introdotti dalla Spagna, attraverso autoarticolati e auto dotate di ingegnosi doppifondi, nel territorio napoletano ed in altre località italiane per la distribuzione al dettaglio.

I contatti con le organizzazioni estere

I contatti con organizzazioni di altri Stati e le proiezioni all’estero sono risultate funzionali anche a garantire la latitanza degli affiliati, che dai Paesi stranieri possono, nel contempo, curare gli interessi illeciti del sodalizio di appartenenza, stringendo accordi con gruppi criminali locali. Collaborazioni di questo tipo sono state riscontrate, quindi, in Spagna (dove risultano avere basi operative i POLVERINO e i NUVOLETTA di Marano di Napoli e gli AMATO-PAGANO di Napoli, non a caso detti gli “Spagnoli”), nei Paesi Bassi, in Sud America, in Nord Africa e in Germania. In merito, il 27 agosto 2019 i Carabinieri hanno tratto in arresto, all’aeroporto di Ciampino, proveniente da Norimberga (D), un latitante, broker della droga, appartenente al gruppo SCARPA di Terzigno, collegato al clan GALLO-cavalieri di Torre Annunziata.

Evidenze investigative confermano anche una ripresa dell’interesse dei clan per il contrabbando di sigarette. Il 14 luglio 2019 è stato rintracciato e tratto in arresto un esponente del clan CONTINI, sfuggito nel corso dell’operazione “Cartagena”, che con altri sodali aveva il compito di gestire l’importazione di sigarette dall’Ungheria, poi smistate a Napoli, in particolare all’interno del Borgo Sant’Antonio, zona di influenza del gruppo, oppure cedute anche ad altri acquirenti. La crisi conseguente alla pandemia di coronavirus potrebbe ulteriormente alimentare anche il mercato del contrabbando di T.L.E., già oggetto di interesse da parte delle organizzazioni criminali e, nel recente passato, anche di azioni efferate per l’assunzione del controllo.

Scendendo nel dettaglio delle dinamiche criminali nel territorio, in alcuni rioni del capoluogo partenopeo e nella sua area metropolitana permangono focolai di tensione, più avanti segnalati; in provincia di Napoli, i sodalizi più strutturati conservano il controllo delle attività illecite, mantenendo un basso profilo, fatta eccezione per alcuni contesti, ove emergono, anche in questo caso, segnali di tensione. Nell’area casertana, nonostante la cattura di tutti i capi storici, il cartello dei CASALESI (in cui sono federati i clan SCHIAVONE, ZAGARIA e BIDOGNETTI) continua a caratterizzarsi per una salda, pervasiva e nefasta influenza nel territorio.

Una presenza forse meno visibile da un punto di vista militare, ma non meno efficace sotto il profilo del controllo e della pressione sui settori economici e sull’apparato pubblico e amministrativo, in virtù di una radicata e collaudata rete di connivenze e di contiguità intessuta negli anni. Il quadro di conoscenze sull’operatività e la struttura della federazione criminale si è arricchito negli ultimi tempi, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra i quali i figli dei capi dei gruppi SCHIAVONE e BIDOGNETTI.


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Passando alla provincia di Salerno, questa presenta una situazione riferita alla criminalità organizzata che varia in ragione delle diverse aree territoriali. Nel semestre non sono emersi profili evolutivi di particolare significato, mentre continuano a registrarsi collegamenti con consorterie del napoletano e del casertano. Nell’avellinese, si è affermato un gruppo criminale composto da ex affiliati del clan GENOVESE, attivi nella città di Avellino e in parte della provincia, che conserva relazioni e legami col predetto sodalizio, in difficoltà operative per la detenzione dei vertici.

Per quanto riguarda il territorio beneventano, le zone di maggiore incidenza criminale continuano ad essere quelle al confine con la vicina provincia casertana: le organizzazioni locali hanno subito, grazie a recenti indagini, un forte ridimensionamento.

I rapporti delle singole province

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