Cronaca

Sì al sesso in carcere: la svolta storica della Consulta

Via libera al sesso in carcere: una sentenza della Corte Costituzionale rivoluziona alcune norme delle case circondariali dopo il ricorso presentato da un detenuto laziale ristretto a Sabbione.

Sentenza storica: via libera al sesso in carcere in Italia

La sentenza ha stabilito che non sarà possibile effettuare controlli a vista durante i colloqui in cella col partner perché il diritto all’intimità dei detenuti in un ambiente di tipo domestico deve essere tutelato dal legislatore.

A presentare ricorso era stato un giovane detenuto laziale, in cella dal 2019 per tentato omicidio, furto aggravato ed evasione, trasferito nell’istituto di Terni a marzo 2022 e con fine pena ad aprile 2026, nel reclamo al magistrato di sorveglianza, lamentava di non poter avere colloqui intimi con la compagna e con la figlia di 3 anni

Il magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, aveva rimesso la questione alla Corte costituzionale, ritenendo che il controllo a vista sui colloqui con il partner implichi per il detenuto “un vero e proprio divieto di esercitare l’affettività in una dimensione riservata, e segnatamente la sessualità“.

Il ricorso

Un procedimento partito dal carcere di Sabbione e andato avanti spedito: nelle carte la presa di posizione dell’uomo, che non può avere permessi premio per incontrare intimamente la compagna e che, nel reclamo, non accetta di buon grado il divieto oppostogli dall’amministrazione circa lo svolgimento di colloqui intimi e riservati con la compagna e la figlia in tenera età.

Nelle scorse ore è stato depositata la sentenza della Corte costituzionale, che dichiara: “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge 354 del 26 luglio 1975 nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie“.

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