Curiosità

Videogiochi, un fenomeno mediale di massa diventato quotidianità

Nel corso degli ultimi decenni, i videogiochi hanno attraversato svariati cambiamenti. Oltre ad essere variati dal punto di vista della giocabilità, con funzionalità sempre più implementate e trame che nulla hanno da invidiare a film e serie tv di successo, ciò che è cambiato maggiormente è stato anche il sentimento comune attorno ai videogame. L’utilizzo di pc e console da parte di una fetta sempre più grande della popolazione ha imposto un radicale ripensamento della loro figura, utilizzati per fini didattici o semplicemente per svago. Non si ha più a che fare con titoli rivolti solo a bambini o adolescenti, il rapporto IIDEA sul consumo videoludico parla di una platea di giocatori pari a 15.5 milioni di persone, vale a dire il 35% dell’intera popolazione italiana. Inoltre, è caduto un altro tabù: in passato si credeva che i videogame fossero un’attività rivolta principalmente all’uomo, oggi si stima che il 44% dei giocatori sia donna. Il miglioramento grafico riguarda trasversalmente tutti i giochi appartenenti del settore videoludico, e considerando tutto l’universo dell’i-gaming, anche le slot create da Pragmatic o altri noti provider per le sale da gioco virtuali, quelle che includono anche giochi di carte come poker e blackjack e tavoli verdi come quelli della roulette.

Un aspetto che va necessariamente tenuto in considerazione riguarda il pubblico dei videogame. Pur essendo utilizzati da una popolazione sempre più variegata, è doveroso fare delle distinzioni. È chiaro che non tutti i titoli possono essere fruiti dallo stesso pubblico: alcuni come Halo, ad esempio, hanno una classificazione PEGI che invita i minori di 16 anni a non utilizzare questo titolo. Un divieto assolutamente non legato alle difficoltà del gioco quanto piuttosto ai contenuti di questo, dalla violenza all’uso di un linguaggio volgare ad esempio. Diverso è il caso di Pokèmon al debutto nel 1996, titolo usato trasversalmente da giocatori di tutte le età. Il marchio PEGI è presente obbligatoriamente sul retro di ogni videogame acquistato e l’acronimo sta per Pan European Game Information, vale a dire una classificazione su scala europea dei videogiochi a partire dal loro contenuto.

Il videogioco è entrato a far parte della quotidianità anche grazie al suo linguaggio: alcuni termini sono diventati così popolari da essere diventati di uso comune, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Un esempio su tutti, noto anche ai meno esperti ormai, è la parola bug: nel linguaggio dei gamer significa un errore del software, nella vita di tutti giorni è un termine comunemente impiegato per descrivere un intoppo non previsto durante un’azione. 

Un elemento che ha notevolmente contribuito a far sì che il videogioco diventasse un fenomeno di massa è senza dubbio la totale immersività in questi mondi. Questo aspetto è stato infinitamente cavalcato soprattutto con le recenti uscite di videogame cosiddetti open world, traducibile letteralmente come “mondo aperto”. In questi casi l’utente ha la possibilità di creare il proprio personaggio e muoversi liberamente all’interno di tutta la mappa del gioco, scegliendo tempi e modi delle proprie azioni. Questa immersività completa può generare fenomeni anche decisamente pericolosi, il cosiddetto gaming disorder. Si tratta di una vera e propria patologia riconosciuta dall’OMS nel 2022: indica un disturbo legato alla dipendenza dai videogiochi, che nei casi più gravi può trasformarsi in un vero e proprio autoisolamento. In Giappone il fenomeno è noto fin dagli anni ’80 mentre in Europa si sono riscontrati i primi casi sono all’inizio degli anni 2000.

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