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Giancarlo Siani, la storia del giornalista napoletano ucciso dalla Camorra

Per catturare i suoi assassini ci son voluti ben 12 anni; il motivo del suo omicidio era il forte interesse del giornalista per gli appalti pubblici e la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell'Irpinia del 1980

Giancarlo Siani è stato un giornalista napoletano nato il 19 settembre del 1959 e morto assassinato dalla camorra nella sua città partenopea il 23 settembre del 1985. Per catturare i suoi assassini ci son voluti ben 12 anni; il motivo del suo omicidio era il forte interesse del giornalista per gli appalti pubblici e la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell’Irpinia del 1980 nei dintorni del Vesuvio.

Chi era Giancarlo Siani? Ecco la vita del giornalista ucciso dalla Camorra

Appartenente ad una famiglia della media borghesia partenopea del quartiere Vomero, frequentò le elementari presso la scuola “Vincenzo Cuoco”, le medie presso la SMS “Michelangelo Schipa”, e le superiori presso il Liceo Vico, partecipando ai movimenti studenteschi del 1977. Conseguì la Maturità Classica nel 1978 con il massimo dei voti (60/sessantesimi). Una volta iscritto all’università iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani mostrando particolare interesse per le problematiche dell’emarginazione; proprio all’interno delle fasce sociali più disagiate si annidava, infatti, il principale serbatoio di manovalanza della criminalità organizzata.

In quel periodo fondò assieme ad altri giovani giornalisti, tra i quali Gildo De Stefano e Antonio Franchini, il Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione (M.D.D.I.) di cui fu portavoce nei diversi convegni nazionali sulla libertà di stampa. Scrisse i suoi primi articoli per il mensile Il lavoro nel Sud, testata dell’organizzazione sindacale Cisl, e poi iniziò la sua collaborazione come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino di Napoli. Fu attivista del Partito Radicale durante la segreteria di Giuseppe Rippa.

L’attività giornalistica

Da Torre Annunziata si occupò principalmente di cronaca nera e quindi di camorra, studiando e analizzando i rapporti e le gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano il comune e i suoi dintorni. Fu in questo periodo che iniziò anche a collaborare con l’Osservatorio sulla Camorra, periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Al quotidiano Il Mattino faceva riferimento alla redazione distaccata di Castellammare di Stabia. Pur lavorando come corrispondente da giornalista frequentava stabilmente la redazione del comune stabiese: il suo sogno era strappare il contratto da praticante giornalista professionista per poi poter sostenere l’esame e diventare giornalista professionista.

Lavorando per Il Mattino, Siani riuscì ad approfondire la conoscenza del mondo della camorra, dei boss locali e degli intrecci tra politica e criminalità organizzata, scoprendo una serie di connivenze che si erano stabilmente create, all’indomani del terremoto in Irpinia, tra esponenti politici oplontini e il boss locale, Valentino Gionta, che, da pescivendolo ambulante, aveva costruito un business illegale. Gionta era partito dal contrabbando di sigarette, per poi spostarsi al traffico di stupefacenti, e infine controllando l’intero mercato di droga nell’area torrese-stabiese.

Le inchieste sulla camorra

Le vigorose denunce del giovane giornalista lo condussero ad essere regolarizzato nella posizione di corrispondente (articolo 12 del contratto di lavoro giornalistico) dal quotidiano nell’arco di un anno. Le sue inchieste scavavano sempre più in profondità, tanto da arrivare a scoprire la moneta con cui i boss mafiosi facevano affari. Siani con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, ottenute da Giancarlo grazie ad un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, indussero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista.

In quell’articolo Siani ebbe modo di scrivere che l’arresto del boss Valentino Gionta fu reso possibile da una “soffiata” che esponenti del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Il boss oplontino fu infatti arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli, comune a Nord di Napoli. Secondo quanto successivamente rivelato dai collaboratori di giustizia, l’arresto di Gionta fu il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino per ottenerne un patto di non belligeranza.

La pubblicazione dell’articolo suscitò le ire dei fratelli Nuvoletta che, agli occhi degli altri boss partenopei e di Cosa Nostra (di cui erano gli unici componenti non siciliani), facevano la figura degli “infami”, ossia di coloro che, contrariamente al codice degli uomini d’onore della mafia, intrattenevano rapporti con le forze di polizia. Da quel momento i capo-clan Lorenzo ed Angelo Nuvoletta tennero numerosi summit per decidere in che modo eliminare Siani, nonostante la reticenza di Valentino Gionta, incarcerato. A ferragosto del 1985 la camorra decise di uccidere Siani, che doveva essere assassinato lontano da Torre Annunziata per depistare le indagini. Giancarlo lavorava sempre alacremente alle sue inchieste e stava per pubblicare un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto.

L’omicidio

Il 23 settembre 1985, appena giunto sotto casa sua con la propria Citroën Méhari con capote in tela, Giancarlo Siani venne ucciso. Gli sparò una squadra di almeno due assassini mentre era seduto nell’auto. Fu colpito 10 volte in testa da due pistole Beretta 7.65mm: l’agguato avvenne alle 20.50 circa, sotto la sua abitazione, in via Vincenzo Romaniello, a pochi passi da piazza Leonardo, nel quartiere napoletano dell’Arenella.

Per catturare i suoi assassini ci son voluti ben 12 anni e tre pentiti e il motivo del suo omicidio, al di là della sua attività d’inchiesta giornalistica sul fronte della commistione tra criminalità organizzata e politica locale, era lo specifico interesse sugli appalti pubblici per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell’Irpinia del 1980 nei dintorni del Vesuvio.

 

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