Cronaca

Un anno dall’alluvione in Emilia Romagna: nessuna prevenzione da parte del Governo per prevenire i nuovi disastri

È passato un anno dall’alluvione in Emilia Romagna, il Governo Meloni in 12 mesi non ha fatto nulla per prevenire nuovi disastri o di mitigarne gli effetti. A parlarne Gabriele Bollini, docente di progettazione e pianificazione sostenibile presso l’Università di Modena e Chiara di Mambro, responsabile decarbonizzazione del think-tank.

Un anno fa l’alluvione in Emilia Romagna

Un anno fa la Romagna e parte dell’Emilia affrontavano una delle peggiori alluvioni della storia recente. Una perturbazione eccezionale stazionò per giorni sopra città come Cesena, Forlì, Faenza, Ravenna. In pianura i fiumi hanno sfondato gli argini travolgendo macchine, case, persone. Sull’Appennino furono migliaia le frane che bloccarono le strade e reso inabitabili gli appartamenti.

Alluvione in Emilia Romagna


Ci furono paesi come Monzuno, sulle prime montagne bolognesi, che rimasero isolati per giorni. A valle piccole comunità come Lugo o Sant’Agata sul Santerno, coperte dal fango, sono diventate il simbolo dell’evento. Il bilancio finale fu di diciassette morti e dieci miliardi di danni.

Un anno dopo l’alluvione: il bilancio

Un anno dopo, è tempo di bilanci. Assieme agli indennizzi agli alluvionati, sul cui ritardo si è scritto molto, c’è il tema della ricostruzione. Cosa si è fatto per evitare che qualcosa di simile si ripeta? “Nulla, non si è fatto nulla“, è la risposta di Gabriele Bollini, docente di progettazione e pianificazione sostenibile presso l’Università di Modena e relatore di una proposta di legge urbanistica per l’Emilia Romagna promossa da Legambiente e Rete Emergenza Climatica e Ambientale.
Prevenire tragedie come quelle dell’alluvione in Romagna è un lavoro che si compone di due fasi. La prima è l’adattamento del territorio, che comprende la lotta al dissesto idrogeologico di cui molto parla la politica. È l’insieme di quegli interventi che rendono le comunità sicure, adatte ad affrontare eventi meteorologici estremi. L’altro lato è la mitigazione.

Il 22 aprile la giunta regionale ha preso atto del piano provvisorio del Commissario speciale sulla prevenzione. Cosa dice questo piano?

“Ciò che abbiamo sempre sostenuto con le proposte urbanistiche presentate negli anni. Non bisogna ricostruire, ma riprogettare. Bisogna rallentare la corsa delle acque e, quindi, ridare spazio ai fiumi. Pensare di essere al sicuro semplicemente alzando gli argini o facendo manutenzione è un’illusione. Prendete l’alluvione nella piana toscana di novembre. Lì gli argini erano a posto, c’erano le casse di compensazione. Ma si è allagato tutto comunque. Il punto è che nelle alluvioni i corsi d’acqua si riprendono lo spazio che era loro. Un fiume come il Piave, ad esempio, arriva fino a tre chilometri di letto. Non significa che ci sia sempre tutta quell’acqua, ma che nei momenti eccezionali le piogge trovano spazio per sfogare. Se su quel letto costruissimo, ecco che arrivano i problemi”. La strada del restituire terreno ai fiumi è spesso indicata dagli esperti. Ma le autorità ascoltano? “A Faenza, dopo l’alluvione, si stava per costruire su un terreno alluvionato. Per fortuna sono stati fermati”.

afferma il commissario.

Se sui territori è necessario riprogettare, a livello nazionale si pone il problema della crisi climatica. Sull’ipotesi che l’aumento delle temperature medie globali abbia giocato un ruolo nell’alluvione di un anno fa si dibatte ancora. Nei giorni immediatamente seguenti al disastro il World Weather Attribution, un centro di ricerca internazionale specializzato nell’analisi di eventi meteorologici estremi, pubblicò un pre-print, cioè uno studio non ancora sottoposto a revisione di altri scienziati. Quella ricerca stimò che un’alluvione simile in quella zona capiti una volta ogni 200 anni, e non trovò prove di un legame con la crisi climatica. Quattro climatologi italiani risposero con un articolo su un blog specializzato, contestando in parte le conclusioni dello studio e auspicando ulteriori indagini. Di certo rimane che l’IPCC, il massimo organo mondiale in campo climatico, prevede per l’area mediterranea una crescita di fenomeni meteo estremi proprio a causa del climate change.

La riduzione delle emissioni è un problema globale, ma le decisioni di un paese del G7 come l’Italia, tra i più industrializzati al mondo, sono particolarmente importanti.

“Il governo continua a prendere impegni virtuosi a livello internazionale. Ma alla prova dei fatti non si traducono adeguatamente in politiche. Il clima deve diventare una priorità al pari, per dire, del Servizio Sanitario Nazionale. Cosa succederà se trascuriamo il problema. L’alluvione in Emilia Romagna è l’esempio perfetto. Vediamo già oggi gli effetti della crisi climatica, e se non la fermiamo peggioreranno: nubifragi certo, ma anche siccità e incendi”.

spiega Chiara di Mambro, responsabile decarbonizzazione del think-tank.


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