Almanacco

Il 15 agosto del 1992 ci lascia Giorgio Perlasca, uno dei 525 italiani “Giusti tra le Nazioni”

Il nome di Giorgio Perlasca compare nell’elenco dei 525 italiani Giusti tra le Nazioni, ossia i “non ebrei” che hanno rischiato la propria vita per salvare quella dei perseguitati dal genocidio nazista. Grazie alle sue eroiche imprese ha ricevuto importanti onorificenze riconosciutegli dai governi italiano, israeliano, spagnolo e ungherese.

15 agosto 1992: muore Giorgio Perlasca, un eroe ai tempi della Shoah

Giorgio Perlasca nasce a Como il 31 gennaio del 1910 (la famiglia era originaria di quella città). Il padre, Carlo, nel 1906 si era laureato in Giurisprudenza alla Università di Padova e sempre a Padova nello stesso anno si era sposato iniziando a lavorare nel campo assicurativo. Nel 1913 era diventato segretario comunale a Carrara San Giorgio in provincia di Padova (ora Due Carrare) sino al 1922; dal 1922 divenne segretario comunale a Maserà di Padova sino alla sua morte nel 1938.

Anni Venti


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Il noto attore Luca Zingaretti in “Perlasca – Un eroe italiano il film”, una miniserie televisiva che narra le vicende di Giorgio Perlasca.

Negli anni Venti aderisce con entusiasmo al fascismo, in particolar modo alla versione dannunziana e nazionalista. Tanto che per sostenere le idee di D’Annunzio litiga pesantemente con un suo professore che aveva condannato l’impresa di Fiume, e per questo motivo è espulso per un anno da tutte le scuole del Regno.

Anni Trenta

In gioventù aderì al Partito Nazionale Fascista e nel 1930 si arruolò nelle Camicie nere. Nel 1936 prese parte come volontario alla guerra d’Etiopia con la divisione “28 ottobre” della Milizia e nel 1937 alla guerra civile di Spagna, nel Corpo Truppe Volontarie, a fianco dei nazionalisti del generale Francisco Franco, dove rimase come artigliere fino al termine del conflitto, nel maggio 1939, quand’era ventinovenne. In questi anni, avendo il ruolo di comunicare ordini tra settori differenti dell’esercito, apprese lingua e cultura spagnole.


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Rientrato in Italia, iniziò ad allontanarsi dal fascismo, in particolare non condividendo la promulgazione delle leggi razziali e l’alleanza con la Germania siglata quell’anno.

Nel 1939 fu richiamato nelle vesti di sergente maggiore per gestire l’istruzione teorica e storica di un reggimento padovano d’artiglieria. Nel novembre successivo chiese e ottenne finalmente una licenza militare indeterminata. Decise quindi di lasciare l’Italia occupandosi di attività commerciali.

Anni Quaranta

Perlasca, che nel 1940 si era sposato in Italia, si trovò a lavorare prima in Croazia, Serbia e Romania e, dal 1942, in Ungheria a Budapest, in qualità di agente venditore per una ditta di Trieste, la SAIB (Società Anonima Importazione Bovini), con permesso diplomatico.


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Il giorno dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) si trovava ancora nella capitale ungherese e, prestando fedeltà al giuramento fatto al Regno d’Italia, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Per questo motivo si trovò a essere ricercato dai tedeschi. Arrestato ed internato, fuggì e cercò rifugio presso l’ambasciata spagnola.

La leggenda di Jorge Perlasca

Grazie a un documento che portava con sé, attestante la partecipazione alla guerra civile spagnola e che gli garantiva assistenza diplomatica, ottenne dall’ambasciata una cittadinanza fittizia e un passaporto spagnoli, intitolati all’inesistente «Jorge Perlasca». Tra le altre mansioni, fu impegnato con l’ambasciatore Ángel Sanz Briz nel tentativo di salvare gli ebrei di Budapest, ospitati in apposite «case protette» soggette all’extraterritorialità per la copertura diplomatica, dietro il rilascio di salvacondotti, gratuiti, al contrario dell’ambasciata di Svizzera.


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Tale operazione era stata organizzata con la collaborazione di alcune ambasciate di altre nazioni e una generale e iniziale tolleranza del governo ungherese. Quando, nel novembre 1944, Sanz Briz decise di lasciare Budapest e l’Ungheria per non riconoscere il governo filonazista ungherese, Perlasca decise di restare e spacciarsi per il sostituto del console partente, all’insaputa dello stesso e della Spagna, redigendo di suo pugno la nomina a diplomatico, con timbri e carta intestata.

Da quel momento Perlasca si trovò a gestire il “traffico” e la sopravvivenza di migliaia di ebrei, nascosti nell’ambasciata e nelle case protette sparse per la città, come similmente cercavano di fare il diplomatico svedese Raoul Wallenberg e il nunzio apostolico Angelo Rotta. Tra il 1º dicembre 1944 e il 16 gennaio 1945, Perlasca rilasciò migliaia di finti salvacondotti che conferivano la cittadinanza spagnola agli ebrei, arrivando a strappare letteralmente dalle mani delle Croci Frecciate i deportati sui binari delle stazioni ferroviarie.

L’eroica impresa a Budapest e la fine di Jeorge Perlasca

Sventò inoltre l’incendio e lo sterminio nel ghetto di Budapest con 60.000 ebrei ungheresi, intimando direttamente al ministro degli interni ungherese Gábor Vajna una fittizia ritorsione legale ed economica spagnola sui “circa 3000 cittadini ungheresi” – in realtà poche decine – dichiarati da Perlasca come residenti in Spagna, assicurando di fare pressione per avere lo stesso trattamento da parte di altri due governi latinoamericani. Tale salvataggio è stato generalmente attribuito a Raoul Wallenberg, in seguito alle dichiarazioni di Pál Szalai che, processato per crimini di guerra, affermò di averne concordato personalmente con lo svedese i termini: Wallenberg era già morto quando Szalai fece le proprie dichiarazioni, poi smentite da Perlasca e spiegate nella volontà di Szalai di costruire la propria innocenza dai crimini.


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Una stele ed un albero dedicato a Perlasca al Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme.

Curò infine personalmente l’organizzazione e l’approvvigionamento dei viveri, recandosi ogni giorno presso le abitazioni, e utilizzando gli scarsi fondi dell’ambasciata, poi i propri e quindi studiando e applicando un sistema equo di autotassazione sui rifugiati, basato sugli averi di ciascuno.[9] Grazie all’opera di Perlasca, 8000 ebrei furono direttamente salvati dalla deportazione. Dopo l’entrata a Budapest dell’Armata Rossa, Perlasca dovette abbandonare il suo ruolo di diplomatico spagnolo, in quanto filo-fascista e perciò ricercato dai sovietici.

Dopoguerra

Riuscito a tornare nell’agosto 1945 in Italia via Istanbul, redasse e inviò un primo promemoria per evitare eventuali imputazioni dal governo spagnolo e poi un memoriale in tre copie sulle attività svolte, che consegnò all’ambasciata spagnola e al Governo Italiano, tenendo una copia per sé. Scrisse anche all’ambasciatore che aveva sostituito, Sanz Briz, che lo avvertì mestamente di non aspettarsi alcun riconoscimento per l’opera svolta. Scrisse anche ad Alcide De Gasperi, che non rispose.


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Perlasca con il presidente della Repubblica Francesco Cossiga il 30 giugno 1990.

Non raccontò la propria vicenda né alla famiglia, né alla stampa e si rivolse piuttosto a chi reputava essere il corretto destinatario diplomatico e statale del suo memoriale. Tuttavia, i pochi vertici a cui comunicò la vicenda lo ignorarono per ragioni diplomatiche, politiche o per poca attenzione. Anche lo storico ebreo Jenő Lévai, che pur gli chiese una copia del memoriale e contribuì poi a comunicare il suo nome, omise di raccontarne la vicenda nel suo “Libro nero”, presumibilmente per ragioni politiche. Soltanto nel 1961 sul Resto del Carlino del 12 giugno apparve un primo articolo di Giuseppe Cerato che raccontava la sua vicenda, senza però risonanza; stessa sorte ebbe un articolo di fine anni 1960 su La Stampa firmato da Furio Colombo.

La famiglia seppe del memoriale da lui redatto solo a seguito dell’ictus di cui fu vittima nel 1980, quando decise di avvertire i parenti della sua esistenza qualora fosse deceduto, per poi però continuare a custodirlo senza comunicarne i contenuti una volta ripresosi. Ne conobbero i contenuti solo nel 1987, quando la vicenda divenne pubblica.

Riconoscimento internazionale

Nel 1987 alcune donne ebree ungheresi residenti in Israele rintracciarono finalmente Perlasca (reputato da molti un cittadino spagnolo di nome Jorge, vista l’identità che aveva assunto) e divulgarono la sua storia di coraggio e solidarietà.


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Busto dedicato a Giorgio Perlasca situato all’entrata dell’istituto di cultura italiano a Budapest.

Ancora in vita, Perlasca ricevette per la sua opera numerose medaglie e riconoscimenti. Il 23 settembre 1989 fu insignito da Israele del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Al museo Yad Vashem di Gerusalemme, nel vialetto dietro al memoriale dei bambini è stato piantato un albero a lui intitolato. Anche a Budapest, nel cortile della sinagoga, il nome di Perlasca appare in una lapide che riporta l’elenco dei Giusti.

La vicenda acquisì poi finalmente notorietà anche in patria, grazie ai giornalisti Enrico Deaglio (che scrisse su di lui il libro La banalità del bene) e Giovanni Minoli, che accettò la proposta di Deaglio di realizzare un’inchiesta su Perlasca, dedicandogli ampio spazio nella trasmissione televisiva Mixer. Solo nell’ottobre 1991 fu insignito dal governo italiano dell’onorificenza di Grande Ufficiale, mentre nel dicembre 1991 il Senato approvò un vitalizio annuo, che Perlasca rifiutò.

Morte e altre dediche

Morì nove mesi dopo a Padova, nell’agosto 1992, all’età di 82 anni, per un attacco di cuore. È sepolto a Maserà di Padova. In Israele gli è stata dedicata una foresta, in cui sono stati piantati 10.000 alberi, a simboleggiare le vite degli ebrei da lui salvati in Ungheria. In Italia, su iniziativa del figlio Franco, è stata istituita la Fondazione Giorgio Perlasca. Molte scuole e vie sono a lui dedicate.


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Memoriale dei Giusti tra le nazioni nel parco Raoul Wallenberg di Budapest; nella lista dei nomi, quello di Giorgio Perlasca.

Nel 1997 è stato pubblicato da Il Mulino il suo memoriale, con il titolo L’impostore. Giovanni Minoli ne ha riassunto la vicenda così:

«Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto. […] È stato anche faticoso farglielo raccontare, non si era mai sentito preso sul serio, aveva interiorizzato la tragedia, era troppo grossa da raccontare l’impresa, un po’ come dire “ho visto i marziani”, e lui li aveva visti davvero. […] La sensazione è che l’enormità dell’azione ha vissuto con la sua progressiva ritrosia a raccontarla perché erano troppo forti i silenzi culturali e politici, e questo insieme di cose lo ha fatto andare sotto traccia. Con Perlasca il conto non tornava: un ex fascista era stato un eroe vero nella salvezza degli ebrei» – Giovanni Minoli.

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