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13 aprile 1970: si consumò lo spettacolare fallimento dell’Apollo 13

51 anni fa la tragedia sfiorata dell'Apollo 13: una missione segnata fin dalla partenza

13 aprile 1970: due giorni dopo la partenza, quando la navicella si trovava a metà strada circa tra la Terra e la Luna, un serbatoio dell’ossigeno liquido esplose, danneggiando irreparabilmente l’Odyssey, così si chiamava il modulo di comando (dove alloggiava l’equipaggio), e privandolo di elettricità.

13 aprile 1970: l’incidente nello spazio dell’Apollo 13

Alle ore 21.08 del 13 aprile 1970, l’astronauta Jack Swigert, membro dell’equipaggio dell’Apollo 13, comunica al quartier generale della Nasa: «Okay Houston, abbiamo avuto un problema, qui» a cui subito dopo Lovell fece eco: «Houston, abbiamo avuto un problema. Abbiamo avuto un calo di tensione sul pannello principale B».

Fu l’inizio di uno dei fallimenti più celebrati della storia degli Stati Uniti (e non solo) inerenti alle operazioni spaziali successive all’allunaggio.


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Da sinistra: Deke Slayton, Ken Mattingly, Vance Brand, Jack Lousma, John Young, durante l’incidente.

La corsa allo spazio

A seguito del primo storico sbarco sulla luna nel 1969 gli Stati Uniti avevano offuscato i primati sovietici dello Sputnik e di Gagarin, conquistando così il primato nella corsa allo spazio.

Fu sull’onda dell’entusiasmo che la NASA avviò altre due spedizioni sul finire degli anni Sessanta.

Venne designato come comandante della nave spaziale Apollo 13 l’astronauta veterano James Lovell, seguito da Fred Haise e Charles Duke. L’obbiettivo era arrivare all’altopiano di Fra Mauro sulla Luna.


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Il modulo di servizio danneggiato (dopo essere stato espulso poco prima della fine della missione), si nota il pannello mancante staccatosi a seguito dell’incidente.

L’incidente

Dopo il lancio, avvenuto l’11 aprile a Cape Canaveral il viaggio procedette in modo regolare per 55 ore, finchè tramite radio la voce di Lovell scandì la celebre frase “Houston, abbiamo un problema“.

Prima ci fu un’esplosione, poi i comandi dell’Apollo impazzirono, prospettando un quadro poco confortante. La nave stava perdendo ossigeno da un serbatoio.

I tecnici NASA si misero immediatamente al lavoro per cercare soluzioni per limitare il livello di anidride carbonica e rintracciare l’energia elettrica necessaria per il rientro. La resistenza degli astronauti fu messa alla prova per l‘assenza di viveri e acqua potabile e alle basse temperature.


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Il centro di controllo missione durante la trasmissione televisiva poco prima dell’incidente.

Lovell riuscì così a compiere una vera e propria impresa, spostando manualmente una traiettoria mai tentata in precedenza e con dei calcoli a mano, riuscì ad impostare la rotta e usare una capsula come scialuppa di salvataggio.

L’eroico salvataggio di Lovell

Tutti stavano lì col fiato sospeso, attendendo spasmodicamente il ritorno degli astronauti sulla terra. La capsula fece il suo atterraggio in mare e la voce di Lovell tranquillizzò tutti sulle condizioni di salute dei tre.

Si è trattato probabilmente del fallimento chiacchierato ed epico nella storia degli States e dell’umanità.


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Da sinistra a destra: Lovell, Swigert e Haise, dodici giorni dopo il loro ritorno.

 

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