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Trilussa: autentico genio della favola, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco

Trilussa è lo pseudonimo anagrammatico con cui è divenuto celebre il poeta romanesco Carlo Alberto Salustri, un libero inventore della metrica variata

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.

Autore di sonetti, nei quali raffigurò la Roma borghese e piccolo borghese, Trilussa abbandonò assai presto, quasi completamente, questa forma espressiva, per passare alla creazione, intorno al 1907, d’un tipo di favola innovativa per l’epoca. Tra le raccolte: Quaranta sonetti romaneschi (1895), Ommini e bestie (1914), Lupi e agnelli (1919).

Trilussa, celebre scrittore italiano

Carlo Alberto Camillo Salustri nasce a Roma il 26 ottobre 1871 da Vincenzo, cameriere originario di Albano Laziale, e Carlotta Poldi, sarta bolognese. Secondogenito dei Salustri, venne battezzato il 31 ottobre nella chiesa di San Giacomo in Augusta, con l’aggiunta di un quarto nome, Mariano. Un anno dopo, nel 1872, la sorella Elisabetta morì all’età di tre anni a causa di una difterite. L’infanzia travagliata del giovane Carlo venne colpita nuovamente due anni dopo, il 1º aprile 1874, a causa della morte del padre Vincenzo. Carlotta Poldi, dopo la morte del marito, decise di trasferirsi con il piccolo Carlo in via Ripetta, dove rimase per soli undici mesi, per poi trasferirsi nuovamente, nel palazzo in piazza di Pietra del marchese Ermenegildo Del Cinque, padrino di Carlo.


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Ritratto del Trilussa a cura di Filippo Chiappini.

Nel 1877 Carlotta iscrisse suo figlio alle scuole municipali San Nicola, dove Carlo frequentò la prima e la seconda elementare. In seguito, nell’ottobre 1880, sostenne l’esame per essere ammesso al Collegio Poli dei Fratelli delle scuole cristiane, ma avendo sbagliato una semplice sottrazione, fu costretto a ripetere il secondo anno. A causa della sua negligenza e dello scarso impegno dovette ripetere anche la terza classe per poi, nel 1886, abbandonare definitivamente gli studi formali, nonostante le pressioni della madre, dello zio Marco Salustri e del professor Chiappini, che insistettero affinché Carlo continuasse a studiare.

Esordi e le Stelle de Roma

Ritratto da Filippo Chiappini, mentore di Trilussa che insistette affinché egli continuasse gli studi; in una lettera indirizzata alla madre Carlotta scrive: «Mandatelo a prendere quest’esame a Rieti, a Terni o in qualche altro paese dove non abbia a soffrire un’umiliazione che gli sarebbe penosa, e tornato qui con la sua licenza fatelo iscrivere all’Istituto e fategli studiare Ragioneria. Con tre anni d’Istituto egli può prendere la licenza tecnica e può ottenere un impiego governativo […] Non mi dite che è tardi, perché non è vero».


Trilussa


Nel 1887, all’età di sedici anni, presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione. Il sonetto di ispirazione belliana, intitolato L’invenzione della stampa, partendo dall’invenzione di Johann Gutenberg sfociava, nelle terzine finali, in una critica alla stampa contemporanea: «Così succedeva, caro patron Rocco, che quando andavi nelle librerie acquistavi un libro con cinque centesimi. Mentre adesso ci sono tanti libri e giornali fatti male che per cinque centesimi dicono moltissime sciocchezze».

Zanazzo accettò di pubblicare il sonetto, che apparve nell’edizione del 30 ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da questa prima pubblicazione iniziò un’assidua collaborazione con il periodico romano, grazie anche al sostegno e all’incitamento di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il giovane Trilussa a pubblicare, tra il 1887 e il 1889, cinquanta poesie e quarantuno prose.

Poesie per il Rugantino

Tra le tante poesie stampate tra le pagine del Rugantino, riscossero un successo clamoroso le Stelle de Roma, una serie di circa trenta madrigali che omaggiavano alcune delle più belle fanciulle di Roma. A partire dalla prima stella, pubblicata il 3 giugno, le poesie dedicate alle donzelle romane acquistarono progressivamente popolarità tale da coinvolgere l’intera redazione del Rugantino. Più autori, celati dietro a pseudonimi, si cimenteranno nella stesura di poesie intitolate a stelle sulla falsariga di quelle trilussiane.


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Trilussa in compagnia dello scultore Nicola D’Antino e del pittore Francesco Paolo Michetti.

La popolarità che ottennero le sue composizioni spinse Trilussa a selezionarne venti e, dopo aver effettuato un lavoro di revisione durante il quale apportò sostanziali modifiche alle poesie scelte, le pubblicò in quella che sarà la sua prima raccolta di poesie, Stelle de Roma. Versi romaneschi, pubblicata nel 1889 da Cerroni e Solaro. Tuttavia l’improvvisa popolarità portò con sé le critiche dei belliani, che lo attaccarono per i temi trattati e lo accusarono di utilizzare un romanesco amalgamato all’italiano. Tra questi ci fu lo stesso Filippo Chiappini, che con lo pseudonimo di Mastro Naticchia canzonò il suo pupillo per mezzo di due poesie pubblicate sul Rugantino.

Dopo la pubblicazione della sua prima opera, le collaborazioni con il Rugantino diminuirono di frequenza; tuttavia Trilussa rimase fortemente legato all’editore Perino, con cui pubblicò, nel 1890, l’almanacco Er Mago de Bborgo. Lunario pe’ ‘r 1890, una ripresa dell’omonimo almanacco ideato nel 1859 dal poeta romanesco Adone Finardi, realizzato in collaborazione con Francesco Sabatini, in arte Padron Checco, e il disegnatore Adriano Minardi, in arte Silhouette. Trilussa scrive per l’almanacco un sonetto per ogni mese dell’anno, con in aggiunta un componimento di chiusura e alcune prose in romanesco.

 

Il Don Chisciotte e le favole rimodernate

L’esperienza del lunario venne ripetuta anche l’anno successivo con Er Mago de Bborgo. Lunario pe’ ‘r 1891: questa volta i testi sono tutti di Trilussa, senza la collaborazione di Francesco Sabatini, ma accompagnati nuovamente dai disegni di Silhouette. Nel frattempo il poeta romano collaborò con vari periodici, pubblicando poesie e prose su Il Ficcanaso.

Almanacco popolare con caricature per l’anno 1890, Il Cicerone e La Frusta. Ma la collaborazione più importante per Trilussa giunse nel 1891, quando iniziò a scrivere per il Don Chisciotte della Mancia, un quotidiano di diffusione nazionale, alternando articoli satirici che prendevano di mira la politica di Crispi e cronache cittadine. La produzione sul giornale si infittì nel 1893, quando il quotidiano cambiò denominazione diventando Il Don Chisciotte di Roma, e Trilussa, a ventidue anni, entrò a far parte del comitato redazionale del giornale.


Trilussa


Fu in questo periodo che Trilussa preparò la pubblicazione del suo secondo volume di poesie, Quaranta sonetti romaneschi, una raccolta che a dispetto del nome contiene quarantuno sonetti, selezionati prevalentemente dalle recenti pubblicazioni su Il Don Chisciotte di Roma e in parte dalle poesie più datate pubblicate sul Rugantino; la raccolta, pubblicata nel 1894, segnò l’inizio della collaborazione tra Trilussa e l’editore romano Voghera, rapporto che si prolungherà per i successivi venticinque anni.

La Cecala e la Formica e altre grandi pubblicazioni

Come riporta “Wikipedia” sul giornale di Luigi Arnaldo Vassallo che nasce, tra il 1885 e il 1899, il Trilussa favolista: sono dodici le favole del poeta che comparvero sul Don Chisciotte; la prima tra queste fu La Cecala e la Formica, pubblicata il 29 novembre 1895, che oltre ad essere la prima favola scritta e da Trilussa, è anche la prima delle cosiddette favole rimodernate, che Diego De Miranda, il redattore della rubrica Tra piume e strascichi, in cui la favola fu pubblicata, annunciò così:


Una poesia del Trilussa.

«Favole antiche colla morale nuova. Trilussa, da qualche tempo, non pubblica sonetti: non li pubblica perché li studia. Si direbbe che, acquistando la coscienza della sua maturità intellettuale, il giovane scrittore romanesco senta il dovere di dare la giusta misura di sé, di ciò che può, della originalità del suo concepimento. E osserva e tenta di fare diversamente da quanto ha fatto finora. E ha avuto un’idea, fra l’altro, arguta e geniale: quella di rifare le favole antiche di Esopo per metterci la morale corrente» – Diego De Miranda.

Difficoltà economiche

Quando De Miranda afferma che il poeta romano non pubblica più sonetti perché li studia, probabilmente si riferisce alla raccolta che Trilussa sta preparando, e di cui lui è a conoscenza, che vedrà la luce solamente nel 1898, stampata presso la Tipografia Folchetto col titolo Altri sonetti. Preceduti da una lettera di Isacco di David Spizzichino, strozzino.

Il curioso titolo dell’opera ha origine da un episodio che i biografi considerano reale: Trilussa, in difficoltà economiche, chiese un prestito a Isacco di David Spizzichino, un usuraio, garantendogli di restituirli dopo la pubblicazione del suo successivo libro. Ma il libro tardò ad essere pubblicato, e Isacco mandò una lettera perentoria al poeta; Trilussa decise di riportare la vicenda con l’allegria e l’ironia che lo contraddistinsero sempre: inserì nella raccolta una dedica al suo usuraio e la lettera intimidatoria a mo’ di prefazione dell’opera.


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Monumento a Trilussa, nell’omonima piazza di Roma, tra il quartiere Trastevere e Ponte Sisto.

Nel frattempo il poeta romano iniziò a diventare dicitore dei suoi versi, che declamava in pubblico nei circoli culturali, nei teatri, nei salotti aristocratici e nei caffè concerto, luogo prediletto da Trilussa, simbolo della Belle Époque. Senza conoscere il tedesco, nel 1898 Trilussa si avventurò nella sua prima esperienza estera, a Berlino, accompagnato dal trasformista Leopoldo Fregoli.

Trilussa dicitore

Sulla scia del successo iniziò a frequentare i “salotti” nel ruolo di poeta-commentatore del fatto del giorno. Durante il Ventennio evitò di prendere la tessera del Partito fascista, ma preferì definirsi un non fascista piuttosto che un antifascista. Pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni e improntati a reciproco rispetto. Nel 1922 la Arnoldo Mondadori Editore iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte. Sempre nel 1922 lo scrittore entra in Arcadia con lo pseudonimo di Tibrindo Plateo, che fu anche quello del Belli.


Trilussa


Fu padrino di battesimo del giornalista e radiocronista sportivo Sandro Ciotti. Il Presidente della repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1º dicembre 1950, venti giorni prima che morisse (si legge in uno dei primi numeri di “Epoca” dedicato, nel 1950, alla notizia del suo decesso, che il poeta, già da tempo malato, e presago della fine imminente, con immutata ironia, avesse commentato: “M’hanno nominato senatore a morte“; resta il fatto che Trilussa, benché settantanovenne al momento del trapasso, si ostinava con civetteria d’altri tempi a dichiarare di averne 73).

Morte

Le sue ultime parole, pronunciate quasi sfarfugliando alla fedelissima domestica Rosa Tomei, pare siano state: “Mò me ne vado”. Morì il 21 dicembre del 1950; lo stesso giorno di Giuseppe Gioachino Belli, altro poeta romanesco, e di Giovanni Boccaccio. Era alto quasi due metri, come testimoniano le foto a corredo della notizia della sua morte, pubblicate dal settimanale mondadoriano “Epoca” nel 1950.


Trilussa


È sepolto nello storico Cimitero del Verano in Roma, dietro il muro del Pincetto sulla rampa carrozzabile, nella seconda curva. Sulla sua tomba in marmo è scolpito un libro, sul quale è incisa la poesia Felicità. La raccolta di Tutte le poesie uscì postuma, nel 1951, a cura di Pietro Pancrazi, e con disegni dell’autore.

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