Cronaca

Coronavirus: Italia terza al mondo per tasso di mortalità, la causa sono le malattie croniche

"È una popolazione anziana e fragile e questo sicuramente è la spiegazione più rilevante" afferma Giovanni Maga del Cnr

L’Italia è il terzo Paese al Mondo per tasso di letalità del Coronavirus. Ad affermarlo è un report della Johns Hopkins University secondo il quale al primo posto c’è il Messico, con il 9,8%, seguito dall’Iran con il 5,8%, e l’Italia con il 3,8%.

Segue la Gran Bretagna, con il 3,7%, mentre altri grandi Paesi hanno dati assai migliori: 2,8% la Spagna, 2,2% la Francia; persino gli Usa, se si va oltre i numeri assoluti, hanno un dato migliore (2,2%).

Covid e patologie pregresse: l’Italia è un paese vecchio e malato

I motivi, spiega all’Agi Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm), sono da ricercare soprattutto nella struttura anagrafica e sociale del Paese: “Abbiamo un’età media elevata – ricorda – tra le più alte d’Europa, ma non solo: i nostri anziani non sono molto sani, sono tante le patologie croniche che colpiscono la popolazione, normalmente gestite senza grandi problemi. Diabete, ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari.”

“Ma sappiamo che queste malattie, associate al Covid, possono aggravare il quadro clinico, fino purtroppo al decesso“. Dopo anni a sottolineare, con giusto orgoglio, che gli italiani vivono mediamente di più, è il Coronavirus a ricordarci l’altra faccia della medaglia: si vive di più, ma male.

Una popolazione anziana e fragile

È una popolazione anziana e fragile – conferma Maga – e questo sicuramente è la spiegazione più rilevante“. Tanto più che “durante la prima ondata si attribuiva l’altissimo tasso di letalità alle difficoltà nell’assistenza. Se poteva essere vero a marzo lo è meno adesso. Pur con tutte le difficoltà la situazione del sistema nel suo insieme è diversa”.

Allora un’altra variabile da considerare, secondo il genetista del Cnr, “è la struttura sociale. Gli anziani da noi sono molto più coinvolti, stanno di più in famiglia, suppliscono alle carenze del welfare occupandosi dei nipoti. Questo chiaramente alza il livello di rischio. Senza contare poi le criticità emerse nelle Rsa, che erano palesemente impreparate, non tanto per mancanza di strumentazioni o personale ma proprio a livello culturale“.

Una tesi presente già dalla prima ondata

C’è poi un’altra tesi che serpeggia già dalla prima ondata, “non infondata” come sottolinea Maga: ossia che “la classificazione dei decessi non sia omogenea nei vari Paesi. Come si stabilisce la causa prima di morte? Se una persona positiva muore di infarto come si decide se è morto di infarto o di Covid? Mi pare non ci sia perfetta omogeneità su questo”. In ogni caso, ribadisce l’esperto, “probabilmente è proprio la struttura demografica la causa prima: lo sappiamo perché se scorporiamo i dati della letalità per fasce di età e li ‘normalizziamo’ per tutti i Paesi (come se tutti avessero la stessa percentuale di popolazione anziana), vedremmo tassi di letalità simili“.

Purtroppo per vedere calare i numeri atroci delle ultime settimane “ci vorrà tempo, sappiamo che prima calano i casi, poi i ricoveri, infine i decessi. Ma i dati degli ultimi giorni ci inducono a un cauto ottimismo: la curva che in ottobre accelerava in modo esponenziale sta vistosamente rallentando, e nella prossima settimana mi aspetto si inizino a vedere gli effetti combinati delle varie misure, da quelle di fine ottobre, piuttosto blande, alle chiusure imposte dal 4 novembre in poi. Potremmo sperare di iniziare a vedere un primo calo, e l’obiettivo deve essere quello di abbassare sempre più i nuovi ricoveri per ridurre la forbice con i dimessi, consentendo al sistema in affanno di tornare in equilibrio“.


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