Cronaca

Tre anni fa la tragedia del Ponte Morandi: il crollo, l’inchiesta e le 43 persone morte

Tre anni fa il crollo del Ponte Morandi: 43 morti nella tragedia di Genova consumatasi alle ore 11:36 del 14 agosto 2018

Sono passati tre anni dal crollo del Ponte Morandi. Alle ore 11:36 del 14 agosto 2018 la sezione del ponte che sovrasta la zona fluviale e industriale di Sampierdarena, lunga 250 metri, è improvvisamente collassata insieme al pilone di sostegno numero 9, provocando 43 vittime tra le persone a bordo dei mezzi che transitavano sul ponte e tra gli operai al lavoro nella sottostante isola ecologica dell’AMIU, l’azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti.

Il crollo del ponte ha determinato la chiusura al traffico del raccordo fra A7 e A10 e di numerose strade sottostanti, oltre che della linea ferroviaria di raccordo con il porto, nonché la necessità di evacuare per motivi precauzionali 566 persone residenti nelle case presenti sotto il pilone n. 10.


Nella tragedia del Ponte Morandi sono morte 43 persone | I nomi delle vite spezzate il 14 agosto del 2018


Tre anni fa il crollo del Ponte Morandi

Il Consiglio dei ministri, il 15 agosto, ha dichiarato lo stato di emergenza nel territorio del comune di Genova per la durata di dodici mesi e ha successivamente nominato il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, commissario straordinario per l’emergenza.

Il 18 agosto è stato decretato un giorno di lutto nazionale e, nella stessa data, sono stati celebrati i funerali di Stato per solo 19 delle 43 vittime all’interno del padiglione Blu della Fiera di Genova trasformato in camera ardente celebrati dal cardinale di Genova Angelo Bagnasco e dall’imam di Genova Salah Hussein per le due vittime albanesi alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, del Presidente della Camera Roberto Fico, del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei ministri, del sindaco di Genova Marco Bucci, assieme alle alte cariche politiche, civili e militari; alle esequie erano presenti 8000 persone dentro e fuori la struttura.

A fine agosto sono stati consegnati i primi alloggi ad alcune centinaia di persone residenti nella “zona rossa”, obbligate cautelativamente ad abbandonare le proprie abitazioni nei giorni successivi al crollo. Il comune di Genova e la regione Liguria hanno dichiarato di attendere il via libera dal Consiglio dei Ministri per firmare col dipartimento della Protezione Civile l’ordinanza nazionale che, per i nuclei famigliari che hanno deciso di provvedere privatamente alla ricerca di una nuova abitazione, stanzia un contributo mensile a titolo di rimborso del canone di locazione. A inizio settembre, vi sono state proteste davanti alla sede del consiglio regionale.

 

La dimensione e la gravità dei fatti hanno spinto il Governo a prendere in considerazione un processo di revisione globale del sistema delle concessioni da parte dello Stato, ipotizzando anche la revoca, la risoluzione, la decadenza o il recesso della concessione ad Autostrade per l’Italia. Sono inoltre stati pubblicati, il 27 agosto 2018, gli allegati economici e finanziari, fino a quel momento segreti, relativi a tutte le concessioni autostradali, mentre in precedenza erano stati pubblicati solo i testi privi dei dati monetari: secondo i termini di tale Convenzione, la revoca della concessione comporterebbe l’esborso di una penale di circa 20 miliardi. Tuttavia, più recenti interpretazioni ministeriali evidenziano che il crollo del ponte è configurabile come “grave inadempimento” della Convenzione di affidamento, in quanto il bene affidato (il ponte) avrebbe dovuto essere restituito integro: pertanto l’affidamento sarebbe revocabile senza forti risarcimenti.


ponte morandi genova


Il crollo inoltre ha sollevato dubbi sulla sicurezza di diversi altri ponti e viadotti in Italia, come il viadotto della Magliana a Roma e il ponte San Michele sull’Adda tra le province di Lecco e Bergamo, con conseguenti chiusure per verifiche e interventi di manutenzione.

Il 25 settembre 2018 la commissione ispettiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha ultimato il suo lavoro e presentato la propria relazione sullo stato del ponte e sul crollo. Oltre ad alcune ipotesi provvisorie relative alla dinamica del cedimento, in essa si evidenziano, secondo i commissari, le serie problematiche strutturali presenti e note già da alcuni anni, e a fronte di esse gli scarsi investimenti in manutenzione strutturale straordinaria effettuati dopo la privatizzazione. La relazione è stata acquisita dalla magistratura.

Il 28 settembre 2018 è stato pubblicato il decreto-legge n. 109 (cosiddetto “Decreto Genova”) che conferisce amplissimi poteri (ritenuti anche eccessivi da parte dell’ANAC in quanto viene derogata anche la normativa antimafia) al Commissario per la ricostruzione.

Il 1º luglio 2019 la Procura della Repubblica di Genova ha autorizzato la diffusione di un filmato registrato dalle telecamere private dell’azienda Ferrometal, sita nelle vicinanze del viadotto, dal quale si potrebbe ritenere che il crollo sia stato innescato dal cedimento dello strallo sud della pila 9 in una zona però non visibile nel filmato stesso. Tale filmato era stato sequestrato dai militari della Guardia di Finanza subito dopo la tragedia e non era stato pubblicato fino a quel momento per non influenzare le testimonianze raccolte. Da esso sono stati rimossi alcuni fotogrammi, da parte delle autorità, per evitare il riconoscimento di alcune vittime.

 

Dibattito sul destino del viadotto

Dopo il crollo si è aperto un dibattito tecnico e culturale relativo alle azioni concrete da seguire per ripristinare la viabilità di Genova. Da un lato si è posta l’idea di demolire e ricostruire interamente il ponte, con diverse proposte da parte di molti progettisti fra i quali Santiago Calatrava (che aveva già formulato un suggerimento in tal senso nel 2006), Pierangelo Pistoletti e Renzo Piano. La prospettiva di affidare il progetto ad personam a Piano è stata peraltro criticata dal sindacato di architetti e ingegneri] e dall’ordine degli ingegneri di Napoli, i quali hanno invece sollecitato l’indizione di un concorso pubblico.

D’altro canto alcuni tecnici e docenti universitari hanno evidenziato come a loro avviso, avvalendosi delle tecnologie disponibili e sfruttando assenza del traffico, la residua struttura di Morandi potesse essere resa sicura e ricostruita solo nella parte crollata, impiegando circa un quarto del tempo necessario a una completa demolizione e successiva ricostruzione, evitando inoltre di dover demolire le case e gli stabilimenti industriali sottostanti. Una petizione di architetti e ingegneri strutturisti mirante alla conservazione, al recupero e alla messa in sicurezza del ponte è stata lanciata dal professor Antonino Saggio dell’Università La Sapienza di Roma ed è stata sottoscritta (al 18 ottobre 2018) da 1 620 esperti.

Dello stesso orientamento è anche l’Istituto Nazionale di Architettura, che ha sottolineato il valore ingegneristico e documentale dell’opera e, in una lettera aperta, ha sposato la proposta di consolidare le parti rimanenti e sostituire il pilone crollato con un nuovo segmento, pur in diverso stile e con differenti tecniche costruttive.
Tra i proponenti il ripristino della struttura, anche solo temporaneo, per favorire un successivo nuovo viadotto realizzato in tempi non contingentati e nel rispetto delle regolari normative, l’ingegnere, architetto e docente universitario Enzo Siviero a fine gennaio 2019 richiede nuovamente attenzione su tali ragioni agli organismi preposti. Lo stesso Siviero, a stretto giro esprime poi critiche sui costi preventivati per l’eventuale rifacimento totale del viadotto, a suo dire estremamente elevati rispetto al costo di mercato.

 

Diverse cordate di imprese e progettisti hanno presentato proposte di ripristino del viadotto Polcevera, rispondendo al bando indetto dal Commissario straordinario alla ricostruzione e Sindaco di Genova Marco Bucci; alcune proponevano una sostituzione integrale del viadotto esistente di Morandi, altre un ripristino della sola parte crollata e il rinforzo delle porzioni superstiti. La scelta operata dal Commissario straordinario è tuttavia stata quella di una demolizione di gran parte del viadotto (avviata ufficialmente l’8 febbraio 2019) e la sua successiva sostituzione. Sulla tempistica dei lavori si sono succedute diverse dichiarazioni discordanti.

Maurizio Morandi, figlio del progettista, ha altresì espresso “tristezza” per la “troppo frettolosa scelta” di abbattere il ponte, ritenuto «simbolo di un progresso che l’Italia ha attraversato negli anni 50 e 60 del secolo scorso» e «monito per le conseguenze che l’incuria nell’uso e nella conservazione delle opere».

Il costo del mantenimento parziale del viadotto dotato di campane strallate, secondo la relazione del commissario per la ricostruzione, sarebbe stato sui 128 milioni di euro e avrebbe richiesto da un minimo di otto mesi a un massimo di venti mesi di lavoro.


arresti-aspi-parenti-vittime-crollo-ponte-morandi


La demolizione

il 9 febbraio 2019 sono iniziate le operazioni di demolizione che hanno portato nel corso dell’anno a demolire le porzioni di impalcato di tipologia più tradizionale della parte ovest del viadotto. Il 28 giugno 2019, alle ore 9:37, sono state demolite le parti più caratteristiche e iconiche del ponte, cioè le pile strallate 10 e 11 della porzione est, nonché la rampa di raccordo a cantilever verso Ventimiglia, facendole implodere con cariche di dinamite, operazione eseguita sotto la direzione dell’esplosivista Danilo Coppe. Preventivamente erano anche stati demoliti i condomini sottostanti il ponte.

La demolizione controllata è avvenuta in quattro fasi:

  • Fase 1: per la campata 11, si è effettuato il taglio degli stralli mediante cariche esplosive direzionali, dette “cariche cave”; i sostegni ad A degli stralli sono quindi caduti in direzione ovest.
  • Fase 2: sia alla pila 10 sia alla pila 11 è avvenuta l’elevazione di muri d’acqua tramite cariche esplosive fino a una altezza di circa 90 metri, mitigando in tal modo la diffusione di polveri.
  • Fase 3: sono state fatte collassare le strutture portanti centrali di entrambe le campate, nonché dei pilastri ad A che reggevano gli stralli.
  • Fase 4: sono stati innalzati muri d’acqua alti circa 40 metri ai lati della struttura, al fine di contenere una parte delle polveri generate dal crollo.

Le quattro fasi si sono sviluppate nell’arco di 6 secondi, utilizzando circa 500 inneschi elettronici, oltre 500 kg di dinamite e 5 000 metri di miccia detonante. Il costo della demolizione in quattro mesi è stato di 21,4 milioni di euro; l’operazione è stata eseguita dalla ATI di Fratelli Omini di Milano, Fagioli di Reggio Emilia, IREOS di Genova e IPE Progetti di Torino, con la supervisione dell’impresa di demolizioni Siag di Parma.

In seguito a ciò, l’unica struttura ancora funzionalmente superstite e integra del progetto di Morandi risulta pertanto la sola rampa elicoidale di raccordo verso la A7 e A12; tutto il resto è stato poi sostituito dal nuovo ponte Genova San Giorgio e da tutte le infrastrutture a esso collegate.

Controversie

  • A seguito del crollo, esponenti del governo italiano hanno proposto il ritiro della concessione alla società che gestisce il tratto di autostrada che comprendeva il ponte.
  • Al contempo l’autorità giudiziaria ha avviato una serie di indagini e accertamenti volti a verificare eventuali responsabilità (anche parziali) dei soggetti coinvolti a vari titolo nell’amministrazione e manutenzione dell’opera.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio