Inchiesta

La ‘ndrangheta calabrese: clan e famiglie più potenti in Calabria

[titolo_paragrafo]La ‘ndrangheta in provincia di Crotone[/titolo_paragrafo]

La cosca GRANDE ARACRI, menzionata già con riferimento alla provincia di Catanzaro, rappresenta, attraverso il locale di Cutro, la compagine criminale di riferimento anche per le altre famiglie dell’area, potendo contare, peraltro, su consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria, del capoluogo di regione e dell’alto Jonio cosentino, vantando consolidate proiezioni anche fuori della Calabria, come attestato, nel recente passato, dalle inchieste “Aemilia” ed “Aemilia 1992”. L’azione di contrasto sviluppata e conclusa, nel semestre dalla DIA, ha colpito le compagini imprenditoriali del contesto ‘ndranghetistico in esame.


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Nel mese di febbraio, infatti, sono stati eseguiti due distinti provvedimenti ablativi, uno di sequestro e l’altro di confisca, emessi dai Tribunali di Catanzaro e Crotone, su proposta del Direttore della Direzione Investigativa Antimafia. Nel primo caso, è stato colpito un imprenditore con rilevanti interessi economici nei settori immobiliare e turistico-alberghiero; la confisca è stata, invece, eseguita nei confronti di un imprenditore specializzato nella lavorazione del legname, tratto in arresto nell’ambito dell’operazione “Kyterion”. Entrambi gli imprenditori sono ritenuti contigui al locale di Cutro, facente capo ai GRANDE ARACRI. I decreti traggono origine da accertamenti condotti dalla DIA su un arco temporale di circa venti anni.

Nel dettaglio, il Tribunale di Catanzaro ha formulato un giudizio di pericolosità sociale sul primo dei due soggetti, anche alla luce dei rapporti di natura economica intercorrenti tra il soggetto ed il capo della citata cosca. Analogamente, il Tribunale di Crotone, a fondamento del giudizio di pericolosità sociale nei confronti del secondo soggetto, ha messo in luce il suo agire attraverso “operazioni finanziarie e bancarie e investimenti commerciali, anche [con l’ausilio di] prestanome;… [e ha evidenziato i suoi] contatti diretti e frequenti con Grande Aracri…, [per il quale si è posto da intermediario con]…altri soggetti estranei all’associazione, al fine di consentir[gli] l’avvicinamento a settori istituzionali …”.

L’attività di ricostruzione contabile operata dagli investigatori della DIA, da cui è emersa una rilevante sproporzione tra beni posseduti e i redditi dichiarati da entrambi i nuclei familiari, ha permesso ai Tribunali interessati di confiscare società, immobili, rapporti finanziari, polizze assicurative, per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro. Per quanto attiene alle presenze criminali del capoluogo si richiama il clan VRENNA-CORIGLIANO-BONAVENTURA-CIAMPÀ, mentre in località Cantorato è presente la cosca TORNICCHIO.

Nel mese di giugno, a Crotone, nell’ambito dell’operazione “Hermes”, la Polizia di Stato ha eseguito il fermo di indiziato di delitto di 15 affiliati alla cosca BARILARI-FOSCHIN (riconducibile ai menzionati VRENNA-CORIGLIANO-BONAVENTURA-CIAMPÀ) responsabili di associazione di tipo mafioso, detenzione di armi, estorsioni, minacce e danneggiamenti ai danni di commercianti e imprenditori. Nella frazione di Papanice sono presenti le cosche MEGNA (cd. dei Papaniciari) e RUSSELLI.

A Cutro, oltre alla cosca GRANDE ARACRI, insistono anche le famiglie MANNOLO e TRAPASSO. Tra le provincie di Crotone e Cosenza, con particolare riferimento al comprensorio di San Giovanni in Fiore (CS), è operativo il clan IONA-MARRAZZO, mentre a Belvedere Spinello insiste un locale di ‘ndrangheta, da cui dipendono le ‘ndrine di San Giovanni in Fiore, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto e Castelsilano. Sull’area cd. petilina è attivo il locale di Petilia Policastro e si registra anche la presenza di esponenti della famiglia MANFREDA di Mesoraca, subentrati ai COMBERIATI.

Il gruppo FERRAZZO – con diversi esponenti legati alla famiglia MARCHESE di Messina in virtù di consolidati interessi economico-criminali – si conferma attivo a Mesoraca. A Cirò sono attivi i FARAO-MARINCOLA, che hanno proiezioni anche sui territori dello ionio cosentino, nel nord Italia e in Germania. A tal proposito, vale la pena di richiamare la già citata operazione “Stige”, conclusa, nel mese di gennaio, dall’Arma dei carabinieri, che ha investigato la pervasiva operatività della cosca cirotana fuori regione e all’estero. L’attività ha coinvolto ben 169 soggetti, indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione, peculato, corruzione aggravata, impiego di denaro di provenienza illecita, turbata libertà degli incanti, danneggiamento seguito da incendio, porto illegale di armi e munizioni, intestazione fittizia di beni, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, evasione del pagamento dell’accisa sugli oli minerali, condotte spesso attuate con modalità mafiose.

Contestualmente è stato eseguito il sequestro di circa 60 società, 75 immobili e oltre 400 veicoli per un valore di circa 55 milioni di euro, facendo luce sugli interessi diffusi dei FARAO-MARINCOLA tra Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Germania, nei settori delle forniture di prodotti e servizi in generale, nei servizi portuali, nell’offerta di prodotto pescato, nel lavaggio industriale di tovagliato per le strutture alberghiere, nella distribuzione dei prodotti da forno, nella gestione dei servizi funebri, nel taglio degli alberi, nella vendita del legname e nello smaltimento dei rifiuti urbani. Venivano, inoltre, perpetrate una serie di truffe mediante la gestione di imprese “cartiere” e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (f.o.i.) con la realizzazione di un traffico transnazionale di autoveicoli di grossa cilindrata, importati dalla Germania.

Il sodalizio, oltre ad aver offerto riparo e sostegno a 5 latitanti nell’area montana silana, dal 2007 al 2014, avrebbe anche sfruttato il centro di accoglienza profughi di Cirò Marina, dove, attraverso la compiacenza di amministratori pubblici locali, aveva realizzato sovrafatturazioni per la fornitura di prodotti alimentari a fronte di un servizio scadente. L’inchiesta, infatti, ha evidenziato come venisse imposto l’acquisto di prodotti alimentari o legati alla ristorazione, attraverso una serie di ditte specializzate nel settore e dedite alla vendita all’ingrosso.

Non da ultimo, è stata accertata la presenza della cosca in Germania i cui membri, stabilmente dimoranti in territorio tedesco e titolari di attività commerciali nel settore alimentare, esercitavano pressioni sui ristoratori calabresi ivi stanziati, al fine di imporre prodotti alimentari tipici. Sono emersi, inoltre, gli interessi delle compagini criminali di Casabona e di Strongoli, subordinate al locale cirotano, nel settore delle estorsioni, del recupero di somme di denaro provento di attività delittuose, nella gestione occulta di imprese attive nella produzione e commercio di semilavorati alimentari e nella gestione illecita di appalti pubblici presso diversi comuni del crotonese e del catanzarese.

Le condotte del locale di Cirò hanno consentito anche l’infiltrazione nell’amministrazione comunale di Cirò Marina che, all’esito dell’operazione “Stige”, è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, atteso che le investigazioni hanno fatto emergere, oltre che il coinvolgimento di taluni amministratori comunali, “…rapporti tra gli amministratori e le consorterie locali e hanno evidenziato come l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire soggetti e imprese collegati direttamente e indirettamente ad ambienti controindicati…”.

Le risultanze dell’operazione di polizia giudiziaria, si evince dalla proposta di scioglimento, hanno messo in luce come la ‘ndrangheta cirotana “…si sia sempre adoperata per porre a capo dell’amministrazione comunale soggetti che, a prescindere dall’appartenenza politica, fossero asserviti agli interessi della cosca…”. Passando al territorio di Strongoli, si segnala l’operatività della cosca GIGLIO, mentre ad Isola di Capo Rizzuto coesistono le famiglie NICOSCIA e ARENA. Anche l’Amministrazione comunale di Strongoli è risultata coinvolta nell’inchiesta “Stige”, al punto che il Comune è stato sciolto per mafia, per le evidenti “…forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale…”.

In particolare, dalla lettura della proposta di scioglimento a firma del Ministro dell’Interno si evincono pressanti intimidazioni poste in essere da diversi membri delle locali consorterie ‘ndranghetiste nei confronti dell’amministrazione comunale, nonché il ruolo svolto da un dipendente comunale, vero e proprio “intermediario” tra l’ente e gli esponenti apicali dell’associazione criminale. In sede ispettiva sono state rilevate irregolarità ed anomalie nel settore dei lavori e dei servizi pubblici, finalizzate ad avvantaggiare ditte controllate o indicate dalle consorterie locali.

A fronte delle descritte azioni investigative, che danno conto di un evidente interesse delle consorterie a fare “impresa”, persiste l’interesse dei gruppi criminali del crotonese verso i traffici di stupefacenti. In proposito, si richiama l’operazione “Fructorum”, conclusa, nel mese di maggio, tra le province di Crotone, Cosenza e di Messina da militari dell’Arma dei carabinieri, che ha portato all’arresto di 21 soggetti, responsabili, a vario titolo, di associazione finalizzata traffico di stupefacenti, da destinare al capoluogo crotonese. La consorteria si avvaleva anche di commercianti attivi nel settore ortofrutticolo, dediti ad assicurare il trasporto della droga fra carichi di frutta ed ortaggi.

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Francesco Piccolo

Giornalista professionista, direttore del network L'Occhio che comprende le redazioni di Salerno, Napoli, Benevento, Caserta ed Avellino. Direttore anche di TuttoCalcioNews e di Occhio alla Sicurezza.

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