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Reddito di Cittadinanza e lavoro: i giovani non sono disponibili allo sfruttamento

Ritornano incalzanti le polemiche in merito alla misura del Reddito di Cittadinanza: non prevede lo sfruttamento dei giovani lavoratori

Si infiamma nuovamente la polemica sui giovani e sul lavoro, con la riapertura delle attività ed un lento ritorno alla quotidianità. I “giovani non vogliono lavorare, preferiscono il Reddito di Cittadinanza (RdC)”: è la frase angosciante ripetuta è rimbalzata tra i vari esponenti politici.  La realtà è ben diversa. Dall’inefficienza dei Centri per l’Impiego, allo sfruttamento dei giovani: i motivi per cui le attività non trovano “personale”.

Reddito Di Cittadinanza e lavoro

Si riaccendono le polemiche sulla carenza di personale e sui più giovani che preferiscono beneficiare del sussidio del Reddito di Cittadinanza, piuttosto che lanciarsi alla ricerca attiva del lavoro. Questo luogo comune non corrisponde alla verità. Con le accuse lanciate ai giovani si cerca di insabbiare diverse riforme, tanto attese, che hanno ulteriormente complicato la situazione. Tra le ultime, è necessario menzionare il fallimento della Riforma Fornero e del Jobs Act. Sicuramente la fruizione di sussidi non invoglia i giovani ad inoltrare migliaia di Curricula, tra le varie piattaforme sul web, ove le offerte non sono sempre allineate a condizioni dignitose.

In una recente diretta Facebook, il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, aveva denunciato il punto di vista dei datori di lavoro, omettendo alcuni preziosi dettagli. Nello specifico, De Luca dichiarò: “Non si trovano più camerieri. I ristoranti ed i bar sono in difficoltà, così come le attività stagionali. È uno dei risultati paradossali dell’introduzione del reddito di cittadinanza. Se tu mi dai 700 euro al mese, io non ho interesse ad alzarmi la mattina alle 6 per andare a lavorare in un’industria agricola”.

Gli annunci di lavoro scoraggiano i giovani

Le ultime generazioni soffrono sicuramente meno il digital divide e sono maggiormente inclini all’utilizzo di dispositivi sempre più tecnologici, da impiegare anche nella ricerca del lavoro. Non di rado, però, sui differenti canali di ricerca (non ufficiali) ci si imbatte in offerte di lavoro mendaci. La non conformità di tali annunci attiene sia una fittizia posizione, sia una fallace proposta economica. Non sempre, inoltre, viene offerto un regolare contratto di lavoro. Anzi, diverse offerte di lavoro, apparentemente valide, finiscono per sostanziarsi in veri e propri sfruttamenti. Altre volte il contratto di lavoro appare totalmente inesistente. In tal proposito, è bene ricordare la piaga del lavoro nero che affligge la Penisola.

Per questo, i Centri per l’Impiego ed i Navigator consigliano di consultare frequentemente altre tipologie di piattaforme online, quali MyAnpal e Cliclavoro, decisamente più sicure e controllate. Anche queste piattaforme, però, mostrano alcune lacune. La principale è riconducibile alla presenza di un numero eccessivamente esiguo di offerte di lavoro.

Il fenomeno del lavoro nero, a prescindere dal Reddito di Cittadinanza

Una recente analisi della Cgia ha portato alla luce dei dati drammatici, causati dalla pandemia di Covid-19. La pandemia ha determinato la perdita di 450mila posti di lavoro, alimentando il fenomeno del lavoro in nero. In realtà, già prima dell’avvento del Covid, in Italia, il trend si mostrava impietoso: i lavoratori in nero erano circa 3,2 milioni ed il tasso di irregolarità orbitava intorno al 13 per cento. Questo “esercito invisibile” causa una perdita di circa 80 miliardi di euro, secondo gli stessi studi. I già drammatici numeri potrebbero aumentare con il prossimo “sblocco dei licenziamenti”, aggravando ulteriormente la condizione sociale ed economica dei cittadini. Dagli ultimi studi si evince una sottrazione, causata dal lavoro nero, di circa il 5 per cento del Pil nazionale, con una maggiore incidenza nelle Regioni del Sud Italia.


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Reddito di Cittadinanza ed efficienza dei Centri per l’Impiego

Il Reddito di Cittadinanza è una misura di giustizia sociale, utile se combinata ad un’efficienza dei Centri per l’impiego, in termini di assistenza e di ricollocazione. Infatti, il Reddito di Cittadinanza è definito misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, destinata a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.  Innanzitutto, il sussidio, oggetto di continue polemiche, può essere percepito soltanto con una “ricerca attiva del lavoro” e previa sottoscrizione della Dichiarazione di Immediata Disponibilità, da rendere al Centro per l’Impiego di riferimento. Sarà, poi, ogni singola Regione, sulla scorta delle convenzioni concluse con Anpal, a ridefinire gli interventi di politica attiva del lavoro, destinati prevalentemente a soggetti inoccupati e disoccupati, percettori e non di sussidi.

I Centri per l’Impiego funzionano?

Infatti sono proprio i Centri per l’Impiego ad accogliere, profilare e riqualificare i soggetti inoccupati e disoccupati, prima di “assisterli nella ricerca di un lavoro”, attraverso il cd Patto per il lavoro. Proprio in questa fase si registrano le maggiori criticità. Prima della Legge 26/2019 i Centri per l’impiego sono stati “quasi abbandonati finanziariamente”, mostrando gravi carenze di personale. La nuova disposizione di fondi (circa 1,2 miliardi di euro) e le 11.500 assunzioni previsti dalla L.26/2019, hanno subito rallentamenti anche a causa della pandemia e non ha mostrato i frutti sperati. Ecco perché appare molto più semplice screditare la riforma del Reddito di Cittadinanza, invece di svelare i punti deboli delle riforme del passato, quasi sempre elaborate “a costo zero” e su presupposti irrealizzabili.  Ecco perché appare ancor più semplice addossare le colpe di perpetrati fallimenti politici alle ultime generazioni ed alle ultime riforme sul lavoro.


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I giovani non sono ulteriormente disponibili allo sfruttamento

Con l’apertura dei locali al coperto e la prossima stagione estiva, avanzano le polemiche dei datori di lavoro, sprovvisti di personale. Scarseggia il personale qualificato. A scarseggiare, però, è anche la voglia di essere sfruttati, in condizioni lavorative disumane, non conformi ai principi costituzionali.

“I giovani non vogliono lavorare e preferiscono il Reddito di Cittadinanza”, sostengono a gran voce esponenti politici, a braccetto con albergatori e ristoratori. L’accusa è grave e infondata. Non tutti i giovani percepiscono sussidi, ma tutti preferirebbero non essere sfruttati e non vivere in condizioni di estremo disagio. Da retribuzioni part-time, dietro cui si celano giornate di lavoro full time, a situazioni di assenza di contratto, grazie al Reddito di Cittadinanza, i giovani potranno finalmente declinare offerte illecite. Questo è il paradosso italiano. Ci si sorprende del decesso di un lavoratore, ma non delle condizioni disumane vissute da alcuni di loro. Ci si indigna dinanzi ad una misura sociale, ma non si assistono le classi maggiormente svantaggiate della società.

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